2019-12-12
Sul Mes i grillini perdono la faccia. E i pezzi
«Cambiamo il mandato della Bce e diciamo no al fondo monetario europeo». La minaccia potrebbe essere uscita dalla bocca di un irriducibile sovranista, tipo Alberto Bagnai o Claudio Borghi, leghisti duri e puri che da sempre fanno la guerra all'euro. E invece no, a pronunciare il giuramento solenne di opporsi alla tecnocrazia di Bruxelles e ai suoi meccanismi perversi sono stati i leader del Movimento 5 stelle, quando ancora c'era da rinnovare il Parlamento europeo. Anzi, i grillini non si sono limitati a dichiarare guerra al Fondo salva Stati e all'istituto centrale bancario in campagna elettorale: lo hanno anche scritto. Il testo lo si può trovare ancora lì, sul Blog delle stelle, il portale di Beppe Grillo. Postato l'8 aprile del 2019, poco più di un mese prima che si votasse, il messaggio è presentato come (...)(...) l'europrogramma del Movimento, sotto un titolo che si può definire esplicito: «Più lavoro e meno vincoli di bilancio, cambiamo il mandato della Bce».Otto mesi fa i grillini sembravano dunque avere le idee chiare a proposito di ciò che si dovesse fare per risollevare il Paese. La prima mossa riguardava la banca centrale, che secondo loro, pur di garantire un tasso d'inflazione inferiore al 2 per cento, metteva a repentaglio la stabilità dell'eurozona. «La nostra proposta» scrivevano quando ancora era in vita il Conte bis e il premier si dichiarava orgogliosamente populista, «prevede che la crescita economica e la piena occupazione vengano inseriti tra gli obiettivi della Bce». Tradotto, facciamola finita con i parametri di Maastricht: l'austerity ci ha reso tutti più poveri e dunque ora dobbiamo sostituire il rigore con la crescita, costringendo la Banca centrale a finanziare lo sviluppo, pompando liquidità nel sistema. Già qui le promesse stridono con ciò che è venuto dopo, con il governo giallorosso e le genuflessioni del ministro dell'Economia al totem di Bruxelles. Basti dire che ieri il presidente del Consiglio ha perorato la causa europea con un accorato appello, dicendo al Parlamento che non è il momento di divisioni fra Stati. Un invito che portava con sé un unico messaggio: dobbiamo chinare il capo e fare ciò che ci chiede la Ue.In effetti in Parlamento ieri sono stati in molti ad abbassare la testa. Anzi, a dimenticarla a casa, visto che durante il dibattito in Aula si sono eclissati, restituendo agli italiani l'immagine di un emiciclo semideserto mentre parlava Giuseppe Conte. Il vuoto dell'aula di Montecitorio durante la discussione non ha però poi impedito agli onorevoli di votare a favore della riforma del Mes, che è passata con qualche decina di voti di scarto. E dire che fino ad aprile il Movimento 5 stelle era convinto che il Meccanismo europeo di stabilità fosse una specie di sciagura per il nostro Paese. Leggere per credere che cosa si sosteneva sul sito ufficiale del movimento: «Così come è concepito, il Fme può diventare uno strumento di punizione per gli Stati in difficoltà». Segue analisi di ciò che con l'intervento del Fondo salva Stati è successo in Grecia e solenne impegno a sostenere misure e strumenti che affrontino le cause profonde della crisi. I grillini giurano sul blog che modificheranno i principali regolamenti e le direttive che impongono misure di rigore per sostituirli con meccanismi di condivisione del rischio. Conclusione: «I falchi dell'austerity sono avvertiti». Non so quale sia l'avvertimento che i pentastellati hanno spedito a Bruxelles. Ma a giudicare dal voto di ieri, il messaggio inviato, più che una minaccia, appare una resa incondizionata. Rispetto alle dichiarazioni bellicose delle passate settimane, con il voto in Parlamento i grillini hanno infatti alzato bandiera bianca, rassegnandosi a una sconfitta su tutta la linea. Il Mes, che prima era giudicato un serio pericolo per il nostro debito pubblico, con il sì di Camera e Senato è stato praticamente accettato. Oh, certo, col voto di ieri 5 stelle e Pd hanno vincolato il governo a tornare a riferire. Ma nella realtà c'è ben poco da dire, perché il rinvio tecnico della sottoscrizione dell'accordo europeo non è stato ottenuto per consentire le modifiche, ma semplicemente per permettere all'Italia di ingoiare meglio la pillola. Le polemiche, gli allarmi e la stessa promessa dei grillini di un cambiamento delle regole, in realtà sono state spazzate via dall'approvazione della risoluzione. Di fatto il Parlamento ha accettato i diktat europei, cedendo davanti alla minaccia di una crisi di governo. Del resto, c'era da aspettarselo. È bastata qualche indiscrezione sulla possibilità di una conclusione anticipata della legislatura e come d'incanto gli onorevoli si sono attaccati alla poltrona. Il formidabile collante delle elezioni, infatti, funziona meglio dell'Attack.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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