2023-08-29
Ucraina, c’è aria di svolta. Zelensky ora vuole trattare
Volodymyr Zelensky (Getty Images)
Intervista del presidente di Kiev: «Per la Crimea è meglio una soluzione politica». E intanto chiede garanzie (e fondi occidentali) per le prossime elezioni. Il piano: ingresso accelerato nell’Ue e accordo con la Nato.Sarà anche il nuovo Churchill, ma ha capito che sarà difficile andare avanti fino alla vittoria. Ha preso atto dello stallo sul terreno? È rimasto colpito dal report degli 007 Usa, secondo il quale la controffensiva non permetterà la riconquista di Sebastopoli? Ha percepito la crescente insofferenza degli alleati e, soprattutto, il vento che inizia a tirare a Washington, con l’avvicinarsi delle presidenziali? Quali che siano i suoi moventi, adesso, Volodymyr Zelensky sta cambiando retorica. Ed evoca una «soluzione politica» per quella Crimea che, fino a poco tempo fa, giurava di voler riconquistare. Sì: il presidente chiarisce che un dialogo potrebbe partire solo quando le truppe di Kiev raggiungessero il Mar Nero. Magari, è per questa ragione che i media battono sullo sfondamento delle prime linee di difesa nemiche, benché la strada per guadagnare la costa sia ancora lunga e, nel frattempo, gli invasori premano sul settore Nord-Est. Comunque, è la prima volta che il leader della resistenza abbraccia ufficialmente la prospettiva del negoziato. Lasciando forse intendere quale potrebbe essere il prezzo di un via libera alla trattativa con il Cremlino.Non sarà stato un caso, se una parte della sua intervista alla giornalista Natalia Mosiychuck, che ieri ha fatto il giro del mondo, è dedicata all’eventualità di organizzare libere elezioni, nonostante lo stato di guerra. «Se gli Stati Uniti e l’Europa fornissero sostegno finanziario…», dice Zelensky di aver replicato al senatore repubblicano Lindsey Graham, che lo ha incalzato sulla questione. Il rinnovo della legge marziale, ai sensi della quale le urne debbono restare chiuse, è tutto un problema di denaro? E di «osservatori internazionali? Può essere. Ma dietro le condizioni dell’ex comico per salvare il rito più importante della democrazia nella primavera del 2024, a cinque anni da quando sbaragliò il rivale Petro Poroshenko, si potrebbe anche leggere una richiesta a un Occidente sempre più impaziente di mettere fine alle ostilità: aiutatemi a presentarmi con le carte in regola per il secondo mandato e io non mi opporrò a un armistizio. La sfera di cristallo non ce l’ha nessuno. In questo conflitto imprevedibile ed enigmatico, bisogna imparare a interpretare i segnali di fumo. L’ostacolo principale a un cessate il fuoco, al raggiungimento di un sia pur fragile equilibrio diplomatico, è l’impasse in cui si trovano i due uomini alla guida delle nazioni belligeranti: nessuno può uscire chiaramente sconfitto. Ergo, nessuno dovrà essere in grado di rivendicare una vittoria oggettiva; al massimo, potrà assicurasi successi vendibili alle opinioni pubbliche. Nel caso di Zelensky, la cessione di territori alla Russia equivarrebbe a un fallimento storico. Ma come cambierebbe il bilancio, se sul piatto si potessero mettere delle contropartite? Ad esempio, una corsia preferenziale per l’entrata in Europa e, se non un’adesione alla Nato, un solido patto per la sicurezza?È curioso che, proprio ieri, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, abbia rilanciato il tema dell’ingresso di nuovi Paesi nell’Unione. A suo avviso, per essere più forte, quest’ultima «deve rafforzare i legami. Ecco perché è giunto il momento di affrontare la sfida dell’allargamento». Un «obiettivo ambizioso, ma necessario», per raggiungere lo status di «attore globale che plasma il futuro». Ci sarebbe pure una data: il 2030. Zelensky farebbe in tempo a chiudere il secondo mandato. Ma, per Kiev, sarebbe in ogni caso un traguardo raggiunto in tempi record: ci sono Stati, tipo l’Albania, che aspettano dal 2009. Inoltre, l’ex attore avrebbe altri assi nella manica, a cominciare dai finanziamenti per la ricostruzione. Raschiato il fondo, l’economia dell’Ucraina dovrà riprendere a crescere.Poi, c’è il dossier che riguarda l’Alleanza atlantica: è l’aspetto più sensibile, perché alimenta le paranoie russe e i sogni dell’Ucraina post Maidan, sanciti dalla Costituzione emendata nel 2019. Risuonano ancora le parole di Stian Jenssen, capo di gabinetto del segretario generale dell’Organizzazione, Jens Stoltenberg. A Ferragosto, egli ha sganciato una mina: «La soluzione» alla guerra «potrebbe essere che l’Ucraina ceda il suo territorio e ottenga in cambio l’adesione alla Nato». Sul funzionario è piovuta l’indignazione dei vertici di Kiev e, a stretto giro, sono arrivate le smentite. Ma intanto, la mano che si è nascosta aveva scagliato il sasso. Non è un mistero: lo smembramento del Paese aggredito è stato sempre presente come scenario, tenuto conto delle mire che la Polonia, la più antirussa delle potenze occidentali, nutre sulla regione di Leopoli, che un tempo le apparteneva. A questo punto, la geopolitica si trasforma in un esercizio d’immaginazione. Tuttavia, non occorre spremersi le meningi per inventare una mappa dell’Europa, che veda un pezzo di Ucraina integrata con Bruxelles, la Difesa europea e il Patto atlantico, mentre il Donbass rimane a fare da cuscinetto verso la Crimea, annessa da Mosca. Tutto ciò che ci separa da un assetto ritenuto, fino a pochi mesi fa, inammissibile, è il meccanismo della finestra di Overton: iniziare a parlarne oggi significa rendere l’idea accettabile e, infine, tradurla in una concreta decisione politica. Già ce li vediamo, gli stessi editorialisti che andavano a caccia di «putiniani», catechizzarci sul realismo e i compromessi indispensabili per garantire una pace duratura. Certo, se si arrivasse a un esito del genere, dopo oltre mezzo milione di vittime, forniture di armi per miliardi di dollari, rischio di escalation nucleare, incalcolabili danni materiali e la minaccia della stagflazione che aleggia sul Vecchio continente, sarebbe lecito dubitare della saggezza della guida americana. Biden avrà azzoppato l’egemonia europea di Berlino e disaccoppiato la Germania dalla Russia. Tutto ciò valeva davvero miseria, devastazione e morte?
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)