2019-11-29
Trump va in Afghanistan e punta a fermare le «guerre senza fine»
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Donald Trump si è recato a sorpresa in Afghanistan, durante il Giorno del Ringraziamento. Il presidente americano ha effettuato il viaggio in segreto e - nel suo incontro con le truppe statunitensi in loco - ha dichiarato: «Stiamo vincendo non accadeva da tempo. Siamo rispettati come non succedeva da anni. Sono qui per dirvi grazie, davvero grazie per ciò che state facendo».Trump ha poi aperto alla possibilità di un accordo con i talebani. «Loro vogliono un accordo», ha dichiarato, «e noi li incontreremo». È la seconda volta che l'attuale inquilino della Casa Bianca si reca in un teatro di guerra, dopo la visita in Iraq effettuata a Natale del 2018.È chiaro che questo viaggio presenti delle ripercussioni sul piano elettorale: e in un senso che va ben oltre la mera «operazione simpatia» (visto che il presidente si è messo a servire i pasti e a scherzare con il personale militare lì presente). Non dobbiamo infatti dimenticare che, nel 2016, Trump abbia vinto anche grazie alla promessa di porre un freno alle cosiddette «guerre senza fine», in cui Washington era rimasta impelagata con i Bush e i Clinton. Sotto questo aspetto, il conflitto afghano ha da tempo assunto una profonda valenza anche dal punto di vista simbolico, visto che risulta il più lungo in cui gli Stati Uniti sono rimasti coinvolti nella loro storia (prosegue ininterrottamente dal 2001). Non è mai stato un mistero che il presidente auspicasse un ritiro completo delle truppe dall'Afghanistan entro le presidenziali del 2020. Un obiettivo francamente difficile da conseguire. Nel corso dell'estate, sembrava che alcuni progressi fossero stati fatti per raggiungere una soluzione politica. Progressi tuttavia sfumati lo scorso settembre, quando saltò all'improvviso un vertice segreto tra Trump e i rappresentanti dei talebani che si darebbe dovuto svolgere a Camp David. Ora, con il recente annuncio del presidente, sembra tuttavia che le trattative potrebbero essere riprese. E, con ogni probabilità, la Casa Bianca - più che a un ritiro completo - punta adesso almeno a un dimezzamento delle truppe statunitensi in loco: portando le attuali quattordicimila unità a circa ottomila, in tempi possibilmente brevi.È d'altronde proprio per il suo significato simbolico che la guerra in Afghanistan è diventata argomento di dibattito anche tra i candidati alla nomination democratica. Soprattutto nel corso dei primi confronti televisivi, molti di loro si sono detti favorevoli a un ritiro più o meno rapido da questo scacchiere: si pensi solo al sindaco di South Bend, Pete Buttigieg, alla senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, al senatore del Vermont, Bernie Sanders, e alla deputata delle Hawaii, Tulsi Gabbard. Tutti costoro hanno aspramente criticato le cosiddette «guerre senza fine». Il loro problema è tuttavia duplice. Non solo, ad oggi, non hanno presentato dei piani dettagliati su come vorrebbero attuare in concreto il ritiro dell'Afghanistan. Ma soprattutto, alla prova dei fatti, molti di questi candidati democratici sono caduti nel paradosso, criticando Trump quando - alcune settimane fa - ha promosso l'abbandono dello scenario siriano da parte dei soldati americani. Il presidente, su questo fronte, si è infatti attirato le critiche di Buttigieg, Sanders e della Warren: esattamente coloro che, più di altri, hanno auspicato di porre un freno alle «guerre senza fine». Se ne evince che, come anche su altri dossier, nelle attuali primarie democratiche tenda assai spesso a prevalere un miope anti-trumpismo piuttosto che programmi politici ragionati. Se la sinistra resta preda delle sue contraddizioni intestine, il presidente deve tuttavia guardare con attenzione anche alla propria destra. Non è infatti un mistero che i falchi repubblicani non vedano troppo di buon occhio la sua politica di disimpegno dal Medio Oriente. In questo senso, il senatore del South Carolina, Lindsey Graham, ha più volte criticato Trump per i suoi obiettivi di ritiro militare in Siria e in Afghanistan. Con particolare riferimento allo scenario afghano, Graham ha sempre temuto che una riduzione drastica della presenza americana in loco favorirebbe il sorgere di una nuova connessione tra i talebani e le cellule islamiste di Al Qaeda. Una preoccupazione condivisa anche dalle alte sfere del Pentagono: una preoccupazione che lo stesso Trump ha mostrato - soprattutto negli ultimi mesi - di non poter ignorare. L'inquilino della Casa Bianca si trova dunque davanti al non facile obiettivo di coniugare il mantenimento di una importante promessa elettorale con la salvaguardia della sicurezza nazionale. Tutto questo, evitando gli estremi (e perniciosi) opposti dell'arrendevolezza e degli isterismi bellicisti di alcuni falchi (non va trascurato del resto che il siluramento a settembre dell'allora consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, sia avvenuto soprattutto a causa del dossier afghano). Insomma, sull'Afghanistan il presidente si gioca una parte significativa della sua rielezione ed è quindi impellente per lui raggiungere almeno una riduzione delle truppe presenti in loco. L'obiettivo non è semplice ma va considerato che l'assenza di piani precisi sulla questione da parte dei candidati democratici rappresenti un indubbio vantaggio elettorale per l'inquilino della Casa Bianca.
(Totaleu)
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