2022-02-23
Vaccinarla è più rischioso del Covid. Ma l’Asl non esenta la dipendente
L’impiegata dell’Azienda sanitaria di Piacenza soffre di una grave patologia ematica. I medici ritengono l’iniezione più pericolosa di un eventuale contagio, però non la esonerano. E scatta la sospensione dal lavoro.Sta in un ufficio da sola, ha una rara forma di malattia autoimmune della coagulazione di fronte alla quale i consulenti della sua Asl ammettono che la vaccinazione è più rischiosa del Covid stesso, ma se non offrirà al più presto il braccio alla patria verrà comunque lasciata a casa senza stipendio. È la vicenda kafkiana di una signora emiliana che ha la sfortuna di essere un’impiegata dell’Asl di Piacenza, dove evidentemente la propaganda è più importante dei casi eccezionali e dello stesso buonsenso. Anche perché se il suo caso fosse anche dubbio (e come si vedrà non lo è), andrebbe tenuto conto che non fa né il medico né l’infermiera e non ha contatti con il pubblico. La signora Rosalba Carrara, questo il nome dell’impiegata, da un momento all’altro potrebbe essere sospesa e lasciata a casa senza stipendio perché non è vaccinata. Per mesi e mesi, è andata a lavorare facendo un tampone ogni due giorni. Se potesse, il vaccino lo farebbe volentieri, ma ha una serie di patologie importanti. La più pericolosa dal punto di vista vaccinale è la trombocitopenia autoimmune, un tempo chiamata «porpora», caratterizzata da un deficit importante di piastrine nel sangue. Poco prima di Natale, la signora commette una piccola ingenuità e accetta, senza consigliarsi con un legale, la proposta del suo datore di lavoro di rivolgersi al Vax Consilium, un organismo della Regione Emilia Romagna che offre valutazioni sui casi dubbi. Il sette gennaio, il Consilium dà il responso e in un documento di sette pagine, comprensivo di dotta bibliografia sulle patologie dell’impiegata, analizza anche le possibili interazioni del vaccino con le molte medicine (cortisonici compresi) che la signora deve prendere. I tre medici, Luciano Attard, Lorenzo Marconi e Pierluigi Viale, scrivono che «il rischio di una riacutizzazione della malattia in caso di vaccinazione per il Covid è nell’ordine dell’8-12%». Mentre se la stessa persona non si vaccinasse e prendesse il virus cinese, il rischio di peggioramento e di nuovi sanguinamenti «è pari al 5-10%». Le due forchette sembrerebbero quindi consigliare prudenza, con relativa esenzione dall’obbligo vaccinale. E invece no, perché i tre medici aggiungono che «la signora Rosalba, essendo un’operatrice sanitaria, risulta particolarmente esposta al Sars Cov2». «Pertanto, sebbene non sia possibile escludere un’eventuale riacutizzazione della malattia ematologica di Rosalba dopo il vaccino», proseguono con tono assai amichevole, «riteniamo che il rapporto tra rischi e benefici sia a favore della vaccinazione». Con in mano questo autorevole parere, la signora ha capito che era il caso di non fidarsi più della sua Asl e si è rivolta all’avvocato Sara Soresi, del foro di Piacenza. Che oltre a ravvisare subito la stranezza di quei due calcoli delle probabilità che hanno portato a un consiglio finale ribaltato, le ha consigliato di non accettare più semplici comunicazioni verbali dalla direzione del personale della sua azienda ospedaliera, ma di farsi mettere tutto per iscritto, a cominciare dai pressanti inviti a vaccinarsi. E la gestione della faccenda da parte dell’Asl, a questo punto, non è stata più neanche lontanamente amichevole. Va detto che il parere chiesto al Vax Consilium regionale non è neppure un arbitrato, nel senso che il suo esito non ha alcun valore di legge e non costituisce alcun obbligo. Insomma, sarebbe comunque stato meglio negare il consenso a questa procedura, ma la signora Rosalba aveva solo voglia di poter continuare a lavorare tranquilla e si è fidata, così ha firmato la richiesta, nella convinzione che le sue patologie fossero indiscutibili. In ogni caso, il consiglio finale si regge in buona parte su un’informazione sbagliata che qualcuno ha riferito ai medici, ovvero il fatto che la signora Carrara sia «un’operatrice sanitaria». In realtà, è un’impiegata amministrativa che fino a due mesi fa lavorava in una stanza con una collega, che però è andata in pensione. Il risultato è che ora sta pure da sola. Ma i suoi capi non ci vogliono sentire e hanno deciso che si deve vaccinare e basta. La scorsa settimana, la signora è stata convocata dal personale e le è stato detto che o si vaccina immediatamente, oppure verrà avviata la procedura per la sospensione dal lavoro e dallo stipendio. Un aut aut disumano e illogico al tempo stesso. «Trovo sconcertante che il Vax consilium attesti che i rischi della vaccinazione della mia assistita superino i benefici, ma poi consigli ugualmente la vaccinazione», osserva l’avvocato Soresi. Che poi tende la mano all’Asl: «Spero che la signora Carrara possa convertire la sua esenzione e continuare a svolgere il suo lavoro senza dover essere obbligata a operare una scelta tra il lavoro e la salute». L’esenzione infatti c’era, ma entro il 27 febbraio dev’essere convertita in digitale, altrimenti decade. Resta il fatto che è difficile parlare di «scelta» quando un datore di lavoro ti mette così spalle al muro.Non è meno paradossale che a comportarsi così sia una Asl nei confronti di una sua dipendente. La sensazione è che se la signora Carrara lavorasse in un’azienda privata, magari piccola, magari defilata, probabilmente avrebbe già in tasca l’esenzione. Ma evidentemente, il fatto che il suo datore di lavoro sia la Regione guidata da Stefano Bonaccini, e che vi sia di mezzo questo comunque autorevole parere del Vax Consilium, ha dissuaso i medici dal mettersi contro la loro Asl.
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