2022-09-13
Le truppe di Kiev avanzano. L’armata russa risponde: pioggia di bombe su Kharkiv
La controffensiva dell’Ucraina prende altri villaggi, Mosca colpisce duramente la città e la lascia senza corrente, poi avvisa l’Europa: «La guerra lampo economica è fallita». Secondo i dati diffusi dal comandante in capo delle forze armate di Kiev non si ferma l’avanzata delle truppe ucraine, che durante lo scorso fine settimana avrebbero riconquistato più di 3.000 chilometri quadrati di territorio. Mentre lo stato maggiore delle forze armate dell’Ucraina - attraverso un post su Facebook - ha reso noto che le truppe hanno riconquistato nelle ultime 24 ore oltre 20 insediamenti che erano stati occupati dai russi. I militari di Kiev sono anche arrivati fino al confine con la Russia senza sparare un solo colpo, un fatto che certifica come le truppe di Mosca stiano vivendo una fase difficilissima, abbandonando insediamenti in fretta e furia come è successo nella regione orientale di Lugansk, dove i soldati ucraini hanno subito iniziato le operazioni di bonifica del territorio da un numero imprecisato di mine antiuomo. Serhiy Gaidai, governatore della regione di Lugansk, ha scritto su Telegram: «Non possiamo nominare gli insediamenti riconquistati, ma la gente del posto mi capirà», poi ha accennato al fatto che «i militari si stanno impegnando a trovare tutti i collaborazionisti nell’oblast». Intanto l’esercito russo continua a bombardare Kharkiv, dove ieri c’è stato un nuovo blackout delle forniture di corrente elettrica e di acqua, come raccontato dal sindaco della città Igor Terekhov: «Le infrastrutture strategiche sono state messe fuori servizio e la fornitura di corrente elettrica e acqua è stata interrotta a Kharkiv». Secondo i media locali che abbiamo consultato, anche la metropolitana in città ha smesso di funzionare e lo stesso vale per la connessione a Internet (che va a singhiozzo). Ma questa controffensiva a cosa può portare? Secondo il generale di corpo d’armata Maurizio Boni «la riconquista ucraina di Izyum, che ha consegnato nelle mani di Kiev il distretto amministrativo di Kharkiv, pone fine, almeno sino al prossimo anno, alla prospettiva che la Russia possa conseguire l’obiettivo di completare la conquista del Donbass o proseguire nel settore meridionale oltre Kherson, minacciando Odessa. Ora Mosca deve impedire che le azioni offensive ucraine proseguano da Izyum verso sud est colpendo il fianco destro del dispositivo offensivo russo in Donbass, e deve impedire che Kiev raggiunga il Mar Nero oltre Kherson a sud». Un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto che la Russia non dispone di risorse sufficienti per organizzare nuove linee difensive a nord est e proseguire contemporaneamente lo sforzo offensivo nel Donetsk, avendo concentrato gran parte delle sue risorse operative a Kherson. «Nel corso della ritirata da Kharkiv» continua il generale Boni, «i russi hanno abbandonato centinaia di veicoli corazzati di ogni genere, ora in mano ucraina, e lasciato indietro centinaia di prigionieri riducendo ulteriormente la disponibilità di risorse da immettere in combattimento. Putin si trova ora di fronte a un dilemma spazio-temporale ricorrente negli eserciti che subiscono l’iniziativa dell’avversario: dove gravitare con le (poche) unità di riserva ancora disponibili tenuto conto nel tempo concesso dall’iniziativa dell’attaccante sia nell’Ucraina orientale, che meridionale». I russi mostrano di non temere nulla, tanto che ieri il presidente russo Vladimir Putin ha parlato all’agenzia di stampa Sputnik: «La Russia è riuscita in breve tempo ad attuare misure tali da far fallire la guerra lampo economica scatenata dall’Occidente. La tattica della guerra lampo economica su cui i Paesi occidentali contavano non ha funzionato: questo è già evidente a tutti e anche a loro». E del ritiro cosa ne pensa? Putin non ha commentato, lasciando al suo portavoce Dmtrij Peskov la questione: «Tutto ciò che accade, qualsiasi azione intrapresa dai militari durante l’operazione speciale, viene segnalata al comandante supremo. Il presidente Putin è in costante comunicazione con il ministro della Difesa e con tutti i comandanti militari». Sempre Peskov, citato da Ria Novosti, ha dichiarato: «La Russia continuerà l’operazione militare speciale in Ucraina fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi». Peskov ha anche affermato che «il ritiro delle truppe russe dal territorio della centrale nucleare di Zaporizhzhia non è attualmente in discussione», per poi aggiungere che «ora non stiamo parlando del ritiro delle truppe». Nonostante le rassicurazioni di Putin e Peskov ieri è saltata l’ennesima testa tra gli altri ufficiali russi impegnati nel conflitto. Stavolta a essere licenziato in tronco è toccato al tenente generale Roman Berdnikov, conosciuto per essere stato al comando della missione in Siria e per essere stato nominato comandante del distretto militare occidentale nemmeno un mese fa. Anche lui paga la mancanza di progressi sul campo, l’abbandono e il ritiro dalle postazioni. Il prossimo a essere giubilato potrebbe essere il ministro della Difesa Sergej Šojgu, con il quale Putin ha rapporti a dir poco tempestosi. Il fatto che sia ancora al suo posto dipende solo da una circostanza: non è stato identificato un successore all’altezza. E non c’è certo la fila per sedersi sulla sua sedia.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)