2019-05-09
Un uomo lega Consip e l’inchiesta sugli appalti calabresi
Indagato, insieme al governatore del Pd Mario Oliverio, anche Rocco Borgia: fu fotografato con Carlo Russo, faccendiere vicino a babbo Renzi.Per gli inquirenti il presidente lombardo Attilio Fontana avrebbe favorito la nomina dell'ex socio. Interrogati gli arrestati per aiuti alla 'ndrangheta: tutti scelgono di non rispondere.Lo speciale contiene due articoli.Il museo di Alarico, la ferrovia Cosenza-Catanzaro, le tratte turistiche, il nuovo ospedale di Cosenza: sono i piccoli e grandi affari che secondo gli inquirenti stavano molto a cuore alla cricca affaristico politica calabrese targata Pd. La Procura di Catanzaro ha raccolto tutte le accuse in un unico pacchetto che ha spedito martedì ai 20 destinatari. Il loro telefono scottava da anni, visto che l'accusa di associazione a delinquere, secondo la Procura, va retrodatata al 2014 e, scrive il procuratore Nicola Gratteri, è «condotta permanente».Da quasi cinque anni ininterrottamente, insomma, la cricca dem con a capo Nicola Adamo, già esponente del Pci, vicepresidente della Regione Calabria ai tempi di Agazio Loiero, deputato nella passata legislatura, indagato nel 2006 e nel 2012 in inchieste dalle quali poi è uscito assolto, avrebbe condizionato appalti e scelte politiche. Adamo nei capi d'accusa viene descritto come il burattinaio. Anzi, come il maestro burattinaio. Perché a muovere i fili delle marionette insieme al compagno Adamo ci sarebbe stato il governatore Mario Oliverio, anche lui del Pd e anche lui accusato di associazione a delinquere. Neanche due settimane fa la Cassazione gli ha revocato l'esilio a San Giovanni in Fiore, paesino della Sila, al quale era stato obbligato per circa tre mesi dalla Procura. In un'altra indagine, denominata Lande desolate, la Guardia di finanza l'avrebbe beccato a pasticciare con un'impresa in odore di 'ndrangheta che aveva messo le mani sui lavori per l'aviosuperficie di Scalea e sull'impianto sciistico di Lorica. Il governatore non ha fatto in tempo a scrivere su Facebook «verità e onestà non si calpestano» che la Procura gli ha spedito il secondo pacco regalo con l'accusa di associazione a delinquere. I due manovratori, stando alla ricostruzione dell'accusa, erano così potenti da riuscire a orientare le scelte politiche della Regione. Quando non ci riuscivano avrebbero messo in campo strategie per far fuori gli avversari. Nel caso di Mario Occhiuto (ironia della sorte, in questa indagine è sia indagato sia parte offesa), sindaco di Cosenza e candidato forzista alla presidenza della Regione, avrebbero tramato per togliergli la maggioranza in Consiglio. E, così, Adamo e Oliverio, sarebbero stati beccati a telefono mentre congiuravano. Se vince il centrosinistra «lui va alla ricerca di fargli il vicesindaco, no? Se si perdono le elezioni comunali, siccome è un manager, è un ingegnere, un incarico regionale, in attesa che si candida la prossima volta alla Regione, però ci deve essere». La risposta: «Va bene, va bene, ok, ciao ciao. È meglio non parlarne al telefono». Il dialogo fra i due è riportato nel provvedimento con cui il gip ha sospeso dai pubblici incarichi altri due indagati e si riferisce alle dimissioni di 17 consiglieri comunali di Cosenza, alcuni dei quali di maggioranza, che portarono alla decadenza di Occhiuto. Per questo episodio è indagato anche l'ex presidente del Consiglio comunale Luca Morrone. Dietro a quelle dimissioni, secondo l'accusa, ci sarebbe stata proprio la regia di Adamo. Il gip riporta anche il testo di un sms inviato da Adamo al capogruppo del Pd alla Regione Sebi Romeo (che non è indagato): «Se riusciamo a far cadere Occhiuto, dobbiamo farlo con chiarezza, non deve apparire come una congiura di Palazzo, rischieremmo un boomerang».Morrone, stando alla ricostruzione giudiziaria dell'intrigo politico, avrebbe accettato di firmare le dimissioni in cambio della carica di vicesindaco nella eventuale nuova maggioranza o un incarico di ingegnere alla Regione. Ed è in questo contesto che si inserisce la conversazione intercettata tra Adamo e Oliverio. La finalità sarebbe stata quella di spodestare il sindaco per piazzare i propri uomini nei posti strategici. E alcuni appalti che avrebbero fatto gola alla cricca ricadevano proprio nella città di Cosenza. Nell'intreccio si sarebbe mossa bene anche una vecchia conoscenza della Verità: Rocco Borgia da Melicuccà, paesello della provincia di Reggio Calabria. Anche lui è indagato per associazione a delinquere e viene descritto come un «intermediario» per conto di una potente coop del settore edilizio. Nel documento giudiziario è scritto: «Dispone di una complessa rete di contatti e relazioni con politici, imprenditori e amministratori pubblici che gli consente di veicolare le aggiudicazioni in favore dei gruppi imprenditoriali da lui individuati e sponsorizzati». Anche lui proviene dalla vecchia sinistra: dirigente Arci, poi esperto di cooperazione in Africa e dirigente di Ong. Infine, consulente di un colosso delle cooperative rosse: la Cmc di Ravenna (che, stando all'accusa, avrebbe sponsorizzato nell'ambito della progettazione esecutiva e della realizzazione della metropolitana tra Cosenza, Rende e l'università della Calabria). Ai tempi dell'inchiesta Consip, settembre 2016, era stato fotografato e pedinato dai carabinieri del nucleo operativo ecologico con Carlo Russo, l'apprendista faccendiere di Scandicci (che dovrà affrontare l'udienza preliminare per traffico di influenze il 28 maggio) legato a doppio filo a babbo Tiziano Renzi. In un'informativa i carabinieri definiscono Borgia «soggetto già conosciuto a questo comando» e, come aveva anticipato La Verità, gli atti erano stati trasmessi proprio a Catanzaro. Borgia aveva giurato di aver tagliato i ponti con la sua terra d'origine. Ma con gli atti di questa inchiesta potrebbe essere nettamente smentito.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/un-uomo-lega-consip-e-linchiesta-sugli-appalti-calabresi-2636635049.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fontana-accusato-di-abuso-dufficio" data-post-id="2636635049" data-published-at="1758064451" data-use-pagination="False"> Fontana accusato di abuso d’ufficio Per uno (il governatore Attilio Fontana) che aspetta con trepidazione di parlare con i pubblici ministeri, altri dieci che, davanti al gip, scelgono la strada del silenzio. Il giorno dopo la grande retata che ha portato a 43 misure cautelari (28 arresti e 15 obblighi) su 95 indagati in totale, la maxi inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano su appalti pilotati, mazzette e favori alla 'ndrangheta fissa i primi punti fermi. Anzitutto, si scopre che il presidente della Regione Lombardia è indagato per abuso d'ufficio in relazione alla nomina dell'ex socio di studio ed ex consigliere regionale, l'avvocato Luca Marsico, nel Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici dell'Wnte. Un incarico triennale - deciso con determina dirigenziale, quindi di competenza del livello burocratico e non politico del Pirellone - da 65.000 euro complessivi, partito a ottobre 2018 e con scadenza nel 2021. Secondo i pm, che lo ascolteranno lunedì, Fontana avrebbe violato il «principio di imparzialità». Sulla base di quanto è stato ricostruito dagli inquirenti, che sono riusciti a trovare il provvedimento di nomina solo pochi giorni fa, 60 professionisti risposero all'«avviso pubblico di nomina» lanciato dalla Regione Lombardia per individuare il componente esterno della commissione. Fontana, che in un altro versante dell'inchiesta è parte lesa per un episodio di «istigazione alla corruzione» a opera di Gioacchino Caianiello, ex coordinatore provinciale di Forza Italia a Varese, avrebbe favorito l'ex socio di studio. Il quale, a sua volta, consapevole del potenziale «conflitto d'interessi», è sempre il ragionamento dell'accusa, avrebbe dovuto astenersi dal prendere parte alla selezione. La mattinata e il pomeriggio di ieri sono stati dedicati ai primi interrogatori degli indagati sottoposti a misure cautelari. Un lavoro non particolarmente impegnativo per il gip milanese Raffaella Mascarino considerato che tutti hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Tra questi, proprio Gioacchino Caianiello, ex coordinatore provinciale di Fi a Varese, ritenuto il «burattinaio» del sistema di corruzione, nomine e appalti pilotati e finanziamenti illeciti; Piermichele Miano, un professionista a lui legato; Leonida Paggiaro, indicato come uno dei presunti corruttori in relazione a un «piano di governo del territorio»; Alessandro Crescenti, accusato di corruzione e che figura nelle imputazioni assieme a Caianiello; l'ex assessore di Gallarate Petrone che dopo l'arresto ha rimesso le deleghe; e Pietro Tatarella, candidato di Forza Italia alle europee, dimessosi da consigliere comunale del capoluogo lombardo e tratteggiato nel provvedimento del giudice come soggetto a disposizione dell'imprenditore Daniele D'Alfonso, che lo ricompensava con uno «stipendio» da 5.000 euro al mese e l'uso di una carta di credito American express con possibilità di prelievo contanti. Nelle 700 pagine dell'ordinanza del giudice delle indagini preliminari, in due diverse intercettazioni compare anche il nome del sottosegretario alla presidenza del Consiglio e vicesegretario leghista, Giancarlo Giorgetti (non indagato ed estraneo ai fatti). Ne fanno riferimento, in una chiacchierata ascoltata dalle forze dell'ordine, Caianiello e Diego Sozzani, il deputato azzurro per il quale è pendente una richiesta d'arresto in Parlamento. I due, secondo gli atti d'indagine, incontrano l'imprenditore Claudio Milanese, socio e presidente del cda di Econord, e Sergio Bresciani, ex presidente del cda di un'altra società, Neocos. E, a proposito di alcune nomine Anas di interesse di Milanese, discutono del ruolo decisionale del sottosegretario. I due - Sozzani e Caianiello - sarebbero legati non solo dalla comune appartenenza politica a Forza Italia, ma anche da ragioni d'affari. Secondo il gip, avrebbero infatti avuto un «accordo illecito» che prevedeva il pagamento, da Sozzani a Caianiello, di una sorta di «mazzetta» prelevata dai soldi dal deputato incassati grazie agli «incarichi ottenuti dalle società pubbliche amministrate di fatto» dall'ex coordinatore azzurro di Varese.