2022-08-21
Una cupola chiamata Pd
Il caso Ruberti conferma che il partito di Enrico Letta è ormai soltanto «un coagulo di potere»: lo ammette lo stesso Claudio Velardi. E l’intervista di Luca Palamara alla «Verità» svela come i bassi interessi vengano protetti anche grazie alla commistione con parte della magistratura.Dalle appassionanti vicende che in questi giorni coinvolgono il Pd, si deduce una serie di interessanti riflessioni. La prima ci fa dire che il partito di cui è segretario Enrico Letta «è ormai solo un punto di coagulo di persone (spesso per bene, a volte no) che aspirano al potere. Ma il potere - quello vero - non è solo gestione: ha bisogno di un’anima, di una visione, di una leadership. Senza tutto ciò, restano i casi penosi di cui si discute». Ogni riferimento ad Albino Ruberti, fino all’altro ieri capo di gabinetto del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, caduto per aver minacciato di sparare a un compagno di partito se non si fosse inginocchiato per chiedergli scusa, è ovviamente voluto e le parole che ho trascritto tra virgolette non sono mie, ma di un uomo che la sinistra la conosce da vicino, avendo militato per anni tra le sue fila e ricoperto incarichi di prestigio a Palazzo Chigi. Claudio Velardi, un tipo che insieme con Fabrizio Rondolino e Marco Minniti era considerato uno dei Lothar di Massimo D’Alema quando questi era presidente del Consiglio, sa naturalmente di che parla, perché ha percorso i gradini di una carriera politica che si è sviluppata tra Pci, Pds e Ds, prima come segretario regionale dei comunisti in Basilicata e poi come capo ufficio stampa del partito. Dunque, se dice che il Pd è un coagulo di potere e che per gestire tutto ciò serve una leadership altrimenti ci si ritrova alla mercé degli Albino Ruberti, non lo fa a vanvera.Del resto, lo stesso Nicola Zingaretti, che il capo di gabinetto di Gualtieri lo ha avuto alla guida del suo staff in Regione, si dimise dalla segreteria del Pd dicendo che i suoi compagni erano solo a caccia di poltrone. Sì, l’appassionante discussione notturna a Frosinone fra uno degli uomini più potenti del Pd romano e alcuni esponenti del sottobosco del partito di Letta, mostra di che pasta siano fatti i democratici e quanto abbiano a cuore l’Agenda Draghi e i destini del Paese. Coloro che si candidano a governare e dicono di essere i soli a poter garantire che l’Italia non deragli, non hanno il volto di Letta, ma quello da bulli di paese di Ruberti e compagni, rappresentanti di un coagulo di potere, di cui a volte - come dice Velardi - non fanno parte persone perbene. Ma se questa è la prima riflessione, ne consegue una seconda e cioè che con Letta alla guida del Pd non è cambiato niente e il partito rimane tale e quale a come lo definì Zingaretti, ovvero un gruppo di persone che passano il loro tempo a caccia di poltrone per spartirsi il potere. Non c’è leadership, non c’è visione, non c’è anima - per dirla sempre con Velardi - ma solo bassi interessi.Tuttavia, tra le appassionanti vicende dei giorni scorsi ce n’è una che non ha avuto la stessa risonanza riscossa dal video di Ruberti e però meriterebbe altrettanta attenzione, in quanto rientra nel filone tracciato dall’ex capo di gabinetto di Gualtieri e svela un partito che si crede al di sopra della legge. Mi riferisco all’intervista concessa al nostro giornale da Luca Palamara, ex numero uno dell’Associazione nazionale magistrati. Nel colloquio con Giacomo Amadori, l’ex pm rivela i contatti con il Pd, le fughe di notizie, gli scambi tra politica e magistrati in nome della carriera, il tutto alla faccia dell’obbligatorietà dell’azione penale, della segretezza delle indagini, dell’indipendenza della magistratura. Cene eleganti tra magistrati e politici, accompagnate da spartizioni un po’ meno eleganti. Notizie riguardanti indagini, spifferate fra una portata e l’altra per consentire al partito di limitare i danni, facendo dimettere dirigenti finiti nel mirino delle Procure prima che lo scandalo li travolgesse. In cambio, discussioni sull’età pensionabile, sulle candidature e quant’altro. In pratica, l’appassionante conversazione con Luca Palamara rivela quanto da anni sospettavamo, ovvero una contiguità tra Pd e magistratura, una relazione fitta, coltivata nelle segrete stanze di ristoranti e angoli riservati d’albergo. Del resto, chi c’era attorno al tavolo dell’hotel Champagne, in compagnia di Palamara, se non magistrati delle diverse correnti e onorevoli del partito di Letta? Ora il segretario cerca di far dimenticare tutto, lasciando a casa Luca Lotti, che a quelle cene era presente. Ma l’intervista fa capire che quelle sere non erano il passatempo di un singolo onorevole, ma un sistema. Quello stesso coagulo di potere che emerge con Ruberti e la rissosa compagnia di Frosinone.
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