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2022-01-31
Vanno all'asta 15 immobili all’ora. Chi ci guadagna?
Una ogni quattro minuti, più di trecento al giorno, oltre 126.000 nell’arco di dodici mesi. Sono tante le unità immobiliari oggetto di asta giudiziaria nell’anno appena trascorso. Numeri impressionanti che testimoniano un ritmo martellante quelli relativi alle esecuzioni immobiliari nel 2021, e condivisi con il nostro quotidiano dal Centro studi AstaSy Analytics di NPLs RE_Solutions. Vertiginoso anche il controvalore delle proprietà, pari a 18,74 miliardi di euro, poco meno dell’importo di una normale legge di Bilancio, con offerte minime pari a 14,05 miliardi. Quello delle aste, dunque, è senza dubbio un piatto ricco. Ma chi ci mangia e chi ci perde?
Partiamo da uno sguardo d’insieme sul fenomeno. Le cifre relative al 2021 sono in aumento dell’8,10% rispetto all’anno della pandemia, ma risultano comunque sensibilmente inferiori (-38,4%) rispetto al 2019, quando il numero delle esecuzioni toccò quota 204.632 unità. «Il mondo “giudiziale”, causa Covid, ha totalizzato circa 380 giorni di stop per un mancato recupero di oltre nove miliardi di euro», ha dichiarato a margine della presentazione del «Report aste 2021» Mirko Frigerio, presidente di AstaSy Analytics e vicepresidente di NPLs RE_Solutions. Nel 2020 infatti, ci spiega Frigerio, l’impulso a riaprire le procedure si è verificato a fine giugno, ma le prime aste si sono viste solo a settembre.
Sul piano regionale, dei 126.083 immobili all’asta, il 42,15% si concentra al Nord, il 27,75% al Centro, il 14% al Sud e il 12% nelle Isole. Prima in classifica la Lombardia (23.493 aste, pari al 18,6% del totale), seguita dalla Sicilia (12.547 aste, 9,95%) e dal Lazio (9.638 aste, 7,64%). Colpisce il dato relativo alla concentrazione delle esecuzioni a livello territoriale. Le aste relative a cinque regioni (oltre alle prime tre già citate, Toscana e Veneto) da sole costituiscono il 50% del totale nazionale, mentre 15 province generano il 38% delle aste complessive. Riguardo alla tipologia, meno di una unità immobiliare su due (46,34%) è riconducibile alla categoria residenziale, vale a dire appartamenti, ville e villette, attici e mansarde, cui si somma un ulteriore 9,3% relativo a posti auto e autorimesse. Una su dieci (10,71%), in aumento rispetto al passato, appartiene alla categoria negozi, uffici e locali adibiti a uso commerciale, ai quali si aggiungono il 4,42% di capannoni industriali e il 7,31% di magazzini. Ultima ma non meno importante la quota relativa ai terreni (11,51%) tra i quali, segnala il rapporto, «pezzi importanti nelle zone dei vini d’Italia», come le terre del Brunello di Montalcino e del Nero d’Avola.
criminalità organizzata
Ma è concentrandosi sul valore degli immobili messi in vendita che si inizia a realizzare la gravità della situazione. Quasi nove esecuzioni su dieci (88,96%), pari al 37,39% del valore complessivo di tutti i beni posti in asta nel 2021, riguardano beni il cui valore d’asta proposto è inferiore a 250.000 euro. Verosimilmente, dunque, si tratta di case appartenenti al ceto medio. Cosa ancor più grave, aggiunge il rapporto AstaSy Analytics, «il valore medio base asta degli immobili granulari si è ulteriormente abbassato a 62.471 euro contro il valore medio degli anni passati, il che sta certamente a significare che gli immobili vengono aggiudicati a valori notevolmente inferiori al passato dei reali valori di mercato, creando un’ulteriore perdita di valore e di ricchezza».
Un dato che, tra le righe, suggerisce come nel mondo delle aste giudiziarie il rischio di speculazione si nasconda sempre dietro l’angolo. Tra i casi, apparentemente più innocui, rientra quello delle agenzie immobiliari che acquistano immobili a basso prezzo per ristrutturarli e rivenderli a un prezzo decisamente più alto. Non si tratta di una pratica illegale, ma senza dubbio eticamente discutibile. Ma i pericoli non si fermano qui, tutt’altro. Lo scorso agosto la Commissione Antimafia ha lanciato l’allarme, denunciando «l’ingresso della criminalità organizzata nei mercati finanziari con l’acquisto di crediti deteriorati, condotta che prelude all’acquisizione di asset societari di particolare interesse e, soprattutto, di quelli maggiormente colpiti dalla pandemia». Un’ottica nella quale, proseguono i membri della Commissione, l’usura rischia di rappresentare il «grimaldello delle mafie per entrare nel mondo economico, per immettere capitali “sporchi” nell’economia legale, in un sordido circolo vizioso di riciclaggio e reimpiego, ma anche per arrivare a una sorta di “esproprio” delle imprese coinvolte». Commentando preoccupato le conclusioni dell’organo parlamentare, il presidente della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti ha auspicato la realizzazione di un «database degli acquirenti nelle aste immobiliari e fallimentari». Obiettivo finale, la creazione di una vera e propria «white list degli acquirenti» utile a «prevenire quell’intreccio sempre più inestricabile fra mafie, evasori fiscali, società anonime costituite nei paradisi fiscali, professionisti asserviti, prestanome che in questi anni ha inquinato il mercato delle aste immobiliari». Sempre più spesso la cronaca ci riporta esempi di aste pilotate e ricatti. Qualche mese fa, a novembre, gli inquirenti hanno disposto nel barese 24 arresti nei confronti di un gruppo di malavitosi. L’accusa è quella di aver truccato le esecuzioni per l’aggiudicazione di immobili e terreni. Verso la fine del 2020, l’operazione «Report» con più di cento militari del Comando provinciale della Guardia di finanza di Catania. Nel mirino, il sistema delle aste gestito dai clan locali, che contemplava aste deserte, minacce agli offerenti e accordi sottobanco, oltre a un meccanismo di rotazione che consentiva alle varie cosche della zona di accaparrarsi a turno una fetta degli affari. «Con la distorsione delle organizzazioni criminali si effettua macelleria sociale», ha dichiarato ad Avvenire il criminologo Giacomo Di Gennaro, «dato che dopo la prima battitura d’asta il prezzo cala del 25% ed è interesse di chi acquista effettuarne altre».
affaristi senza scrupoli
C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare, quello relativo agli operatori esteri presenti sul nostro mercato. Spiega Frigerio alla Verità, «delle circa 1.100 società veicolo operanti in Italia in questo settore, almeno un quinto sono straniere». Esiste - aggiungiamo noi - il rischio pericolo concreto che un pezzo importante del patrimonio residenziale e imprenditoriale del nostro Paese, frutto del duro lavoro e dei sacrifici degli italiani, finisca per essere svenduto a qualche affarista senza scrupoli.
«Fenomeno distruttivo per tutti. Paghiamo errori di vent’anni fa»
Dottor Mirko Frigerio, presidente di Astasy Analytics, ci fa capire le origini della situazione attuale delle aste giudiziarie in Italia?
«Occorre tornare agli anni precedenti alla crisi degli anni Duemila, quando si è verificato quello che io chiamo “eccesso di accesso al credito”. In due parole: troppa finanza. Per un Paese che, fino a qualche anno prima assorbiva in media 6-700.000 compravendite l’anno, nel 2006 si è toccato il picco di 845.000 compravendite. Una bolla molto diversa da quella americana, perché da noi le persone più che la casa compravano il mutuo. Questo è stato il grosso errore delle banche: vendere un finanziamento ai propri correntisti anziché educarli dal punto di vista finanziario. C’era perfino un istituto di credito che pubblicizzava in vetrina il “mutuo al 110%”».
Poi però è saltato tutto.
«È successo che le banche hanno smesso di erogare finanziamenti perché non riuscivano a dimostrare alla Bce di essere in grado di gestire i crediti che avevano in pancia, fattore che ha peggiorato la possibilità di finanziarsi da Francoforte. C’è stato un dolorosissimo rimbalzo della bolla che ha fatto crollare i consumi. A partire dal 2012 abbiamo assistito a una vera e propria esplosione delle aste giudiziarie. Pensi che, trascorso un decennio, ancora abbiamo aste attive relative a quel periodo».
Partiamo dalle basi: come si arriva a un’asta giudiziaria?
«Chiariamo subito una cosa. Un immobile finisce all’asta perché qualcuno non ha pagato qualcosa, non perché un cliente è antipatico alla banca. Quest’ultima, per garantire interessi bassi e una garanzia temporale tanto lunga, fino a trent’anni, chiede la garanzia di un’ipoteca, cioè essere informata della vendita del bene. Quindi si parte sempre da un debito contratto da qualcuno, da un bene pignorabile e da un creditore che deve recuperare il dovuto. E non si tratta sempre della banca».
Può spiegare?
«Negli ultimi quattro anni c’è stato un aumento di pignoramenti da parte di soggetti non bancari, come ad esempio i condomini che non riescono più a riscuotere le quote e si trovano costretti a pignorare l’immobile perché altrimenti, per effetto dalla nuova normativa, l’amministratore deve rispondere in solido».
E poi?
«Premetto che, mediamente, una banca impiega dai due ai tre anni prima di pignorare l’immobile. Quindi non c’è nessuna volontà di accanirsi contro il proprio cliente».
Una volta pignorato l’immobile cosa succede?
«Spesso chi si trova nell’incapacità di pagare un debito cade in preda alla vergogna, perché si tratta di un circostanza imbarazzante. Chi non ce la fa a pagare il mutuo non riesce a dirlo nemmeno al coniuge, o ai propri familiari più stretti. Si arriva perfino a mentire a sé stessi, magari attribuendo le colpe alla banca».
Quali strade ci sono per uscire da questo tunnel?
«Molti non sanno che la vendita è possibile anche quando l’immobile è all’asta. Secondo il sistema italiano, a differenza di quello americano, il pignorato resta titolare della proprietà dell’immobile, il quale in qualsiasi momento può trovare un acquirente, recarsi in banca e chiudere il debito. Nel 2019, l’11% degli immobili finito in asta si è concluso a seguito di un accordo stragiudiziale. Una percentuale bassa dal punto di vista assoluto, ma comunque molto più alta rispetto agli anni precedenti».
Cosa ha influito nel maggior ricorso a questo tipo di accordi?
«I servicer, cioè le società esterne che gestiscono i crediti per conto delle banche, hanno capito che occorre parlare con il debitore e trovare un’intesa: facciamo valutare l’immobile da un agente immobiliare, troviamo un acquirente, sospendiamo il debito e chiudiamo la posizione. Da due anni, la Bce ha incentivato le banche a lavorare gli Utp (unlikely to pay, cioè i crediti per i quali risulti improbabile il recupero, ndr), perciò lo scopo è gestire il precontenzioso ed evitare di arrivare all’asta che è distruttiva per tutti. Sia per il debitore, sul piano psicologico, che per il creditore, dal momento che mediamente si recupera il 56% del valore iniziale con costi legali di gestione altissimi, pari al 25% del totale».
Si va verso una gestione più «umana» delle aste?
«Stiamo gestendo la più grande operazione di finanza immobiliare etica: cento case all’asta su tutto il territorio, tutti immobili residenziali con proprietari persone fisiche e creditori banche e condomini, acquistate da una cordata di imprenditori che si impegnano a favorire un accordo tra il debitore e il creditore. Senza intento speculativo».
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Riduci
La crisi ha colpito il ceto medio, costretto a vendite al ribasso. Un mercato da 18 miliardi di euro che fa gola agli speculatori.L’esperto Mirko Frigerio: «Negli anni Duemila le banche hanno esagerato nel dare accesso al credito, così è scoppiata la bolla. E oggi sono nei guai i condomini, che pignorano gli appartamenti di chi non salda le quote».Lo speciale contiene due articoli.Una ogni quattro minuti, più di trecento al giorno, oltre 126.000 nell’arco di dodici mesi. Sono tante le unità immobiliari oggetto di asta giudiziaria nell’anno appena trascorso. Numeri impressionanti che testimoniano un ritmo martellante quelli relativi alle esecuzioni immobiliari nel 2021, e condivisi con il nostro quotidiano dal Centro studi AstaSy Analytics di NPLs RE_Solutions. Vertiginoso anche il controvalore delle proprietà, pari a 18,74 miliardi di euro, poco meno dell’importo di una normale legge di Bilancio, con offerte minime pari a 14,05 miliardi. Quello delle aste, dunque, è senza dubbio un piatto ricco. Ma chi ci mangia e chi ci perde?Partiamo da uno sguardo d’insieme sul fenomeno. Le cifre relative al 2021 sono in aumento dell’8,10% rispetto all’anno della pandemia, ma risultano comunque sensibilmente inferiori (-38,4%) rispetto al 2019, quando il numero delle esecuzioni toccò quota 204.632 unità. «Il mondo “giudiziale”, causa Covid, ha totalizzato circa 380 giorni di stop per un mancato recupero di oltre nove miliardi di euro», ha dichiarato a margine della presentazione del «Report aste 2021» Mirko Frigerio, presidente di AstaSy Analytics e vicepresidente di NPLs RE_Solutions. Nel 2020 infatti, ci spiega Frigerio, l’impulso a riaprire le procedure si è verificato a fine giugno, ma le prime aste si sono viste solo a settembre.Sul piano regionale, dei 126.083 immobili all’asta, il 42,15% si concentra al Nord, il 27,75% al Centro, il 14% al Sud e il 12% nelle Isole. Prima in classifica la Lombardia (23.493 aste, pari al 18,6% del totale), seguita dalla Sicilia (12.547 aste, 9,95%) e dal Lazio (9.638 aste, 7,64%). Colpisce il dato relativo alla concentrazione delle esecuzioni a livello territoriale. Le aste relative a cinque regioni (oltre alle prime tre già citate, Toscana e Veneto) da sole costituiscono il 50% del totale nazionale, mentre 15 province generano il 38% delle aste complessive. Riguardo alla tipologia, meno di una unità immobiliare su due (46,34%) è riconducibile alla categoria residenziale, vale a dire appartamenti, ville e villette, attici e mansarde, cui si somma un ulteriore 9,3% relativo a posti auto e autorimesse. Una su dieci (10,71%), in aumento rispetto al passato, appartiene alla categoria negozi, uffici e locali adibiti a uso commerciale, ai quali si aggiungono il 4,42% di capannoni industriali e il 7,31% di magazzini. Ultima ma non meno importante la quota relativa ai terreni (11,51%) tra i quali, segnala il rapporto, «pezzi importanti nelle zone dei vini d’Italia», come le terre del Brunello di Montalcino e del Nero d’Avola.criminalità organizzataMa è concentrandosi sul valore degli immobili messi in vendita che si inizia a realizzare la gravità della situazione. Quasi nove esecuzioni su dieci (88,96%), pari al 37,39% del valore complessivo di tutti i beni posti in asta nel 2021, riguardano beni il cui valore d’asta proposto è inferiore a 250.000 euro. Verosimilmente, dunque, si tratta di case appartenenti al ceto medio. Cosa ancor più grave, aggiunge il rapporto AstaSy Analytics, «il valore medio base asta degli immobili granulari si è ulteriormente abbassato a 62.471 euro contro il valore medio degli anni passati, il che sta certamente a significare che gli immobili vengono aggiudicati a valori notevolmente inferiori al passato dei reali valori di mercato, creando un’ulteriore perdita di valore e di ricchezza».Un dato che, tra le righe, suggerisce come nel mondo delle aste giudiziarie il rischio di speculazione si nasconda sempre dietro l’angolo. Tra i casi, apparentemente più innocui, rientra quello delle agenzie immobiliari che acquistano immobili a basso prezzo per ristrutturarli e rivenderli a un prezzo decisamente più alto. Non si tratta di una pratica illegale, ma senza dubbio eticamente discutibile. Ma i pericoli non si fermano qui, tutt’altro. Lo scorso agosto la Commissione Antimafia ha lanciato l’allarme, denunciando «l’ingresso della criminalità organizzata nei mercati finanziari con l’acquisto di crediti deteriorati, condotta che prelude all’acquisizione di asset societari di particolare interesse e, soprattutto, di quelli maggiormente colpiti dalla pandemia». Un’ottica nella quale, proseguono i membri della Commissione, l’usura rischia di rappresentare il «grimaldello delle mafie per entrare nel mondo economico, per immettere capitali “sporchi” nell’economia legale, in un sordido circolo vizioso di riciclaggio e reimpiego, ma anche per arrivare a una sorta di “esproprio” delle imprese coinvolte». Commentando preoccupato le conclusioni dell’organo parlamentare, il presidente della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti ha auspicato la realizzazione di un «database degli acquirenti nelle aste immobiliari e fallimentari». Obiettivo finale, la creazione di una vera e propria «white list degli acquirenti» utile a «prevenire quell’intreccio sempre più inestricabile fra mafie, evasori fiscali, società anonime costituite nei paradisi fiscali, professionisti asserviti, prestanome che in questi anni ha inquinato il mercato delle aste immobiliari». Sempre più spesso la cronaca ci riporta esempi di aste pilotate e ricatti. Qualche mese fa, a novembre, gli inquirenti hanno disposto nel barese 24 arresti nei confronti di un gruppo di malavitosi. L’accusa è quella di aver truccato le esecuzioni per l’aggiudicazione di immobili e terreni. Verso la fine del 2020, l’operazione «Report» con più di cento militari del Comando provinciale della Guardia di finanza di Catania. Nel mirino, il sistema delle aste gestito dai clan locali, che contemplava aste deserte, minacce agli offerenti e accordi sottobanco, oltre a un meccanismo di rotazione che consentiva alle varie cosche della zona di accaparrarsi a turno una fetta degli affari. «Con la distorsione delle organizzazioni criminali si effettua macelleria sociale», ha dichiarato ad Avvenire il criminologo Giacomo Di Gennaro, «dato che dopo la prima battitura d’asta il prezzo cala del 25% ed è interesse di chi acquista effettuarne altre».affaristi senza scrupoliC’è poi un altro aspetto da non sottovalutare, quello relativo agli operatori esteri presenti sul nostro mercato. Spiega Frigerio alla Verità, «delle circa 1.100 società veicolo operanti in Italia in questo settore, almeno un quinto sono straniere». Esiste - aggiungiamo noi - il rischio pericolo concreto che un pezzo importante del patrimonio residenziale e imprenditoriale del nostro Paese, frutto del duro lavoro e dei sacrifici degli italiani, finisca per essere svenduto a qualche affarista senza scrupoli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vanno-allasta-15-immobili-allora-chi-ci-guadagna-2656514286.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fenomeno-distruttivo-per-tutti-paghiamo-errori-di-ventanni-fa" data-post-id="2656514286" data-published-at="1643582840" data-use-pagination="False"> «Fenomeno distruttivo per tutti. Paghiamo errori di vent’anni fa» Dottor Mirko Frigerio, presidente di Astasy Analytics, ci fa capire le origini della situazione attuale delle aste giudiziarie in Italia? «Occorre tornare agli anni precedenti alla crisi degli anni Duemila, quando si è verificato quello che io chiamo “eccesso di accesso al credito”. In due parole: troppa finanza. Per un Paese che, fino a qualche anno prima assorbiva in media 6-700.000 compravendite l’anno, nel 2006 si è toccato il picco di 845.000 compravendite. Una bolla molto diversa da quella americana, perché da noi le persone più che la casa compravano il mutuo. Questo è stato il grosso errore delle banche: vendere un finanziamento ai propri correntisti anziché educarli dal punto di vista finanziario. C’era perfino un istituto di credito che pubblicizzava in vetrina il “mutuo al 110%”». Poi però è saltato tutto. «È successo che le banche hanno smesso di erogare finanziamenti perché non riuscivano a dimostrare alla Bce di essere in grado di gestire i crediti che avevano in pancia, fattore che ha peggiorato la possibilità di finanziarsi da Francoforte. C’è stato un dolorosissimo rimbalzo della bolla che ha fatto crollare i consumi. A partire dal 2012 abbiamo assistito a una vera e propria esplosione delle aste giudiziarie. Pensi che, trascorso un decennio, ancora abbiamo aste attive relative a quel periodo». Partiamo dalle basi: come si arriva a un’asta giudiziaria? «Chiariamo subito una cosa. Un immobile finisce all’asta perché qualcuno non ha pagato qualcosa, non perché un cliente è antipatico alla banca. Quest’ultima, per garantire interessi bassi e una garanzia temporale tanto lunga, fino a trent’anni, chiede la garanzia di un’ipoteca, cioè essere informata della vendita del bene. Quindi si parte sempre da un debito contratto da qualcuno, da un bene pignorabile e da un creditore che deve recuperare il dovuto. E non si tratta sempre della banca». Può spiegare? «Negli ultimi quattro anni c’è stato un aumento di pignoramenti da parte di soggetti non bancari, come ad esempio i condomini che non riescono più a riscuotere le quote e si trovano costretti a pignorare l’immobile perché altrimenti, per effetto dalla nuova normativa, l’amministratore deve rispondere in solido». E poi? «Premetto che, mediamente, una banca impiega dai due ai tre anni prima di pignorare l’immobile. Quindi non c’è nessuna volontà di accanirsi contro il proprio cliente». Una volta pignorato l’immobile cosa succede? «Spesso chi si trova nell’incapacità di pagare un debito cade in preda alla vergogna, perché si tratta di un circostanza imbarazzante. Chi non ce la fa a pagare il mutuo non riesce a dirlo nemmeno al coniuge, o ai propri familiari più stretti. Si arriva perfino a mentire a sé stessi, magari attribuendo le colpe alla banca». Quali strade ci sono per uscire da questo tunnel? «Molti non sanno che la vendita è possibile anche quando l’immobile è all’asta. Secondo il sistema italiano, a differenza di quello americano, il pignorato resta titolare della proprietà dell’immobile, il quale in qualsiasi momento può trovare un acquirente, recarsi in banca e chiudere il debito. Nel 2019, l’11% degli immobili finito in asta si è concluso a seguito di un accordo stragiudiziale. Una percentuale bassa dal punto di vista assoluto, ma comunque molto più alta rispetto agli anni precedenti». Cosa ha influito nel maggior ricorso a questo tipo di accordi? «I servicer, cioè le società esterne che gestiscono i crediti per conto delle banche, hanno capito che occorre parlare con il debitore e trovare un’intesa: facciamo valutare l’immobile da un agente immobiliare, troviamo un acquirente, sospendiamo il debito e chiudiamo la posizione. Da due anni, la Bce ha incentivato le banche a lavorare gli Utp (unlikely to pay, cioè i crediti per i quali risulti improbabile il recupero, ndr), perciò lo scopo è gestire il precontenzioso ed evitare di arrivare all’asta che è distruttiva per tutti. Sia per il debitore, sul piano psicologico, che per il creditore, dal momento che mediamente si recupera il 56% del valore iniziale con costi legali di gestione altissimi, pari al 25% del totale». Si va verso una gestione più «umana» delle aste? «Stiamo gestendo la più grande operazione di finanza immobiliare etica: cento case all’asta su tutto il territorio, tutti immobili residenziali con proprietari persone fisiche e creditori banche e condomini, acquistate da una cordata di imprenditori che si impegnano a favorire un accordo tra il debitore e il creditore. Senza intento speculativo».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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