2020-09-25
Usa 2020: il Russiagate continua a sbriciolarsi
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Mentre si avvicinano le presidenziali del 3 novembre, il Russiagate continua a perdere pezzi. Giovedì, è stato rivelato dal ministro della Giustizia, William Barr, che una delle principali fonti su cui si basava il dossier, redatto dall'ex spia britannica Christopher Steele, sia stata indagata dall'Fbi tra il 2009 e il 2011 per sospetti contatti con l'intelligence russa.Ricordiamo che il dossier ha per lungo tempo rappresentato uno dei punti cardine dell'inchiesta Russiagate e che fu usato dal Bureau anche per ottenere dei mandati di sorveglianza sull'allora consigliere di Donald Trump, Carter Page. Nel corso del tempo si è tuttavia scoperto non solo che quel fascicolo fosse stato finanziato dagli avversari politici dell'allora candidato repubblicano (tra cui Hillary Clinton) ma anche che gran parte dei suoi contenuti risultassero fortemente infondati. Ricordiamo inoltre che l'Fbi ebbe modo di interrogare la fonte di Steele nel gennaio del 2017. E che, nonostante fosse a conoscenza dei suoi trascorsi come sospetta spia russa (oltre che della farraginosità del rapporto), il Bureau continuò comunque ad usare il dossier per ottenere il rinnovo dei mandati di sorveglianza ai danni di Page. Del resto, già in un report del Senato pubblicato ad agosto si lasciava chiaramente intendere che nel dossier di Steele potesse essere presente della disinformazione russa. Un elemento che potrebbe ribaltare la consueta (e infondata) vulgata di un Trump «favorito» dal Cremlino nel vincere le presidenziali del 2016. Non sarà del resto un caso che i repubblicani - a partire dal senatore del South Carolina Lindsey Graham - stiano già promettendo battaglia su questo fronte. «Mi fa arrabbiare che l'Fbi sapesse che la fonte principale, un singolo individuo, era un sospetto agente russo», ha dichiarato Graham. «[Gli agenti] hanno usato il prodotto del lavoro di quella persona per ottenere un mandato contro un cittadino americano in quattro diverse occasioni. Non hanno mai informato la corte di queste prove a discarico», ha aggiunto.Ma non è tutto. Perché venerdì è stato reso noto che l'agente dell'Fbi William J. Barnett (che prestò servizio nel team del procuratore speciale Robert Mueller) ha dichiarato che il procedimento giudiziario contro l'ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Mike Flynn, avesse come obiettivo quello di «prendere Trump» e che considerava l'indagine sulla presunta collusione con la Russia un «vicolo cieco». Barnett ha rilasciato questi commenti nel corso di un interrogatorio, avvenuto lo scorso 17 settembre, al Dipartimento di Giustizia davanti al procuratore Jeffrey Jensen: quel Jeffrey Jensen che è stato recentemente nominato da Barr per revisionare il caso giudiziario contro Flynn e che - secondo quanto riportato da Fox News - sta collaborando alla controinchiesta sul Russiagate, condotta dal collega John Durham.In particolare, ad essere pubblicato è stato il riassunto dell'interrogatorio, durante il quale Barnett ha definito «opaca» l'indagine Crossfire Hurricane (avviata dall'Fbi nel luglio del 2016 su alcuni membri del comitato elettorale di Trump), oltre che «con pochi dettagli riguardo a prove specifiche di eventi criminali». Va anche precisato che, stando al documento, l'agente ritenesse ci fossero ragioni per tenere sotto controllo dei componenti del comitato dell'allora candidato repubblicano, ma che Flynn non rientrasse tra costoro. È invece parlando del suo lavoro nel team di Mueller che Barnett ha dichiarato come, in quel contesto, alcuni puntassero a colpire Trump: un'affermazione che lascia chiaramente intendere scopi di natura politica (anziché giudiziaria). «Non si lasciava che le prove guidassero l'indagine», ha affermato l'agente, secondo il riassunto, «l'atteggiamento è più quello di dire: le prove ci sono, vanno solo trovate». E ancora: «Barnett riteneva che l'accusa a Flynn da parte dell'ufficio di Mueller fosse usata come mezzo per prendere Trump». Insomma, il Russiagate continua a sbriciolarsi e lo fa proprio mentre si sta entrando nell'ultimo mese della campagna elettorale, con i democratici che sono tornati a tacciare (un po' paradossalmente) il presidente di collusione con il Cremlino.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)