2023-01-16
Più restrizioni, più vaccini, più morti
È il drammatico bilancio della reazione italiana alla pandemia. I dati comparati tra i vari Paesi dimostrano che non c’è alcuna relazione causa-effetto tra misure liberticide o copertura vaccinale e minore extramortalità. Anzi. Un ulteriore colpo al green pass.A distanza di tre anni dallo scoppio della pandemia, mentre proprio nei giorni scorsi abbiamo «celebrato» l’anniversario del decreto che diede il la alle discriminazioni dei non vaccinati, abbiamo la possibilità di consultare dei dati statistici consolidati, quantomeno sul 2020 e sul 2021, e partendo da alcune semplici elaborazioni di trarre conclusioni difficilmente oppugnabili. Partiamo dall’eccesso di mortalità registrato nel 2020 rispetto alla media dei decessi avuti tra il 2015 e il 2019. I dati che seguono sono tratti dai siti web degli istituti di statistica nazionali di tutti i Paesi presi in esame. La classifica ci vede, tra i Paesi Ocse, al nono posto (+16,4%): tra gli Stati avanzati sopra di noi figurano soltanto Stati Uniti (+21,2%) e Spagna (+17,3%). La Germania registra un +5,7%, la Francia +10,9%, il Portogallo e l’Olanda rispettivamente +11,4% e +12,2%, l’Austria +10,5%, la Svizzera +13,9%, la Svezia +7,9%, Israele +9%, il Regno Unito +13,9%. Se rapportiamo l’eccesso di morti alla popolazione finiamo addirittura al quarto posto, con sopra di noi soltanto Slovenia, Polonia e Messico. «Ma noi siamo stati i primi a essere colpiti dal virus!». Poniamo che ciò sia vero, e non c’è motivo di dubitarne, questo dovrebbe implicare un netto miglioramento in classifica se analizziamo solo i dati della seconda parte dell’anno, tra luglio e dicembre. Per cominciare, l’Italia registra in quel periodo di tempo il 18,4% di morti in più rispetto alla media dei decessi 2015/2019 (più del valore complessivo annuale). Effettivamente, Paesi come la Svizzera e il Portogallo fanno peggio di noi in quel lasso temporale, con rispettivamente un +27,9% e +20%, cifre nettamente maggiori del loro dato annuale (che comunque è inferiore al nostro). La stessa dinamica, però, non si riflette in altri Stati: Israele, Olanda e Germania registrano rispettivamente un +15,3%, +13,7% e +11,6%. Nel Regno Unito non si osserva nemmeno un aumento superiore, in quei mesi, alla media dell’intero anno: 9% di morti in più tra luglio e dicembre del 2020, a fronte di un eccesso del 13,9% sull’intero anno. Lo stesso dicasi per la Svezia, che scende a +5,2%, rispetto a un dato annuale di +7,9%. Pare abbastanza evidente che l’obiezione non tiene. «Chi ha avuto meno decessi aveva più restrizioni!». Purtroppo no. L’università di Oxford ha elaborato un sistema piuttosto articolato per misurare numericamente il livello di restrizioni presenti in ogni Paese in un determinato momento. Si chiama Stringency index ed è parte dell’Oxford Covid 19 government response tracker della Blavatnik school of government. Con tutti i limiti che uno strumento del genere può avere, aiuta senz’altro a delineare un quadro generale. La media dell’Italia tra marzo e dicembre del 2020 è di un indice di restrizioni pari al 74,2%, al terzo posto tra i Paesi Ocse. Sopra di noi soltanto Colombia e Cile. Saliamo al primo posto se prendiamo la media tra marzo e giugno, e al secondo se ci concentriamo sul periodo tra settembre e dicembre (qui ci precede soltanto il Cile). La media annuale della Germania è 60,9%, dell’Olanda 59,7%, della Svezia 58,1%, della Svizzera 50,3%, del Regno Unito 66,8%. Nel 2020 registriamo tra i Paesi avanzati uno dei peggiori rapporti (se non il peggiore) tra eccesso di mortalità e limitazioni della libertà, mentre emerge piuttosto chiaramente che non sussiste alcuna correlazione statistica tra inasprimento delle restrizioni e minor numero di decessi. «Il 2020 non conta, eravamo tutti impreparati. Bisogna guardare al 2021!». Guardiamoci. Sempre in rapporto alla media 2015/2019, l’eccesso di mortalità in Italia è del 10,3%, al 23° posto tra i membri dell’Ocse. Gli Stati avanzati sopra di noi sono Austria (+11%), Portogallo (+12,7%), Israele (+13,2%) e Stati Uniti (+23,8%). Merito della campagna vaccinale? Insomma. Al 31 dicembre 2021, i vaccinati in Colombia secondo Ourworldindata (da qui i dati sui vaccini) sono il 74% della popolazione, ma l’eccesso di mortalità rispetto al quinquennio di riferimento è del 56,9%. Gli Stati Uniti contano il 73,5% di popolazione vaccinata, non una cifra insignificante, ma come visto registrano il 23,8% di decessi in più, mentre in Lettonia si osserva il 21,5% di mortalità in eccesso a fronte di un tasso di vaccinazione del 71%. L’Italia è all’82%, mentre il Portogallo, che come abbiamo visto ha un eccesso di mortalità superiore al nostro, vanta ben il 91,3% di popolazione vaccinata. La Svezia l’ultimo giorno dell’anno aveva vaccinato il 73% della popolazione, come gli Stati Uniti e meno di noi, ma la sua mortalità è molto vicina a quella della media 2015/2019: soltanto l’1,1% in più. In Austria è vaccinato il 75%. In Svizzera a fine 2021 i vaccinati sono il 68,2% della popolazione, quasi il 14% meno di noi, ma l’eccesso di mortalità è del 6,4%, quasi il 40% in meno del nostro. È quindi evidente che il numero di vaccinati sull’intera popolazione non è in grado di spiegare le differenze di mortalità. Cade anche il secondo pilastro su cui si è retta la retorica dei lasciapassare vaccinali, dopo la millantata garanzia di trovarsi tra persone non contagiose. Quando la realtà ha smentito questa assurda dichiarazione -pronunciata in un momento in cui bastava osservare i dati di Israele, più avanti di noi con la campagna vaccinale, per sapere che fosse un’idiozia - i fautori delle discriminazioni tramite carta verde si sono appellati alla necessità di ridurre, attraverso i vaccini, l’occupazione degli ospedali, senza mai ricordare che i ricoverati sotto i 50 anni erano statisticamente irrilevanti. Il tempo, però, è galantuomo: i dati mostrano chiaramente che non c’è nessuna correlazione statistica tra vaccinazione di massa e diminuzione dei morti. Per avere una correlazione, bisognerebbe forse consultare i dati sulla percentuale di over 60 o 70 vaccinati, allora forse si troverebbe qualcosa. Obbligare i giovani a inocularsi un vaccino fatto in fretta e furia è stato, prima che criminale, privo di ogni fondamento. Altro che scienza. In riferimento al 2021, lo Stringency index di Oxford si fa ancora più interessante, perché si arricchisce di una suddivisione interna: il parametro riferito ai no vax, quello riferito ai vaccinati e una media tra i due valori. Per quanto riguarda la media annuale dell’indice di restrizioni sui no vax, l’Italia si colloca al secondo posto, col 72,6%; sopra di noi solo la Grecia, col 74,8%. Per quanto riguarda la media annuale per i vaccinati, siamo al quarto posto con il 61,3%, ma scendiamo al nono, con il 44,4%, se si prende come riferimento il periodo settembre-dicembre, dove l’ammontare delle vaccinazioni iniziava a consentire maggiori discriminazioni. Torniamo al quarto posto se esaminiamo la media annua del valore medio tra i due parametri precedenti, con sopra di noi soltanto Grecia, Canada e Cile. Se infine si calcola la differenza tra il valore medio annuo per i no vax e lo stesso dato per i vaccinati - parametro che costituisce una sorta di indice di discriminazione - l’Italia si colloca al quarto posto, con sopra di noi soltanto Lituania, Turchia e Francia. Se si restringe il campo al periodo settembre-dicembre, però, saliamo addirittura al terzo. I dati dicono che, tra gli Stati avanzati, siamo stati tra i peggiori. Eppure, chi ha guidato l’Italia nelle fasi dell’emergenza continua ad autoassolversi, rivestendo i provvedimenti presi di una sacralità scientifica incontrovertibile. È abbastanza palese, però, che se fossero state scelte obbligate e non, come d’altra parte appare evidente, politiche, tutti i Paesi si sarebbero mossi allo stesso modo, cosa che invece non è successa. Si possono giustificare reazioni fuori misura nelle prime fasi della pandemia, quando la mancanza di informazioni sul virus dava adito al panico. E se vogliamo essere ancora più comprensivi, si può anche riconoscere che la gestione dell’emergenza sarebbe stata difficile per chiunque, dal momento che era un continuo navigare a vista verso l’ignoto. Quello che invece è inammissibile, oltre alle pesanti discriminazioni che una fetta non marginale di popolazione ha dovuto subire, è che i protagonisti di allora, invece di ammettere i propri errori e il proprio fallimento, vadano ancora in giro pontificando ed esigendo che tutti riconoscano l’insindacabilità del loro operato, nonché la validità del loro paradigma, scappando dalle responsabilità politiche grazie alla copertura di una pseudo scienza. Una cosa deve essere chiara: i dati dicono che non c’era nulla di necessario in quelle scelte, nelle restrizioni più rigide, nelle zone colorate, nei coprifuoco insopportabili o nell’odio che è stato montato contro presunti «no vax» di ogni genere e di ogni età. Sono state pure e semplici scelte politiche, per di più infondate e fallimentari, su cui è ora di dare un giudizio definitivo. Questo è ciò che dovrà appurare la commissione d’inchiesta che verrà istituita nei prossimi giorni: non soltanto frodi, mazzette e piani pandemici, ma soprattutto la liceità o meno delle misure più liberticide del mondo avanzato, promosse a colpi di dpcm senza che nemmeno ne siano derivati risultati migliori in termini di mortalità e salute pubblica. Ed è giusto che a condurre l’indagine sia il neoeletto Parlamento, ossia i rappresentanti che il popolo sovrano si è scelto per avere delle risposte dopo una legislatura drammatica. I futuri componenti della commissione non possono non avvertire la responsabilità che hanno davanti ai cittadini di far emergere e mostrare loro la verità.
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