2025-10-05
Si presenta da erede ma corregge la rotta. Il metodo Prevost archivia Bergoglio
Concretezza, pensiero e paletti: non si oppone mai a Francesco, ma lo supera. Sul fine vita: «L’esistenza vale fino all’ultima ora».«Benedire l’acqua? Lo si è sempre fatto dai tempi di Giovanni Battista». L’anziano cardinale sorride davanti all’eccitazione dell’ateo collettivo, impegnato a etichettare Leone XIV come primo degli ambientalisti solo perché ha imposto la mano, con il rispetto dovuto a un reperto primordiale, al blocco di ghiaccio groenlandese di 20.000 anni fa. Il gesto del pontefice davanti al frammento (portato a Roma per una conferenza sull’ecologia) è simbolico dell’attenzione, della preoccupazione per ciò che rappresenta il pianeta Terra, ma non ha nulla a che vedere con il fanatismo da Ultima Generazione che il mainstream mediatico vorrebbe attribuirgli.Il flash è importante perché ci consente di cogliere un aspetto essenziale del pontificato dell’erede di Jorge Bergoglio: gestualità dove dominava il dogmatismo, prudenza dove imperava il decisionismo, riflessione dove tutto era istinto. E soprattutto silenzi dove la parola di Dio si confondeva fra mille interviste a ruota libera. È molto improbabile che Robert Francis Prevost, davanti all’avanzata russa, dica ai cattolici ucraini: «Quando vedi che sei sconfitto, sventola la bandiera bianca». Ancora di più che usi la parola «genocidio» per Gaza. Un riposizionamento dell’apparire difficile da incasellare per chi, dopo meno di sei mesi di cammino, pretende di individuare su Google Maps la strada che papa Leone intende intraprendere. Dai primi accenni sarà una strada maestra diversa da quella di papa Francesco, percorsa con passo cauto e sguardo lungimirante per non essere smentito dalla Storia, consapevole che la pietra angolare di Pietro è sacra ma soprattutto eterna. Per ora individuare la proiezione dell’itinerario non è semplice perché, come diceva Jorge Luis Borges, «il buon camminatore non lascia impronte». Quello che va a comporsi è uno stile, anzi un vero e proprio «Metodo Prevost» che sui grandi temi sembra in continuità con Francesco (il ghiaccio benedetto nel decennale dell’enciclica new age Laudato Sì lo lascerebbe credere). Sembra ma non lo è perché contiene una concretezza, un’adesione alla dottrina della Chiesa, che non ha nulla a che vedere con il dandismo bergogliano.Concretezza, eccone alcuni esempi. Il primo riguarda proprio la cura del pianeta, quando nel discorso al Centro Mariapoli dei Focolarini a Castel Gandolfo, il Papa ha sottolineato che «la cura della casa comune non deve mai apparire come mera moda passeggera o sia presa in considerazione, peggio ancora, come tema divisivo». Un richiamo forte contro l’ecologismo come arma politica, una mano alzata per fermare il culto di una natura che esclude l’uomo e lo demonizza. Al contrario è un invito a «passare dai discorsi a una conversione vera» che dia ancora più valore «al grido della Terra e degli esclusi». Come a dire: non si può prescindere dall’essere cristiani.Considerato un attendista, in realtà Leone XIV ha già messo paletti importanti. Sulla sacralità della vita e contro l’eutanasia («L’esistenza ha valore anche nella sua ultima ora»); sul rischio dei modernismi senz’anima («Nessun anziano deve essere abbandonato, la fragilità è un ponte verso il cielo»); sulla centralità della famiglia («Se perdiamo il significato della famiglia, cosa resta che conti davvero?»); sulle teorie genderfluid («Gli individui saranno sempre accolti, ma la famiglia è composta da madre, padre e figli»). Ieri ha pronunciato parole decisive sul primato dei poveri, in cima ai suoi pensieri: «Il giubileo apre alla speranza di una diversa distribuzione delle ricchezze, alla possibilità che la Terra sia di tutti perché in realtà non è così. Dobbiamo scegliere chi servire, se la giustizia o l’ingiustizia, se Dio o il denaro». Perfino sul ruolo del Sinodo dei vescovi nel rapporto con il pontificato ha dettato una linea non proprio popolare fra le tonache: «La Chiesa non è una democrazia».Nessun effetto speciale, nessun leone proiettato sulla facciata di San Pietro, nessuna fuga in avanti per poi fare retromarcia, nessun salvagente dialettico del tipo «chi sono io per giudicare». Il «Metodo Prevost» non li prevede. Ma i punti fermi già illuminano la strada anche al buio. Il massimo esempio di sobrietà riguarda i migranti, tema sul quale il Papa americano mantiene alta l’attenzione e la preghiera senza farsi testimonial delle Ong. Francesco personalizzava l’argomento, lo piegava a un mero esercizio di carità ed ergeva a icone dei laici mangiapreti come Luca Casarini, nella necessità di compiacere il guevarismo di ritorno dell’Occidente annoiato e massimalista. «È difficile che papa Leone dia udienza privata a personaggi ambigui», sussurra il nostro cardinale. «Bello fu il momento con Jannik Sinner, ma il mondo dello Sport non ha colore politico».Così il «Metodo Prevost» s’insinua dolcemente e s’impone, con lo scopo di reindirizzare la Chiesa senza alimentare conflitti. Ieri mentre i pro Pal sfregiavano a Roma la statua di Karol Wojtyla chiamandolo fascista, il Papa ribadiva la forza di «trasmettere il Vangelo anche nelle famiglie». E lo faceva con una lettera in latino al cardinale polacco Dominik Duka per celebrare il centenario dell’arcidiocesi di Danzica, simbolo di sacralità e libertà caro proprio a Giovanni Paolo II. Una santa coincidenza.