2023-01-18
Un romanzaccio giallo spacciato per scoop
Troppe cose non quadravano nel racconto sugli incontri in terra russa, ma i media hanno cavalcato comunque l’onda pur di affondare vicepremier e Lega. E anche adesso che i magistrati hanno dovuto gettare la spugna, piovono gli schizzi di fango.fermare la sua temutissima avanzata, tutto ciò non basta. Strizzando l’occhio a quelle toghe che al flop non si rassegnano, i giornaloni insistono, trasformando un proscioglimento in una condanna. Così, eccoli andare a caccia di un indizio che possa stravolgere le cose e inchiodare comunque il leader leghista a una qualche responsabilità. Non importa che assieme alla richiesta di archiviazione i pm dicano che Salvini non è mai stato neppure indagato. A coinvolgerlo, secondo i cronisti-pistaioli, resta il fatto che comunque conosceva Gianluca Savoini, un passato da redattore della Padania e un presente (all’epoca dei fatti) da intermediario con Mosca. Savoini aspirava a fare affari con alcune aziende petrolifere e così forse, a dare una mano a un ex collega di scrivania come Salvini, trovando fonti di finanziamento per una Lega rimasta senza un euro in cassa. E perciò ecco l’ex giornalista, improbabile brasseur d’affaire, accomodarsi sui divani di un hotel della capitale russa con un gruppo di manager autoproclamatisi funzionari del regime putiniano. Sprofondato sul sofà, l’incredibile gruppetto parla di soldi, tanti soldi, e di navi cariche di petrolio, di percentuali da dividere e di royalties da retrocedere ai mediatori. Qualcuno registra. È uno strano avvocato d’affari italiano, già da tempo rimasto senza affari, il quale forse sa che da quella riunione non spremerà un euro, ma probabilmente pensa che qualche soldo si può fare lo stesso. Le chiacchiere dei faccendieri non portano a nulla, tuttavia dopo un po’ di tempo qualcuno - si dice che sia stato lo stesso legale ormai rimasto a bocca asciutta - porta la registrazione ai giornalisti, i quali non vedono l’ora di azzannare la preda. I titoli si sprecano e puntano sugli affari loschi del capo leghista. Soldi, soldi a palate, soldi in nero. «Tre milioni per Salvini»; «Lega-Russia, soldi e spie»; «I buchi neri di Salvini». I cronisti consegnano la registrazione alla Procura e i pm aprono l’inchiesta. Ad accertare i fatti ci mettono quattro anni, quando bastavano un paio di settimane per accorgersi che era tutto farlocco. Vendere quel greggio infatti era impossibile: una quantità eccessiva per passare inosservata, ma soprattutto Savoini, cioè un tizio senza arte né parte, a chi lo avrebbe ceduto una volta arrivata la petroliera? Al benzinaio di sotto casa? Roba da ridere. Risultato, dopo quattro anni di chiacchiere inutili - e dopo un cambio di regia ai vertici della Procura e anche tante altre inchieste flop a cominciare da quella sull’Eni - la magistratura chiede l’archiviazione, decretando che il reato non c’è. E allora che fanno i redattori rimasti spiazzati dal proscioglimento? Provano comunque a coinvolgere Salvini, attribuendogli tra virgolette - vedi Repubblica - un’intercettazione che agli atti dell’inchiesta non c’è, quasi che il capo leghista sia stato ascoltato direttamente dagli inquirenti mentre parlava con qualche faccendiere e si raccomandava di non fare il proprio nome. Ma i soldi? Il petrolio? Le tangenti? Che fine hanno fatto? Come detto, non ci sono. Infatti, l’affare del secolo, anzi la tangentona degli anni Duemila, non esiste. Perché? Dopo aver fatto bisboccia nella hall dell’albergo mentre l’avvocato registrava, i componenti della banda hanno litigato e dunque non si è concluso nulla. Poi i cronisti - presumibilmente insufflati dal legale - hanno cominciato a scrivere e perciò l’affare si è dissolto come neve al sole. Con il risultato che all’avvocato è rimasta la registrazione e quella registrazione poi è arrivata alla redazione dell’Espresso dove si è imbastito il romanzo rosa. Peccato che la storia non abbia un lieto fine, ossia non si concluda con il rinvio a giudizio e la condanna di Salvini, ma con la precisazione dei pm, i quali ammettono che sul ministro dei Trasporti non è stato riscontrato alcun elemento concreto. Una doccia fredda, alla quale i giornalisti non si rassegnano. E dunque, ecco un proscioglimento che è un atto d’accusa, pronto a trasformarsi in una condanna. Ovviamente da parte di chi crede che la Giustizia serva solo a fare fuori i nemici.