2023-02-26
«I dem usano l’Ucraina come il Covid». Negli Usa monta la fronda anti Biden
Il repubblicano Ted Cruz attacca: «Assegni in bianco a Kiev senza strategia. C’è troppo moralismo, come con la pandemia». E denuncia la mano tesa all’Iran: «I missili contro i droni di Teheran restano in America».Il leader degli Stati Uniti apre alla ricandidatura. E frena sugli aerei al Paese aggredito: «Non ne ha bisogno».Lo speciale contiene due articoli.Siamo sicuri che la gestione del dossier ucraino attuata da Joe Biden sia trasparente e lineare? A non esserne affatto certo è il senatore repubblicano Ted Cruz. «Non abbiamo tutta la responsabilizzazione di cui abbiamo bisogno», ha detto in un podcast due giorni fa. «L’amministrazione Biden non fornisce i missili che potrebbero abbattere i droni iraniani. Perché la sua priorità è leccare i piedi all’ayatollah e stipulare un nuovo accordo nucleare, anche se mina la sicurezza nazionale degli Usa», ha proseguito, per poi aggiungere: «C’è pochissima trasparenza sui miliardi che stanno andando al governo ucraino, non per munizioni e armi, ma solo per sostegno economico generale». «Con una maggioranza repubblicana alla Camera, penso che vedrete molto più controllo sui fondi inviati», ha proseguito il senatore. «Penso», ha continuato, «che ci sarà ancora la volontà di fornire munizioni o armi che gli ucraini possano usare per difendersi. Penso che ci sarà ben poco interesse per assegni fuori controllo al governo ucraino». «Penso anche che l’attenzione debba essere focalizzata su quale sia il nostro obiettivo nazionale strategico», ha aggiunto, concludendo: «I dem indossano la spilletta dell’Ucraina. È diventata come la mascherina per il Covid: è un simbolo per mostrare la tua virtù». La posizione del senatore repubblicano è piuttosto articolata. Il sostegno militare all’Ucraina non viene messo in discussione. Le perplessità sono semmai espresse su come l’amministrazione Biden sta gestendo questo delicato dossier. Primo: Cruz lamenta un’assenza di strategia complessiva. Un’accusa tutt’altro che infondata. È dai mesi immediatamente precedenti all’invasione russa che Biden si è spesso mostrato irresoluto, senza avere obiettivi strategici chiari: una situazione dovuta sia alla sua mancanza di leadership sia alle divisioni in seno alla sua stessa amministrazione. Secondo: Cruz ha denunciato scarsa trasparenza nell’invio di fondi. Un tema già emerso durante la campagna elettorale per le ultime elezioni di metà mandato. Terzo: il senatore ha sottolineato i cortocircuiti geopolitici in cui è piombata l’attuale Casa Bianca. Una Casa Bianca che, mentre metteva sanzioni alla Russia, le ha allentate al Venezuela, che con la Russia intrattiene stretti legami. Stesso discorso vale per il tentativo di rilanciare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran, che ha ottimi rapporti proprio con Mosca, tanto da fornirle droni militari contro Kiev. Quarto: il senatore ha messo in evidenza come certi atteggiamenti velleitari di alcuni ambienti progressisti rischino di allontanare consenso dalla causa occidentale. Ora, vale la pena ricordare che Cruz non è esattamente un signor nessuno all’interno del Partito repubblicano. Fa parte della commissione Esteri del Senato ed è considerato un papabile candidato alla nomination presidenziale del 2024. Non solo. Queste sue posizioni non sono isolate in seno al Gop. A ottobre, pur sottolineando la necessità di supportare militarmente l’Ucraina, l’attuale Speaker della Camera, Kevin McCarthy, si disse contrario ad assegni in bianco a Kiev. Una tesi espressa anche dal presidente del think tank conservatore Heritage Foundation, Kevin Roberts. E questo nonostante Heritage si sia ripetutamente schierata a favore del sostegno militare all’Ucraina. Lo stesso governatore della Florida, Ron DeSantis, ha accusato Biden di condurre sull’Ucraina una «politica di assegni in bianco senza un chiaro obiettivo strategico identificato». Ripetiamo: questo non significa che, fatta eccezione per una piccola pattuglia parlamentare di isolazionisti, il Partito repubblicano sia contrario agli aiuti militari a Kiev. Il nodo che molti esponenti del Gop stanno evidenziando riguarda semmai la modalità e la strategia con cui questi aiuti vengono inviati. D’altronde, a chi accusa i repubblicani di essere filorussi, bisognerebbe rinfrescare la memoria. Fu infatti l’amministrazione Trump a ritirarsi dall’accordo sul nucleare con l’Iran nel maggio 2018, scatenando le ire di Mosca. E fu sempre l’amministrazione Trump a imporre sanzioni al gasdotto Nord Stream 2, fortemente voluto dal Cremlino, a dicembre 2019. È invece stato Biden a cercare di ripristinare l’accordo iraniano a partire da aprile 2021. Ed è stato sempre Biden a revocare le sanzioni al Nord Stream 2 nel maggio di quello stesso anno. Non solo: fu proprio l’attuale presidente americano a recarsi a un inutile bilaterale in Svizzera con Vladimir Putin nel giugno 2021, offrendo al leader russo una passerella che lo rafforzò sul piano internazionale. Tutto questo, senza ottenere alcuna contropartita concreta da Mosca. La crisi afgana ha fatto il resto, azzoppando la capacità di deterrenza statunitense e rendendo così Russia e Cina più baldanzose. Ci sarà del resto un motivo se Putin ha aggredito l’Ucraina durante le presidenze di Barack Obama e di Biden, non azzardandosi invece a muovere un dito nei quattro anni in cui erano alla Casa Bianca i repubblicani. È per questo che il Gop vuole inserire gli aiuti militari all’Ucraina all’interno di un contesto strategico definito, indicando obiettivi chiari e - soprattutto - il più possibile misurabili. L’assenza di tale chiarezza rischia infatti soltanto di creare un Afghanistan nel cuore dell’Europa orientale. Perché la difesa dell’Occidente passa dai valori ma anche da strategie precise, che evitino i cortocircuiti. Le due cose sono inscindibili. L’alternativa è procedere a tentoni e non è esattamente auspicabile.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/usa-dem-ucraina-come-covid-2659468692.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-capo-della-casa-bianca-avverte-xi-pero-nega-i-caccia-f16-agli-invasi" data-post-id="2659468692" data-published-at="1677381915" data-use-pagination="False"> Il capo della Casa Bianca avverte Xi però nega i caccia F16 agli invasi Forse si ricandida. Ma ne siamo poi così sicuri? Durante un’intervista ad Abc News, Joe Biden ha detto di voler correre per un secondo mandato. «La mia intenzione è sempre stata questa. Ma ci sono troppe cose da realizzare prima che io inizi una campagna», ha detto. Nella stessa intervista sono stati toccati vari punti relativi alla crisi ucraina. Il presidente ha innanzitutto escluso, per ora, l’invio di F16 a Kiev. «Per il momento Volodymyr Zelensky non ne ha bisogno», ha spiegato, riferendo di aver avuto una «conversazione privata» con il leader ucraino. Kiev aveva chiesto i caccia e, secondo indiscrezioni degli ultimi giorni, sembrava che Washington fosse ormai disposta a inviarli. L’inquilino della Casa Bianca ha inoltre affermato che gli Usa «risponderebbero», qualora la Cina fornisse armi alla Russia. E, pur non specificando il tipo di ritorsione, ha lasciato intendere che si tratterebbe di «sanzioni severe». Del resto, il Washington Post ha rivelato che Pechino starebbe considerando di inviare a Mosca dei proiettili di artiglieria. Tuttavia, a tenere banco resta la ricandidatura presidenziale, la cui ufficialità tarda ad arrivare. Cosa sta succedendo? In primis, sul piano internazionale Pechino sta cercando di sfilare a Washington il ruolo di attore diplomatico principale nella crisi ucraina. Certo, il piano di pace del Dragone è un documento vacuo, astratto e molto probabilmente elaborato - come dicono gli Usa - con il sotterraneo obiettivo di spalleggiare de facto il Cremlino. Resta però il fatto che Pechino punta a sfruttare la quasi totale assenza di iniziativa diplomatica mostrata finora da Biden, per costruirsi l’immagine di grande mediatrice e incrementare così il proprio appeal tra i Paesi africani e mediorientali. In secondo luogo, negli ultimi due mesi sono piombate sul capo del presidente varie tegole: lo scandalo dei documenti classificati è peggiorato, mentre la credibilità della Casa Bianca è stata indebolita dalla crisi degli ufo e dalla malagestione del deragliamento in Ohio. Intanto molti esponenti dem hanno preso le distanze da Biden e lo stesso Barack Obama, grande sponsor della sua candidatura nel 2020, tace da mesi. Infine, anche tra gli apparati governativi e di intelligence sembrano emergere malumori e turbolenze. Possibile che non si sappia davvero quasi nulla degli oggetti recentemente abbattuti su Alaska, Yukon e Michigan? Possibile che il Pentagono per 24 ore abbia dato ufficialmente credito alla teoria degli alieni? Possibile che documenti classificati vecchissimi siano rispuntati proprio ora? Insomma, pare che a non volere un secondo mandato di Biden non siano soltanto i repubblicani. D’altronde, non è che l’attuale presidente abbia brillato finora in quanto a risultati. Alcune sue misure economiche hanno contribuito a provocare l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni. Dall’altra parte, l’anno fiscale chiusosi lo scorso settembre si è concluso con il record storico assoluto di arrivi di immigrati clandestini alla frontiera con il Messico. Non solo. Se Donald Trump veniva accusato di fomentare divisioni, non è che con il suo successore la situazione sia granché migliorata. Biden ha spesso demonizzato i repubblicani, mentre il suo Dipartimento di Giustizia ha usato l’Fbi per mettere nel mirino gruppi considerati politicamente scomodi: dagli attivisti pro life ai genitori contrari all’indottrinamento liberal nelle scuole, passando per i cattolici tradizionalisti. Insomma, sono numerose le incognite che pesano su una (eventuale) ricandidatura di Biden.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)