2025-04-03
Trump, ecco i dazi: 25% sulle auto, 20% all’Ue
Donald Trump (Getty Images)
Il presidente: «È il nostro giorno della liberazione». E dà il via alla misura che punta a ridurre il deficit con Cina e Germania. Tariffe base (Uk compresa) al 10%, Pechino al 34%. Si potrà negoziare Stato per Stato?La giornata di attesa della conferenza show di Donald Trump sui dazi è stata ricca di colpi di scena. Ieri Wall Street dopo diverse sedute negative ha virato verso il verde. A far sorridere gli investitori è stata la notizia riportata da Politico secondo cui Elon Musk sarebbe a un passo dall’addio al suo ruolo di sforbiciatore. Niente più incarico di governo presso il Doge. La Casa Bianca ha smentito categoricamente la notizia, ma Tesla ha subito brindato e a cascata gli altri colossi del listino. Anche le Borse europee hanno chiuso in parità, mosse dalle indiscrezioni su quanto in serata ha dichiarato il numero uno della Casa Bianca. Strategia del divide et impera. Più fasce di dazi (10,15, 20 e 25%) pronte a variare per Paese e per settore. Con una soglia minima per tutte le nazioni del 10%. Nel grande tabellone mostrato ieri sera nel giardino delle rose tra la lunga lista di percentuali abbinate ai Paesi del globo (sono 60 quelli che hanno tariffe aggiuntive alla base del 10%) hanno spiccato tre valori. Un 34% per la Cina, 20% per tutta l’Ue e un 10% per la Gran Bretagna. Da capire se la cifra unitaria destinata all’Europa sia negoziabile al di là degli specifici settori. Di certo la Brexit è valsa un bello sconto a Londra. Vedremo poi gli esempi concreti, ad esempio l’impatto sui prodotti agroalimentari. Secondo un report diffuso ieri da Nomisma e Centro marca, nel 2024 parliamo di 9,9 miliardi in crescita del 146% rispetto al 2014. Nel complesso l’export italiano verso il Paese a stelle e strisce è il 10% del totale Ue con picchi sul vino, l’olio e le acque minerali. Diverso è il tema auto. Ieri Trump in occasione di una conferenza stampa con tanto di fanfara ha confermato il 25% di dazi sulle vetture prodotte all’estero. «In questi anni», ha detto il tycoon, «abbiamo perso 90.000 fabbriche e io sono qui a pensare al mio Paese». A differenza «di quando c’era Sleepy Joe», ha proseguito, «che ha portato inflazione e immigrati sotto salariati». Insomma, il peso dei dazi sul settore delle quattro ruote andrà a cadere in gran parte sulla Germania che è l’obiettivo di Trump. Degli oltre 270 miliardi di euro annui di surplus a favore dell’Ue la fetta principale è da imputare proprio a Berlino. Lo staff della Casa Bianca ha ribadito che «per la prima volta da decenni, gli Stati Uniti vedranno un commercio equo per livellare il campo di gioco per i lavoratori e le aziende americane». Aggiungendo che «nonostante la retorica di politici e media», ha sottolineato una nota, «gli studi hanno ripetutamente dimostrato che le tariffe sono uno strumento efficace». Uno studio del 2024 sugli effetti dei dazi imposti durante il suo primo mandato, ha proseguito la Casa Bianca, «rivela che i dazi hanno portato a un significativo reshoring» della produzione manifatturiera. Inoltre, un rapporto del 2023 della commissione per il Commercio internazionale ha rivelato che le tariffe imposte su oltre 300 miliardi di dollari di importazioni hanno ridotto l’import dalla Cina, mentre non risulta alcuna «correlazione con l’inflazione». Lo scenario così descritto non è certo campato per aria sebbene un po’ ottimistico. Gli americani sanno che a tale ragionamento manca una gamba. Quella della svalutazione del dollaro. Anche se Trump continua nella strategia del «pazzo», tipica dei mediatori, la visione ha dei sottostanti scientifici che riportano al nome di un celebre economista, Stephen Miran.Il piano è stato battezzato «Accordo di Mar-a-Lago». Il riferimento non è solo alla casa di Trump in Florida ma anche all’Accordo del Plaza del 1985 per attuare una svalutazione del dollaro. Se il tycoon avesse adottato il piano di Miran, il suo obiettivo sarebbe duplice. In primo luogo, il presidente avrebbe intenzione di spingere i principali creditori e partner commerciali degli Stati Uniti ad attuare una politica coordinata volta a indebolire il biglietto verde. Un simile obiettivo, agli occhi di Trump, è necessario per rilanciare il settore manifatturiero statunitense in determinate aree strategiche, a partire dalla Rust belt. Per arrivare all’obiettivo gli Usa dovrebbero convincere i detentori di debito ad accettare una sorta di rinegoziazione dei bond. E lo scambio con obbligazioni sul modello perpetual. Almeno della durata di 50 anni e con rendimento vicino allo zero. Perché dovrebbero accettare? Nella visione di Miran ci sarebbe una sorta di scambio con l’ombrello militare statunitense.Il presupposto logico è: se chi gode della protezione militare Usa non paga la propria quota di spese dell’Alleanza allora potrà assorbire debito senza guadagnare. Il tutto presuppone una sorta di aut aut o minaccia. Nel senso che chi si trovasse a rispondere picche si scoprirebbe scoperto militarmente. D’altronde tutti i Paesi Ue, al di là della retorica, sanno bene che, posto si trovino i fondi, le tempistiche sarebbero lunghe, quasi decennali. Il che ci riporta al discorso ribadito più volte da Giorgia Meloni. Meglio trattare e sedersi al tavolo. Per incastrare un tassello alla volta. L’esatto opposto di quanto ha dichiarato ieri sera Christine Lagarde. La numero uno della Bce ha chiesto una risposta univoca di tutto l’Unione. E se qualcuno è contrario? «Dobbiamo cambiare strutturalmente il modo in cui prendiamo decisioni», ha sentenziato, «superando la tradizione in cui il veto di un singolo Paese può mandare all’aria l’interesse collettivo di 26 altri Paesi». Meno Ue e più Urss. Cosa può andare storto? Intanto il dollaro ha cominciato a scendere
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)