2022-02-21
«Una Libia instabile favorisce la Francia sul petrolio e ci penalizza sui migranti»
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Daniele Ruvinetti, analista politico esperto di questioni mediorientali per la Fondazione Med Or: «L’autostrada Tripoli-Bengasi dovrebbe essere realizzata da aziende italiane, ma non ci sono grossi passi in avanti. Dopo il fallimento dell'Onu serve di più da parte del nostro Paese»Dopo aver ceduto diversi asset nell'Africa centrale, tra cui 2 blocchi in Angola e 7 in Gabon, Total vuole concentrare la sua produzione in Nord Africa. Risetto allo scorso anno il calo giornaliero della produzione di barile è stato del 15%. Lo speciale contiene due articoli«In Libia serve un interlocutore rappresentativo, ossia servono certezze, senza di queste l’Italia come gli altri Paesi possono fare ben poco. L'assenza di punti di riferimento politici unici è una delle criticità libiche da molto tempo. Davanti a potenziali nuove divisioni, rischiamo di certo una nuova ondata migratoria e una destabilizzazione più ampia che toccherebbe anche settori dell'Oil&Gas così come potrebbe essere sfruttata per la penetrazione di attori competitivi». Daniele Ruvinetti, analista politico esperto di questioni mediorientali per la Fondazione Med Or, spiega alla Verità quello che sta succedendo in Libia e quali sono i rischi che corre il nostro Paese durante questa fase di transizione a Tripoli. Sono passati ormai due mesi dal 24 dicembre, quando si sarebbe dovuto votare in Libia. Cosa sta succedendo? «Il 24 di dicembre non si è riuscito a votare come era stato tracciato dalla road map dell’Onu. Le Nazioni Uniti avevano promoss un il compito di accompagnare il Paese alle elezioni».Cosa è successo?«La discesa in campo di Saif al Islam Gheddafi ha creato le principali problematiche. Saif gode di un forte supporto interno, e i principali candidati Abdul Hamid Dbeibeh, Khalifa Haftar e Fathi Bashagha lo hanno sempre visto come un grande pericolo. Oltre a questo ci sono state le polemiche per il mandato di cattura internazionale. E’ una candidatura che ha generato polemiche e che ha di fatto creato non poca instabilità in un momento molto delicato per la Libia. Così dopo il 24 dicembre il governo ha perso il senso del suo incarico ad interim e dunque ha perso il senso della fiducia, che era legata proprio alle elezioni e il parlamento ha quindi deciso di votare un nuovo primo ministro»Quindi ora cosa dobbiamo aspettarci?«C’è un dialogo in corso tra l’attuale primo ministro incaricato Bashaga e le altre componenti libiche di est e ovest. E’ un contatto che sta andando avanti, che porterà molto probabilmente alla presentazione da parte di Bashaga della lista dei ministri nella settimana del 28 Febbraio per l’approvazione del Parlamento. Ma ha un peso: Dbeibeh non vuole mollare. E allo stesso tempo il consiglio di stato di Tripoli sta cercando un modo per costruire la riforma costituzionale e andare al voto tra 14 mesi. Prevedo che Bashaga avrà la fiducia del Parlamento sul suo governo perché negargliela significherebbe l’invio da parte del Parlamento di forte delegittimazione , visto che Bashaga è stato voluto e votato all’unanimità dalla stesso Parlamento».In tutto questo ci sono gli interessi economici nazionali e internazionali«C’è bisogno di un governo forte, con personalità di spessore, che sia una mediazione tra le varie tribù libiche. Senza un esecutivo capace sarà impossibile dialogare, sarà complicato per la Libia fornire all’esterno un messaggio di affidabilità e dare finalmente un nuovo sviluppo economico e infrastrutturale al Paese». La Turchia di Erdogan continua a essere uno degli attori principali«Erdogan spingeva per le elezioni, ma in realtà per mantenere lo status quo che vede una forte presenza turca in Tripolitania. E’ stato di recente negli Emirati Arabi Uniti e anche gli emiratini guardano con sospetto alle mosse degli altri paesi. La Russia, ricordo, ha fatto un endorsement a Bashaga. Ognuno ha i propri interessi, ma in questo momento sensibile sembra presente una sorta di allineamento d’astri. E poi c’è l’Europa che dovrebbe, e sia chiaro potrebbe, giocare un ruolo più forte ed incisivo ma che purtroppo non riesce ad esprimere una posizione unitaria».L’Italia rischia di perdere terreno rispetto ai i suoi asset economici?«La Libia ha la fortuna di essere comunque un paese ricco grazie al petrolio e al gas. Ma non c’è sviluppo, i libici non riescono a mettere a terra i progetti, anche per queste continue crisi istituzionali. Dovrebbero puntare molto sulle infrastrutture. L’autostrada Tripoli-Bengasi dovrebbe essere realizzata da aziende italiane, ma non ci sono grossi passi in avanti, lo stesso vale per l’appalto della ricostruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli sempre in mano ad un consorzio italiano. Si va avanti con difficoltà. Di progetti di sviluppo ce ne sarebbero tantissimi da fare, ma non c’è una stabilità politica che permetta di operare. Su petrolio e gas Eni per fortuna continua a esserci». Ma i francesi continuano a cercare spazio«Non solo Total. Anche i russi hanno i loro interessi. E’ chiaro che in Francia, alle prese con le presidenziali di aprile, c’è un po’ di disattenzione in questo momento». E l’Italia?«Stiamo provando a ritagliarci un ruolo, ma è l’Europa che rischia di essere assente. Serve un’azione sinergica europea altrimenti russi, turchi ed egiziani la fanno da padrone. Il trattato Francia-Italia potrebbe servire da azione sinergica, ma bisogna comunque sapere quale governo avremo in Libia».Il nostro governo dovrebbe essere più presente?«L’Italia da sola può fare poco. Bisogna essere partecipi e guidare un processo dentro la Libia. Essendo l’Onu indebolito, deve essere l’Europa ad avere un peso diverso. Servono accordi. L’Italia può cercare di arrivare a una stabilità, ma per incidere oltre a dare supporto alle Nazioni Unite deve muoversi con l’Europa, anche perchè le nazioni unite hanno perso credibilità in Libia».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/una-libia-instabile-favorisce-la-francia-sul-petrolio-e-ci-penalizza-sui-migranti-2656752084.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="total-registra-un-calo-del-2-nella-produzione-rispetto-al-2021" data-post-id="2656752084" data-published-at="1645438816" data-use-pagination="False"> Total registra un calo del 2% nella produzione rispetto al 2021 Mentre il presidente francese Emmanuel Macron organizza l’ultimo tentativo di sventare la guerra tra Russia e Ucraina, la compagnia petrolifera francese fa i conti con un calo di produzione del 2%. Nello scorso anno si sono registrati 2,82 milioni di barili di petrolio al giorno rispetto al 2020, quando furono 2,87 milioni. Il calo è dovuto in gran parte al continente africano, sottolinea Africanintelligence, giornale considerato vicino ai servizi segreti francesi. L'Africa - la seconda regione più importante per Total dopo Europa-Asia centrale - ha visto la sua produzione diminuire lo scorso anno più che negli altri paesi. Secondo i risultati del quarto trimestre, pubblicati dall’azienda il 10 febbraio scorso, il calo giornaliero sarebbe stato del 15%, dal momento che si è passati da 629.000 bpd nel 2020 a 532.000 bpd nel 2021. I dati si riferiscono all'Africa subsahariana, poiché la regione del Medio Oriente e del Nord Africa è cresciuta del 7% lo scorso anno, in particolare grazie alla ripresa delle attività in Libia, dove la produzione potrebbe aumentare ulteriormente quest'anno. Total, dopo aver acquisito la partecipazione del 16,33% di Marathon Oil nelle concessioni Waha nel 2019, ha completato l'acquisto alla fine dello scorso anno del 4% delle azioni di Hess Corp, aumentando la sua partecipazione e passando dal 16,33% al 20,41%.Total nel 2021 ha anche concluso la vendita di sette giacimenti offshore non più in funzione in Gabon, nonché il terminal di Cap Lopez, ceduto al gruppo franco-britannico Perenco. Il trend è destinato a continuare nel 2022 dopo aver venduto le sue partecipazioni in Angola sui blocchi 14 e 14T a Somoil a gennaio. Per di più va ricordato che le attività di Total sul fronte delle energie rinnovabili in Africa non è particolarmente significativa. Il suo unico progetto è un impianto di energia solare con capacità installata di 100 Mw in Sud Africa. Ad oggi nessun altro progetto di centrale eolica, onshore o offshore, è in costruzione nella zona subsahariana, anche per le difficoltà nelle garanzie di pagamento a lungo termine. Tuttavia, durante una visita nel mese scorso in Ruanda, l'amministratore delegato di Total Patrick Pouyanné ha firmato un memorandum d'intesa con il Rwanda Development Board per «collaborare su progetti legati al settore energetico». Questi potrebbero includere anche l'energia idroelettrica.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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