2019-01-25
Vaticano in imbarazzo per il regime «amico»
Francesco ha sempre avuto toni morbidi e accomodanti per Maduro, in linea con le sue preferenze per i governi populisti-socialisti. Una strizzata d'occhio avversata dai vescovi, che hanno criticato la mancanza di cibo e medicine, salutando con favore le proteste.«Il Santo Padre, raggiunto a Panama dalle notizie provenienti dal Venezuela, segue da vicino l'evolversi della situazione e prega per le vittime e per tutti i Venezuelani. La Santa Sede appoggia tutti gli sforzi che permettano di risparmiare ulteriore sofferenza alla popolazione». A poche centinaia di chilometri da un Venezuela in rivolta, la simpatia di papa Francesco per Nicolás Maduro emerge dallo scarno comunicato come una pietra d'inciampo. Il Papa, ieri a Panama per incontrare i giovani, ha incontrato tre volte il leader venezuelano: 2013, 2015 e 2016, e ha sempre riservato parole tutto sommato soft al regime. La photo opportunity del primo incontro, con papa Francesco che benedice Maduro davanti ai flash, è stata più volte utilizzata dal presidente per dire al popolo «il Papa è con noi».La conferenza episcopale del Venezuela in questi giorni, invece, ha marcato la differenza con la linea del Papa. I vescovi hanno salutato come «segno di speranza» le marce che hanno attraversato il Paese il 23 gennaio, perché, hanno scritto in un comunicato, «dicono che qualcosa di nuovo inizia a generarsi nel nostro Paese: cambiamenti necessari per lo sviluppo umano integrale di ciascuna persona e di tutte le persone». Il giorno dopo, con un altro comunicato, firmato da monsignor Roberto Lückert, presidente della commissione giustizia e pace dei vescovi, hanno rimarcato che «si esorta e si esige (…) il rispetto dei cittadini che manifestano oggi, il cui diritto è sancito nell'articolo 68 della Costituzione, evitando la repressione violenta, le detenzioni arbitrarie, i modi crudeli e l'uso di armi da fuoco e sostanze tossiche per controllare manifestazioni pacifiche». Infine, il cardinale Baltazar Porras Cardozo, con alcuni tweet partiti dall'account della diocesi di Caracas, ha invitato i sacerdoti a manifestare. «Uscire a manifestare è un diritto», ha twittato il porporato che si trova a Panama per la Giornata mondiale della gioventù. Francesco sul Venezuela ha sempre predicato il dialogo tra governo e opposizione. L'acme di questa strategia di cui il Vaticano si è fatto portabandiera si è consumata in una serie di incontri tra le parti in cui i facilitatori erano quattro presidenti, tutti socialisti: l'ex primo ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, il panamense Martín Torrijos, il dominicano Leonel Fernández e l'ex presidente colombiano Ernesto Samper Pizano. «Gente di statura politica importante», disse il Papa durante la conferenza stampa sull'aereo di ritorno dal suo viaggio apostolico in Svezia nel 2016. E proprio Zapatero, commentando quegli incontri, disse che erano possibili grazie a Francesco «che accompagna questo processo di dialogo». Ma i vescovi non l'hanno mai mandata giù. «Un governo che non provvede cibo e medicine ai cittadini e proibisce alle organizzazioni religiose e sociali di operare per alleviare le sofferenze della popolazione manca dell'autorità morale per invocare dialogo e pace», commentava nel luglio 2016 il presidente della conferenza episcopale, monsignor Diego Padrón Sanchez.La gestione del caso Venezuela ha creato un piccolo cortocircuito tra le sacre stanze, in particolare tra la linea di Santa Marta e quella della Segreteria di Stato, dove il cardinale Pietro Parolin ha cercato di mediare rispetto alle posizioni troppo accomodanti di Francesco. Il Segretario di Stato, infatti, conosce la situazione (è stato nunzio a Caracas dal 2009 al 2013). Ma la linea ondeggiante è sempre rimasta, fino a pochi giorni fa, quando - il 10 gennaio - Maduro ha fatto il suo giuramento per il secondo mandato e la Santa sede ha deciso di mandare un rappresentante dalla nunziatura di Caracas. Quella cerimonia, assenti Usa e Ue, vedeva presenti solo quattro presidenti sudamericani (Evo Morales, dalla Bolivia, Miguel Díaz-Canel, da Cuba, Salvador Sánchez Cerén, da El Salvador e Daniel Ortega dal Nicaragua), qualche rappresentante di seconda fila, e il Vaticano. Una questione che ha costretto la Sala stampa della Santa sede a dare spiegazioni.L'atteggiamento del Papa sarebbe dettata dalla sua preferenza per i regimi «populisti» sudamericani di stampo socialista, perché affini a quella teologia della liberazione a cui Francesco si riferirebbe più o meno direttamente. Gli incontri mondiale dei Movimenti popolari promossi da papa Bergoglio sono un esempio di una certa retorica contro l'egoismo del «primo mondo», contro il mercato e la finanza: temi cari alla predicazione di Francesco, ma che applicate al caso venezuelano conducono a una situazione paradossale. Perché portano simpatia verso populismi latinoamericani di sinistra in cui si vuol vedere a tutti i costi dei sani movimenti popolari per il riscatto e la liberazione dei poveri, quando in realtà si manifestano più stesso come tragici totalitarismi.Sintomatico che Jean Gabrois, giovane avvocato argentino di dichiarate simpatie marxiste, amico del Papa, nominato consulente in Vaticano, abbia twittato: «Qualunque sia la tua valutazione su Maduro, ciò che accade in Venezuala ha un solo nome: colpo di Stato. Trump, Macrì e Bolsonaro incoraggiano una guerra civile o un'invasione. Terribile antecedente per l'ordine pubblico internazionale». Amen.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)