2025-10-05
L’Ue mette a punto la censura totale: controllare i telefoni di tutti noi
Col nobile intento di contrastare la pedopornografia, l’Unione vorrebbe l’accesso ai dispositivi di ogni cittadino per filtrare con l’Intelligenza artificiale foto, video e testi. Nessuno sarebbe più davvero libero. Già il nome dice molto. Lo chiamano Csar, acronimo che sta per Child Sexual Abuse Regulation e richiama alla mente la tirannia degli zar russi, l’oppressione della loro polizia segreta. Perché di questo in effetti si tratta: del più grande e spudorato tentativo di monitoraggio sociale della storia recente. A costruirne l’architettura, manco a dirlo, è l’Unione Europea e come al solito la strada per l’inferno è lastricata di belle parole e buone intenzioni. L’idea è quella di imporre un controllo capillare sui servizi di messaggistica come Whatsapp, Messenger, Telegram, Signal e iMessage per fermare la diffusione di materiale pedopornografico. Nobilissima e utile battaglia, non c’è che dire: difendere i minori dalle grinfie degli adescatori è particolarmente importante, soprattutto se si considera la quantità di tempo che ragazzini e ragazzine (e pure bambini) trascorrono oggi online. Il problema, però, è che con la scusa di fermare i criminali e interrompere i loro traffici si pensa di consentire alle istituzioni pubbliche di scandagliare i contenuti dei messaggi che gli utenti scambiano. Da una parte, i contenuti pedopornografici già noti alle istituzioni verrebbero raccolti in un database europeo e marchiati da una cosiddetta «impronta digitale», che consentirebbe di individuarli e fermarli, segnalando ovviamente anche la persona responsabile del traffico. Secondo alcuni, ciò prevederebbe che ogni immagine, video e link caricato su smartphone o pc da un cittadino qualsiasi dovrebbe essere vagliato prima ancora di venire spedito: una gigantesca macchina di controllo preventivo. Per quanto riguarda invece i contenuti nuovi, cioè quelli che non sono ancora presenti nel database comune, dovrebbero essere esaminati da una intelligenza artificiale e valutati. C’è poi un’ulteriore questione riguardante i messaggi di testo: per fermare gli adescatori si dovrebbe, a maggior ragione, esaminare e registrare pure quelli. Capite bene che la creazione di un apparato di sorveglianza di questo genere spalanca prospettive inquietanti, e apre la porta a una gestione totalitaria delle comunicazioni private. Non che i rischi non siano noti. Di questa pratica si discute almeno dal 2022, e la prima proposta dell’Ue fu quella di aprire una backdoor, una porta sul retro digitale, che consentisse alle autorità di accedere ai dispositivi e alla messaggistica dei cittadini. Si tratta di un’idea violentemente radicale che è stata rifiutata dai più, in particolare dai gestori delle piattaforme digitali, i quali giustamente hanno fatto notare che si sarebbe aperto un varco per l’ingresso nei pc e negli smartphone privati anche per pirati informatici e delinquenti online di ogni tipo. Così si è formulato un nuovo piano, che verrà votato dal Consiglio Ue fra pochi giorni, il 14 ottobre. Seguiranno i triloghi, cioè i tavoli di trattativa informali con Parlamento e Commissione Ue. Purtroppo, l’idea resta sempre la medesima, anche se da applicare in modo leggermente diverso: sorvegliare tutti, verificare ogni messaggio, monitorare a tappeto immagini e video. Non sono pochi gli esperti del settore ad aver preso pubblicamente la parola per contrastare quello che viene chiamato Chat control. Persino Il Sole 24 Ore, ieri, esibiva toni critici dando spazio ad Antonino Ali, professore di diritto internazionale dell’Università di Trento. «La proposta di regolamento, anche se ispirata da buone intenzioni, istituisce un modello di sorveglianza difficilmente conciliabile con il principio di proporzionalità sancito dal diritto dell’Unione e dalla Carta del Diritti fondamentali», ha spiegato D’Alì. «La giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo, da Digital Rights Ireland a Big Brother Watch, ha chiarito che misure generalizzate e non selettive di monitoraggio violano diritti alla privacy e alla libertà di espressione, in assenza di limiti rigorosi e garanzie». Sul tema è stato ed è anche più netto Agostino Ghiglia, membro dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali. La proposta che verrà votata il 14 ottobre, dice Ghiglia, potrebbe cambiare radicalmente il concetto di privacy. «La Chat Control obbligherebbe WhatsApp, Signal e Telegram e altri social a scansionare ogni messaggio prima della crittografia. L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di proteggere i bambini online e ci mancherebbe altro ma qui, a fronte di un risultato incerto e opinabile, rischiamo di veder cancellata la nostra libertà in rete e la riservatezza delle nostre comunicazioni. Che fine farebbero», prosegue Ghiglia, «i nostri diritti fondamentali a fronte non di controlli mirati ma di sorveglianza universale? Ogni messaggio, ogni foto, ogni scherzo, ogni bacio, passerebbero al vaglio di inossidabili algoritmi di IA che deciderebbero cosa potrebbe essere sospetto. Non solo censura ma autocensura: sapendo di essere monitorati, perderemmo la nostra libertà di espressione e vivremmo nella paura di aver digitato una parola in più». I pericoli insiti nel Chat Control sono così evidenti che persino autorità come il Garante europeo e il Comitato europeo già alcuni anni fa hanno dichiarato che «la proposta potrebbe diventare la base per una scansione generalizzata e indiscriminata di tutti i tipi di comunicazioni». Viene allora da chiedersi perché, nonostante tutti questi allarmi, la proposta non sia già stata affossata una volta per tutte. Ma la risposta la conosciamo: la spinta verso il totalitarismo è nel Dna dell’Unione Europea. Come sostiene J.D. Vance le minacce alla libertà di pensiero e di espressione non vengono dall’esterno, ma dal cuore malato del Vecchio Continente.