2021-06-08
L’Ue isola la Bielorussia e la consegna a Putin
Aljaksandr Lukashenko e Vladimir Putin (Ansa)
La giusta (ma timida) condanna europea per il dirottamento aereo e l'arresto di un giornalista e le critiche per la repressione interna indeboliscono Minsk. Il Paese diventa così facile preda delle mire espansionistiche di Mosca, immune alle chiacchiere di Bruxelles.Ovviamente nessuno, all'interno dell'Unione europea, ha intenzione di morire per Minsk. Ma la timida reazione del Consiglio all'ultimo dirottamento aereo messo in atto dal presidente dittatore Lukashenko - l'atterraggio forzato di un volo Ryanair e l'arresto di un giornalista d'opposizione con la sua compagna - ha messo in evidenza la debolezza intrinseca della politica estera di Bruxelles. E, soprattutto, una cronica impreparazione ad affrontare realtà che esulino dal suo controllo diretto.A prima vista, i capi di governo europei riuniti in Consiglio il 24 maggio scorso a Bruxelles hanno dato prova di buona volontà, esprimendo una serie di «ferme condanne» sul caso di pirateria aerea messo in atto dal governo bielorusso, sulla repressione interna di qualsiasi forma d'opposizione e sulle intimidazioni ai giornalisti, proponendo di allargare progressivamente le sanzioni economiche ai danni di enti e politici del regime. Con l'aggiunta di un «invito» alle compagnie aeree europee perché evitino di attraversare lo spazio aereo di Minsk (oltre al bando negli aeroporti della compagnia di bandiera Belavia). Ma il guaio è che queste misure potrebbero essere state previste, e addirittura auspicate, dal noto protettore di Lukashenko, Vladimir Putin. Infatti il progressivo isolamento, e relativo indebolimento, della Bielorussia, la rende un allettante, e facile boccone per l'appetito espansionistico di Mosca. Dopo l'occupazione della Transnistria ai danni della Moldova, della Abkhazia e della Ossezia meridionale sottratte alla Georgia, per non parlare della Crimea e della creazione di Stati fantoccio a Luhansk e nel Donbas ucraino, l'annessione della Bielorussia rappresenterebbe un altro importante tassello del mosaico espansionistico di Putin. Il quale può tranquillamente far capire a tutti, e in particolare alla Polonia e agli Stati baltici, d'essere in grado di ignorare, ridicolizzandole, le chiacchiere della Ue, come del resto le sue sanzioni, volgendole addirittura a proprio vantaggio.Lo prova il fatto che persino l'Ucraina, nemica giurata e in guerra con Mosca, non può permettersi di sanzionare il vicino bielorusso, dal quale dipende in maniera significativa per l'approvvigionamento energetico.Intanto, mentre Bruxelles, anche per non dispiacere a Biden, mostra formalmente la sua indignazione, all'interno della Bielorussia Lukashenko continua a incarcerare senza freni gli oppositori, e a gelare gli ardori dell'opinione pubblica democratica semplicemente ricordandole l'esistenza nel Paese della pena di morte. La Chiesa ortodossa ufficiale non crea problemi: dipende da Mosca e il nuovo primate Valentin è stato scelto proprio perché completamente allineato al regime. In queste condizioni, la persecuzione contro i cattolici (circa il 20 per cento della popolazione) e i meno numerosi greco-cattolici, ha potuto dispiegarsi senza freni. Così facendo, è vero, il regime crea eroi in odore di martirio (a cominciare dal prete cattolico Viceslau Barok, incarcerato più volte, e dal greco-cattolico Vitalij Bystrov, che ha seguito la stessa sorte). Ma, allo stesso tempo, ha incrementato la politica di snazionalizzazione, proibendo l'uso della lingua bielorussa, e arrivando a bandire il canto liturgico Al Dio Onnipotente, perché il testo è nell'idioma vietato.Una simile politica repressiva scivola, di quando in quando, addirittura nel grottesco, come nel caso già citato di Barok. (Il sacerdote è stato condannato per aver pubblicato sui social un'immagine polemica del famoso artista Vladimir Tsezlar, che aveva aggiunto una svastica all'emblema della vecchia Bielorussia sovietica per denunciare le squadre punitive di Lukashenko. Rovesciando in maniera beffarda il significato di quell'immagine, i giudici hanno condannato e imprigionato Barok per «apologia del nazismo»).Ma che importanza può avere la resistenza del clero, quando i servizi segreti bielorussi hanno piena libertà d'azione e disinformazione, secondo i vecchi dettami sovietici? Sull'aereo dirottato da cui sono stati prelevati con la forza il giornalista Roman Protasevich e Sofia Sapega viaggiavano agenti di Minsk, come si è accertato dall'elenco dei passeggeri dopo il rilascio dell'aereo. E la stessa opposizione che ha trovato il suo simbolo in Svjatlana Cichanouskaja riparata in Lituania, secondo molti è infiltrata da agenti del Kgb.In un clima così avvelenato, la politica estera della Ue avrebbe bisogno di una strategia ampia e coordinata per essere credibile. Dirigendo anzitutto le sue sanzioni contro il vero burattinaio di Lukashenko, che siede al Cremlino.Ma il vero dilemma, per la Ue, riguarda la strategia da adottare per evitare di servire su un vassoio la Bielorussia a Mosca. Rinunciare alle sanzioni contro Minsk, di per sé, sarebbe un errore: queste andrebbero semmai allargate al sistema di amministrazione fiscale di Lukashenko, la sua arma preferita di pressione economica sulla società. Semplificare le procedure per accogliere i rifugiati politici e dare risonanza alle loro denunce - cominciando dal capo dell'opposizione in esilio Zianon Pazniak - sarebbe un'altra mossa efficace. Coinvolgere la Nato nel controllo militare dell'area sarebbe utile a prevenire altri episodi di pirateria e sconfinamento. E si potrebbe concludere con la denuncia alla Corte internazionale di giustizia dell'Aia, dove un processo a Lukashenko ripercorrerebbe verosimilmente le tappe dell'altro, quello a Slobodan Miloševic, il presidente dittatore della Jugoslavia ideologicamente a lui più affine. Ma per agire occorrerebbe, appunto, un'anima. Della quale la Ue, tutta presa dai suoi piani trentennali, dai suoi green pass e e dai suoi budget, resta drammaticamente priva.