Secondo Domenicao Arcuri, a Milano c'è stata una strage peggiore della guerra, ma la mortalità è inferiore a Madrid e Ny. I dati vanno osservati in rapporto alla popolazione (qui vive un italiano su 6). La Regione è stata colpita per prima e l'alta densità abitativa favoriva i contagi.
Secondo Domenicao Arcuri, a Milano c'è stata una strage peggiore della guerra, ma la mortalità è inferiore a Madrid e Ny. I dati vanno osservati in rapporto alla popolazione (qui vive un italiano su 6). La Regione è stata colpita per prima e l'alta densità abitativa favoriva i contagi.Ormai da settimane la sanità lombarda è sotto attacco per la gestione del contagio da coronavirus. Non c'è dubbio che la Lombardia stia pagando, fin dalle primissime battute dell'epidemia di Covid-19, un tributo salatissimo in termini di vite umane. Ma anziché sostenere il motore d'Italia in questo delicatissimo momento storico, pare che lo sport preferito del momento sia diventato quello di puntare il dito contro il Pirellone. Le prime avvisaglie, in realtà, si erano avute già a fine febbraio, quando il premier Giuseppe Conte aveva accusato senza mezzi termini l'ospedale di Codogno di aver contribuito a diffondere il contagio. «Abbiamo due focolai del virus (l'altro era quello veneto, ndr), uno dei quali è nato complice un ospedale che non ha osservato determinati protocolli favorendo la nascita di uno dei due focolai che cerchiamo di contenere con misure draconiane». Da quel momento in poi - dalle mascherine scadenti alla decisione di istituire le zone rosse, fino alla possibile riapertura delle attività produttive - ogni argomento è stato buono per delegittimare la giunta lombarda guidata da Attilio Fontana. Ma ha davvero senso parlare di un «caso lombardo», oppure si tratta semplicemente di una questione di natura politica? Perché è innegabile che, viste così, le cifre del contagio lombardo facciano una gran paura. Rinunciare allo sforzo di non farsi prendere dall'emotività, tuttavia, sarebbe un errore imperdonabile. C'è una prima incontrovertibile evidenza empirica: senza contare il caso isolato dei coniugi cinesi ricoverati allo Spallanzani, in Italia il virus ha fatto la sua comparsa proprio in Lombardia, e - ormai è certo - ben prima che sapessimo il suo nome. Ci sono altri fattori, oltre a quello temporale. Impossibile non considerare la demografia, ad esempio, trattandosi della Regione più popolosa d'Italia (10 milioni di abitanti, pari al 17% del totale nazionale) e la seconda più densamente abitata (422 abitanti per chilometro quadrato). Va sottolineato, poi, il rapporto speciale tra Milano e Pechino. Basti sapere che nei primi nove mesi del 2019 l'interscambio lombardo con la Cina è stato pari a 13 miliardi di euro, pari al 39% del totale nazionale. Si poteva fare di più e meglio, ma parlare di «allarme inascoltato», come ha fatto ieri La Stampa riferendosi all'arrivo della circolare del ministero della Salute in Regione il 23 gennaio scorso, suona un po' grottesco. Non solo l'emergenza a livello nazionale sarebbe stata proclamata ben otto giorni dopo, ma ancora ai primi di febbraio il Pd si lanciava nel promuovere sui social l'hashtag kafkiano #abbracciauncinese. E come dimenticare, a focolaio di Codogno già scoppiato, gli inviti a non fermare Milano e Bergamo dei sindaci Beppe Sala e Giorgio Gori o, sulla stessa scorta, l'aperitivo romano di Nicola Zingaretti? Torniamo però ai terribili numeri della Lombardia. Nella conferenza stampa tenuta ieri, il commissario straordinario per l'emergenza, Domenico Arcuri, si è lasciato andare a una frase ad effetto: «Tra l'11 giugno 1940 e il primo maggio 1945 a Milano persero la vita 2.000 civili in 5 anni, per il coronavirus ci hanno lasciato 11.851 persone, 5 volte in più in soli due mesi». Senza nulla togliere al dramma di queste cifre, e all'indicibile dolore delle famiglie che hanno perso un proprio caro senza magari nemmeno poterlo salutare, ha davvero senso esprimersi in questi termini? È vero che il numero dei morti dall'inizio della pandemia risulta 4 volte maggiore rispetto all'Emilia-Romagna e oltre 5 volte in confronto al Piemonte. Se rapportiamo i numeri alla popolazione, tuttavia, il divario si ridimensiona: i decessi lombardi sono 118 ogni 100.000 persone, cioè 2,4 volte quelli del Piemonte e 1,8 volte quelli dell'Emilia-Romagna. Considerando come «tempo zero» il giorno in cui si è raggiunta la cifra di 10 morti/100.000 abitanti, il rapporto con il Piemonte si abbassa ulteriormente, scendendo a 2,1. Stessa logica anche per i casi, circa il triplo in numero assoluto rispetto alle altre due regioni, ma appena 1,5 volte se considerati in relazione agli abitanti (addirittura 1,2 se fissiamo come punto di partenza 10 casi su 100.000 abitanti). Più distante invece il Veneto, che risulta meno colpito in proporzione alla popolazione.Sul piano della mortalità, le conclusioni preliminari di uno studio condotto dall'Università Vita-Salute San Raffaele pubblicate venerdì promuovono la sanità lombarda. La ricerca ha studiato la diffusione dell'epidemia in 6 differenti ambiti metropolitani del pianeta, arrivando alla conclusione che negli ultimi 30 giorni i tassi di mortalità più alti si sono registrati a New York e Madrid, mentre Milano è risultata sotto la media. L'autore della pubblicazione, il professor Carlo Signorelli, ha spiegato che il lavoro «evidenzia come si sia imposto un “falso mito" che attribuisce alla Lombardia un eccesso di mortalità da Covid-19». Sul risultato, spiegano i ricercatori, oltre al fatto che l'epidemia non abbia investito Milano ma solo alcune città limitrofe, ha pesato anche «l'efficacia e la tempestività dei provvedimenti di contenimento delle autorità pubbliche» e «l'efficacia e la sicurezza delle cure erogate dalle strutture ospedaliere che hanno ricoverato i pazienti Covid-19».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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