Dopo il kit per l’emergenza bellica l’Ue vuole plasmare gli eurobalilla

- Bruxelles mira a indottrinare i giovani usando l’agenzia anti bufale. Kallas rivendica il metodo della paura e ricatta Madrid: «Ha avuto tanti aiuti col Covid, sostenga il riarmo». La stampa italiana denigra i pacifisti.
- Mosca: «Proposte americane inaccettabili». Pechino: «Tra noi e i russi un’amicizia che è destinata a durare». Lo zar invita il leader comunista alla parata del 9 maggio.
Lo speciale contiene due articoli.
Nel presentare il kit per le emergenze con coltellini e scatolette di tonno, Hadja Lahbib si era sbellicata dalle risate. Invece, il testo della risoluzione sulla Difesa, che oggi il Parlamento europeo è chiamato a votare, fa piangere. Specie per la parte dedicata al programma di indottrinamento bellico destinato ai cittadini, alle famiglie e soprattutto ai ragazzi, che andrà attuato tramite l’agenzia anti fake news e persino coinvolgendo le «organizzazioni giovanili». Primavera di bellezza: si forgiano gli eurobalilla. Li faranno marciare mentre sventolano le bandiere dell’Ue? Insegneranno loro a smontare e rimontare i moschetti? Sommergeranno TikTok di video della commissaria belga che spiega come sopravvivere a un attacco nucleare?
Per Bruxelles, il riarmo è una proprietà. Ecco perché i vertici dell’Europa rivendicano anche la strategia del terrorismo psicologico.
Ieri, con i deputati a Strasburgo, Kaja Kallas è stata esplicita: «Molti di voi, soprattutto a sinistra», ha dichiarato in Aula, «dicono che non dovremmo parlare dei rischi che ci circondano, delle minacce russe, perché sono cose che fanno paura alla gente. Ma dobbiamo essere onesti con le persone. Se ascoltiamo quello che dicono i servizi segreti dei Paesi membri o gli Stati maggiori, la minaccia è vera». L’Alto rappresentante ha deciso di calare il jolly pure per vincere le resistenze del governo socialista iberico. Nei giorni scorsi, Madrid aveva riferito di non percepire in maniera drammatica il pericolo e, dunque, di non essere disposta a seguire la Commissione sulla corsa agli armamenti. Intervistata da El País, allora, l’estone ha scelto il ricatto (im)morale: poiché alcuni Paesi, tra cui la Spagna, durante il Covid hanno ricevuto «più aiuti di altri», oggi, a suo avviso, sono tenuti ad applicare lo stesso criterio di «solidarietà» e a garantire che, «sulla spesa militare», l’Europa resti unita. A quale «solidarietà» alludeva la Kallas? A quella che beneficherebbe l’automotiv tedesco, messo in crisi dal Green deal e adesso aggrappato agli arsenali?
Nel Vecchio continente tria un’arietta di repressione e irreggimentazione. Ad esempio, salvo emendamenti, l’iniziativa sorta per contrastare la disinformazione di Mosca - lo Scudo per la democrazia - dovrebbe «individuare, tracciare e richiedere la rimozione dei contenuti online ingannevoli». La struttura, però, verrebbe pure arruolata nella campagna per favorire «una più ampia comprensione delle minacce per la sicurezza e dei rischi tra i cittadini Ue, allo scopo di sviluppare una visione condivisa e un allineamento nella percezione della minaccia in Europa, e di creare una nozione completa di Difesa europea». Avete capito bene: l’Ue ci vuole allineati e coperti. E per metterci in riga, è disposta a impiegare ogni mezzo. Compresi «programmi educativi, specialmente per i giovani, che mirino a migliorare la conoscenza e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la Difesa e l’importanza delle forze armate, nonché a consolidare la resilienza e la preparazione delle società ad affrontare sfide alla sicurezza».
Per tener fede all’agenda Lgbt e femminista, l’Europa resiste alle sirene della «maschia gioventù» e propone che le politiche di Difesa riflettano «i principi dell’uguaglianza di genere e della diversità», con l’inserimento di «consiglieri di genere» nelle missioni e nelle operazioni condotte nel quadro della Politica di sicurezza e di Difesa comune. Ma a parte i pochi proiettili woke, la cartucciera dell’Europarlamento è piena di munizioni incendiarie: dai riferimenti alle infrastrutture per consentire la «mobilità militare», all’insistenza sull’adesione di Kiev alla Nato, all’ennesimo invito a «eliminare tutte le restrizioni che impediscono all’Ucraina di usare sistemi d’arma occidentali contro obiettivi militari legittimi all’interno della Russia».
Visto l’andazzo, non meraviglia l’estremo paradosso orwelliano del bellicismo europeo: l’idea di continuare a foraggiare il conflitto ricorrendo ai finanziamenti del Fondo per la pace. E se l’Ue prepara la guerra, in Italia non poteva mancare la claque impegnata a ridicolizzare l’opinione pubblica, refrattaria al coinvolgimento delle nostre truppe al fronte orientale.
Alessandra Ghisleri ha attribuito una maggioranza bulgara al blocco trasversale di chi è ostile all’invio di soldati in Ucraina. Commentando il suo sondaggio, Marcello Sorgi, sulla Stampa di ieri, ha dapprima ricostruito un bizzarro pedigree del pacifismo antiatlantista, che deriverebbe da un «immotivato risentimento» per i bombardamenti degli Alleati durante il nazifascismo: magari ebbero la mano pesante, ma non avremmo dovuto mica spaccare il capello... Dopodiché, l’editorialista ha messo in guardia i lettori rispetto al fascino della «predicazione laica» contro la guerra, che va «nella direzione opposta di un’Italia che presto - nel momento in cui Trump e gli Usa si sfilano - sarà chiamata ad assumersi le sue responsabilità, a contribuire alla propria Difesa e a quella europea». È giunta l’ora delle decisioni irrevocabili. All’armi, siamo europeisti!
Putin rintuzza gli Usa e flirta con Xi
Mentre i bollettini di guerra continuano a registrare una lenta ma costante avanzata russa, soprattutto nel Kursk, Washington e Mosca proseguono le trattative per arrivare a un cessate il fuoco e, di conseguenza, a una bozza di pace. Malgrado l’apertura al dialogo reciproca, i negoziati sono tutt’altro che agevoli. L’altro ieri, per esempio, Donald Trump ha dichiarato il suo disappunto nei confronti di Vladimir Putin, definendosi «arrabbiato» e «incavolato» con il presidente russo. Il tycoon, tuttavia, ha aggiunto di essere convinto che Putin «non si rimangerà la parola» e «farà la cosa giusta». Ieri, poi, la Casa Bianca ha aggiunto che The Donald è «frustrato con i leader di entrambe le parti». Ieri non si è fatta attendere la risposta della controparte russa. «Le questioni di cui stiamo discutendo sono molto complesse e richiedono sforzi aggiuntivi», ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. Sulle trattative per il cessate il fuoco è poi intervenuto anche Serghei Ryabkov, il viceministro degli Esteri russo. Che, pur ribadendo l’apertura al dialogo, ha però lamentato l’insufficienza delle proposte americane: «Non abbiamo sentito alcun segnale dagli Stati Uniti indirizzato a Kiev sulla fine della guerra», ha detto Ryabkov. «Per ora», ha proseguito, «non c’è altro che un tentativo di trovare una certa formula che ci consenta di raggiungere un cessate il fuoco, come immaginato dagli americani, prima di passare ad altri modelli e formule». Stando al viceministro degli Esteri russo, in particolare, Washington «per ora non ha accolto la nostra richiesta principale, ossia la risoluzione dei problemi associati alle cause profonde di questo conflitto». In sostanza, ha chiosato Ryabkov, «prendiamo molto seriamente le soluzioni proposte dagli americani, ma non possiamo accettare tutto così com’è», dato che «la Russia ha una serie di priorità e approcci attentamente ponderati alla questione, che sono stati elaborati dal team negoziale nel recente incontro con gli americani a Riad».
Insomma, i rapporti tra Mosca e Washington continuano a essere tesi, come ha confermato indirettamente Sergey Lavrov. Il ministro degli Esteri russo, annunciando ieri un nuovo vertice con gli americani dopo quello di Istanbul, ha specificato che attualmente «sono in corso contatti telefonici e videoconferenze» che mirano a «eliminare i cosiddetti fattori irritanti che interferiscono gravemente con il lavoro» delle rispettive ambasciate. Non stupisce quindi che, in questa situazione, la Russia abbia ripreso a guardare in direzione di Pechino. Sempre nella giornata di ieri, infatti, è stato accolto a Mosca il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi. Per l’occasione, Lavrov ha dichiarato che le relazioni bilaterali tra le due nazioni «hanno raggiunto livelli senza precedenti grazie agli sforzi dei due leader».
Nel pomeriggio, poi, Wang Yi ha incontrato il presidente russo in persona, che ha ufficialmente invitato Xi Jinping a Mosca per il prossimo 9 maggio, giorno in cui si celebra la vittoria dell’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale: «Festeggeremo insieme questo ottantesimo anniversario, sia la vittoria sulla Germania nazista, sia la vittoria sul Giappone militarista», ha affermato Putin. Che poi ha precisato che Xi Jinping «sarà il nostro ospite principale». Da parte sua, Wang Yi ha sottolineato che «la cooperazione tra Russia e Cina non è mai rivolta contro terze parti e non è soggetta a interferenze esterne». Anche perché, ha concluso il ministro degli Esteri cinese, «la nostra amicizia non è opportunistica, ma costruita per durare nel tempo».





