2025-10-05
Ennesima strage di alberi a Roma
I cipressi del Mausoleo di Augusto (iStock)
Abbattuti i 67 cipressi storici che circondavano il Mausoleo di Augusto. Gualtieri giustifica la scelta col cattivo stato di alcuni esemplari. Ma sui social monta la rabbia.«Dove passa, non cresce più l’erba», si diceva del re unno Attila. Dove passa il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, invece, non crescono più neanche gli alberi, come dimostrano gli abbattimenti selvaggi che hanno ormai cambiato i connotati della capitale. L’ultimo scempio è avvenuto nel cuore del centro storico, a Piazza Augusto Imperatore, dove sorge il Mausoleo di Augusto costruito nel I secolo a.C. Un monumento funerario che il Comune di Roma ha «riqualificato», sic, trasformandolo di fatto in un posacenere, per la modica cifra di 35 milioni, passando per l’abbattimento del bosco sacro di 67 cipressi che, sin dal progetto originale descritto dal geografo Strabone, incorniciavano il mausoleo dell’imperatore romano. Le motoseghe sono entrate in azione il 30 settembre e nel giro di tre giorni li hanno tirati giù perché, si difende il Comune sul suo sito, erano «ormai in cattive condizioni». Tutti? Tutti, nonostante il cipresso sia uno degli alberi più resistenti e longevi: l’età media varia dai mille ai duemila anni, quelli falciati da Gualtieri erano stati piantati nel 1937. Erano alberi «fascisti», ha amaramente ironizzato qualcuno, ecco perché li hanno buttati giù. Fatto sta che dietro l’ennesimo ecocidio capitolino c’è molto poco green, tanta ideologia e un enorme business, quello del Pnrr. È da dieci anni che il Comune ha in agenda la riqualificazione della piazza, strombazzata sui cinegiornali a giugno di quest’anno, e già allora l’architetto che ha concepito il progetto, Francesco Cellini, parlava di un «muro di cipressi»; «sarà difficilissimo diradarli», si lamentava, «perché ci saranno voci del popolo che protesteranno». Le voci si sono fatte sentire: il capogruppo della Lega in Campidoglio, Fabrizio Santori, ha denunciato che «a Roma in media muore almeno il 60 per cento degli alberelli messi a dimora e poi abbandonati senza cure dal Comune. La ripiantumazione è una sceneggiata, oltre che un disastro ambientale». Fratelli d’Italia ha subito presentato una richiesta di accesso agli atti chiedendo perizie, documentazione autorizzativa, denominazione della ditta pagata per eseguire l’intervento (che spesso, incredibile ma vero, è la stessa che fa la diagnosi di abbattimento) e relazione tecnica che descriva il valore paesaggistico, ecosistemico, ambientale ed economico degli alberi abbattuti. Già, perché secondo il Regolamento del Verde del Comune di Roma, ogni singolo esemplare abbattuto ha un valore tabellare che va dai 30.000 ai 50.000 euro. La strage degli alberi monumentali determina dunque un danno erariale su cui la Corte dei Conti potrebbe intervenire, avendo già istituito una commissione per far luce su tutte le inefficienze capitoline che sconfessano totalmente le promesse green di Gualtieri e del suo assessore all’ambiente Sabrina Alfonsi. «Li ripianteremo», ha assicurato il Comune: peccato, però, che saranno molti di meno e soprattutto della variante «Totem» che arriva a non più di 10 metri di altezza (sempre che sopravvivano al pollice nero del sindaco). La motivazione ufficiale che ha spinto il comune di Roma ad abbattere centinaia di migliaia di esemplari in tutta la città è la «malattia»: in ogni ordine di abbattimento, il Comune si trincera dietro le cattive condizioni degli alberi, che sarebbero tutti «a rischio caduta». Dietro il sacco ambientale di Roma ci sono invece ragioni economiche: la cosiddetta «rivoluzione verde» promessa nel Pnrr prevede(va) di «sostituire» il patrimonio verde ripiantando in 14 città metropolitane 6,6 milioni di fusti entro il 2024, grazie allo stanziamento di 330 milioni di euro, cui evidentemente Gualtieri non ha voluto rinunciare. Oltre al danno, c’è poi la beffa: ieri alla Leopolda 13 il sindaco di Roma ha avuto il coraggio di dichiarare che «le città sono state pensate troppo a misura di automobili, noi stiamo facendo il contrario, le auto le mandiamo sotto e ricostruiamo spazi pedonali più belli» e, udite udite, «più verdi». Pare vero.