2021-10-04
Roberto Castelli: «Non sono un no vax. Ma quel vaccino mi ha rovinato la vita»
L'ex guardasigilli: «Dopo l'iniezione valori sballati. Mi hanno attaccato perché l'ho detto. Ora sono un morto che cammina».Il sorriso è a mezza bocca, da ingegnere bergamasco si professa «oggettivo». Sia quando parla di Lega, sia nel raccontare come sono peggiorate le sue condizioni di salute in concomitanza con il vaccino per il Covid. L'ex ministro Roberto Castelli ha detto in tv a Tagadà, La7, di essere «un dead man walking», letteralmente un morto che cammina: è a rischio trombosi. «Mi sento meglio», assicura, «ma alcuni valori molto preoccupanti restano sballati». Ci tiene a premettere: «Non sostengo alcuna tesi, riporto solo quel che mi è successo».Allora andiamo per ordine. Quando si è vaccinato?«30 luglio, monodose Johnson». Classe 1946, ha quindi aspettato. «Sono laico, non ideologico. Ho fiducia nella scienza, ma ho valutato con calma i pro e i contro». Quando cominciano i guai?«Quattro o cinque giorni dopo l'iniezione arriva la febbre, e mi diagnosticano innanzitutto una forte infezione alla prostata. Ho sempre sofferto di prostata, ma in tanti anni mai un'infezione importante».Cosa prescrivono i medici?«Venti giorni di antibiotici e un sacco di esami: risultano molto sballati. Scopro per esempio che il Psa, che è importante per noi maschietti, da 4 era schizzato a 34». Si è ora abbassato?«Quel valore sì, ma ce n'è un altro, che prima non conoscevo nemmeno, che resta sballatissimo anche oggi: si chiama D-dimero». Che in parole povere…«Dice che il mio fisico lavora per combattere trombi in giro per il corpo. Capisce che non è esattamente “simpatico" andare in giro e sapere che da un momento all'altro puoi avere un ictus. In tv avrò forse drammatizzato, ma fino a un certo punto».Se il test del D-dimero è positivo che si deve fare?«I medici mi hanno imposto un monitoraggio continuo, sono anche andato due volte al pronto soccorso in codice giallo».Chi la cura?«Era agosto, e non c'era in giro nessuno. Il mio medico mi ha seguito meritoriamente anche mentre era in ferie, ma visto che mia moglie era in contatto con la catena di medici che fa capo all'avvocato Erich Grimaldi (coordinatore del Comitato per le terapie domiciliari, ndr), mi sono rivolto a uno di loro. Che mi ha suggerito di fare appunto questo test del D-dimero. Mi ha dato terapie anti Covid perché all'inizio si pensava fosse quello». Che è successo da quando ne ha parlato in tv?«Sono stato subissato dai messaggi di chi mi lodava per aver “denunciato", e di chi mi dava del disgraziato per averne parlato. Ma non sono né no vax, né pro vax, racconto solo la mia esperienza».Secondo i suoi medici è possibile ci sia una correlazione tra vaccino e il suo stato di salute attuale?«Possibile sì, certa no. Non ho alcun tipo di monitoraggio che possa restituirmi una reale fotografia della situazione. La mia è solo una sensazione: ho passato parecchie ore in ospedale, mi pare che i casi di effetti collaterali da vaccino non siano così rari come vogliono far credere». Oggi il vaccino lo rifarebbe?«Potessi tornare indietro farei magari la doppia dose, sicuramente il Johnson no. Capisce che sarei autolesionista se le dicessi di sì».Altre cure prescritte?«Cardioaspirina ed evitare lo stress. Non facile, per un settantacinquenne presidente della Pedemontana con anche uno studio di ingegneria da portare avanti, tra fatture, clienti, fisco, burocrazia».C'è pure la politica.«Non ho più ruoli istituzionali, ma con alcuni amici leghisti ho fondato quella che è più che altro un'associazione culturale: si chiama Autonomia e libertà, vuole tenere viva una fiammella. Abbiamo organizzato gli auguri a Umberto Bossi per i suoi 80 anni, ci prepariamo per un convegno nell'anniversario del referendum sull'autonomia». Nella Lega siete quelli del Nord. Quelli di Bossi. «L'anima del Nord c'è, chiediamo al grande partito nazionale di tenerla presente. Perché l'autonomia fa bene a tutta Italia, e mica ho ancora capito perché, seppure sia un principio costituzionale sacrosanto che tutti i cittadini ricevano gli stessi servizi di base, se una Regione fa meglio delle altre non ne possa avere beneficio». Lo sta ricordando a Salvini?«Lasci perdere i retroscena dei giornaloni, la mia vuole essere semplicemente una moral suasion, un'azione culturale. Non siamo quelli del Grande Nord, siamo nella Lega e ci restiamo. Il frazionismo è deleterio e fa il gioco dell'avversario. C'è in ogni partito, ma è una malattia storica della sinistra». Vi siete contagiati?«Conservo con cura sia la tessera della Lega Nord sia quella del partito per Salvini premier. L'unione fa la forza. La questione settentrionale verrà fuori nei congressi, anche perché il referendum c'è stato, e l'esito è stato chiaro. Ci sarà un dibattito».Congressi, quindi. Per una nuova rivoluzione interna? Dicono che Giorgetti e Salvini siano separati in casa. «La contrapposizione è stata smentita dai diretti interessati, è sempre roba da retroscena giornalistici». Non sarebbe la prima volta che si avverano. «Mah, vediamo. Secondo me non ci sarà rottura. Se pure litigassero, lo farebbero in privato». E se Giorgetti volesse fare il premier?«Non ce lo vedo, lo conosco da 30 anni e se non è cambiato è una persona intelligente, non coltiva ambizioni da leader. Le idee potranno anche essere diverse, ma ha mai visto una famiglia che non litiga?».Parenti serpenti. «In Lega ci sono state in passato feroci rivalità, è inevitabile. Oggi però sono più le montature dei nostri avversari che le vere divisioni. Abbiamo dovuto navigare contro le pesanti bordate tirate dal mainstream, e questo ha rafforzato la coesione. I 49 milioni, la storia dei soldi del petrolio russo: tutto finito nel nulla, balle, eppure ce l'hanno menata per mesi».Oggi Morisi. «Quello è un altro paio di maniche, è un fatto personale». Gli attacchi sono anche politici. «Passerà anche questa, non ha reale valore politico. Non c'è reato, c'è soltanto - a quanto almeno raccontano i giornali avversari al Carroccio - la parvenza di un comportamento personale che mi pare che, anzi, per la sinistra dovrebbe essere un modello, no? La Lega lo ha sempre detto, che ciascuno a casa sua fa quel che vuole. Ma questa vicenda puzza, a me sembra un trappolone».E così, tra escort e droga, di autonomia si parla ben poco. «È un fenomeno carsico: sono sicuro che riemergerà. L'autonomia si è inabissata quando Salvini ha fatto una scelta ben precisa, che ha pagato dal punto di vista elettorale. Era la necessità storica del momento: le emergenze di tutto il Paese erano l'immigrazione e un'Europa matrigna. Ci hanno consentito di coinvolgere tutta Italia».E ora?«Si ricomincerà a pensare a una rinascita economica, e vedrà che la questione della distribuzione delle risorse tornerà attuale. Mi spieghi ad esempio, perché in tutto il piano pensato per le nuove strade non ce ne sia una sopra gli Appennini». L'emergenza sta al Sud?«Luca Ricolfi, che di destra non è, ha scritto un libro intitolato Il sacco del Nord: siamo stati depauperati di risorse, perennemente. Oggi il Nord non ce la fa più. Abbiamo bisogno di risorse anche da queste parti. Abbiamo un residuo fiscale di 50 miliardi e siamo costretti ad accapigliarci per qualche centinaio di milioni per fare un pezzo di strada. E con evidenza l'antica ricetta della Cassa del Mezzogiorno non ha funzionato».Per stare con Draghi servono i compromessi. Si rischia di perdere la bussola?«La democrazia è un compromesso, altrimenti è dittatura. E gli accordi sono sempre al ribasso, è evidente. Ma questo non significa che abbiamo smarrito l'identità. Segnalo che è della Lega l'ex ministro degli Interni che si è battuto con successo contro l'immigrazione clandestina, e si è talmente esposto da meritare un processo secondo me totalmente ingiusto. Siamo al 20%. Quando facevo politica io non ci siamo mai arrivati. O meglio: nel '93 ci potevamo arrivare, poi Berlusconi si è pappato i nostri voti».Il green pass vi ha divisi. «Tema transeunte. A meno che qualcuno in qualche piega del cervello stia pensando a una sovietizzazione del Paese». C'è questo rischio?«L'idea che si possa utilizzare la pandemia come scusa per introdurre molte questioni da socialismo reale e deleterio, in stile Ceausescu o Grande Fratello, qualcuno mi sembra che la abbia». Passiamo alla giustizia: l'hanno tirata in ballo sulla crisi della magistratura. Dicono che le sue leggi da ministro ne furono la causa. «Accuse paradossali e strampalate. Con la nostra riforma dell'ordinamento giudiziario il caso Palamara non sarebbe esistito».E prima tra i giudici si svolgeva tutto alla luce del sole? «Anzi, e infatti andammo al governo denunciando pratiche scorrette, per cambiarle. Peccato che con il governo Prodi, ministro Mastella, abbiano cancellato i concorsi pubblici per la progressione dei magistrati che noi avevamo introdotto. Ho cercato di correggere il malcostume, ammetto che è stato difficile farlo restando dentro l'alveo costituzionale. Le correnti sono restate forti, il Csm è l'unico organo che ha potere di vita o di morte sui magistrati, al di fuori di qualsiasi controllo». A parte quello del presidente della Repubblica, intende? «Sì, ci sarebbe. Ma lo ha mai visto intervenire? Il silenzio di Sergio Mattarella su Palamara mi ha colpito. In Francia il presidente del Consiglio della magistratura è il ministro della Giustizia: è così che vanno le cose nei Paesi civili».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci