2020-10-25
Troppe carenze nel sistema di assistenza domiciliare. Difficile tutelare gli anziani
In altri Paesi si proteggono gli over 65 evitando che escano di casa. Ma lì la sanità conta su una efficace rete sanitaria di base che in Italia è venuta a mancare.Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo): «Le biopsie sono diminuite del 52%, le visite del 57% e si sono registrati ritardi per il 64% degli interventi. Questo ha causato una netta riduzione delle nuove diagnosi e la scoperta della patologia in fase avanzata, meno curabile».Lo speciale contiene due articoli.«Si muore, una volta o l'altra si muore. In un certo anno, come le città, come i popoli e i continenti. Si crepa». Adesso ci stupiamo ma era già tutto scritto, nessuno come Friedrich Dürrenmatt conosceva la Svizzera; la decisione dura, calvinista, di scegliere chi mandare in terapia intensiva e chi no fa capolino nel suo capolavoro Il sospetto. Non avviare più gli anziani in rianimazione per il Covid: a Nord delle Alpi l'avevano pensata in tanti ma nessuno aveva il coraggio di cominciare. Ora è ufficiale. Titolo del protocollo dell'Accademia delle Scienze mediche e della Società Svizzera di medicina intensiva: «Triage dei trattamenti di medicina intensiva in caso di scarsità di risorse». Paragrafo decisivo: «Al livello B, indisponibilità di letti in terapia intensiva, non andrebbe fatta nessuna rianimazione cardiopolmonare».Il livello B ha due parametri, l'età superiore agli 85 anni e quella superiore ai 75 anni se in presenza di una di queste patologie: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica, insufficienza cardiaca grave con sopravvivenza stimata a meno di due anni. La decisione dipenderà dai medici. Il presidente dell'ordine del Canton Ticino, Franco Denti, ha detto alla Stampa: «Quando è uscita la direttiva siamo saltati sulla sedia, decidere chi rianimare e chi no è pesante per un medico. Ma le regole sono chiare, a garanzia dei medici e degli stessi pazienti che potrebbero non aver voglia di essere sottoposti a ulteriori cure».Il caso Svizzera è ai margini del pollaio italiano dei talk show ma sta avendo effetti micidiali: quasi 7.000 casi, 10 morti in un giorno, 500 casi ogni 100.000 abitanti, il doppio che in Italia e in Austria, cinque volte più che in Germania. Se in Lombardia (eccetto Milano) le province più colpite sono quelle di Varese e Como, basta guardare una cartina per capire il motivo: porosità totale, frontalieri e scambi commerciali in quella macroregione di fatto che è l'Insubria. L'estate scorsa hanno ballato sul Titanic anche loro. Hanno pensato a ritirare il Moretto politicamente scorretto, non a mettersi le mascherine. Adesso è allarme rosso e l'oggettiva disumanità di una decisione viene giustificata con lo stato di necessità. Parola d'ordine: non intasare gli ospedali, non mandare in tilt le terapie intensive.Detto questo, rilanciare che «la Svizzera non cura gli anziani» è la consueta banalizzazione mediatica italiana. Perché se a Berna hanno deciso di mettere in atto un protocollo in sonno da marzo, il motivo non sta solo nel centenario e rude pragmatismo della confederazione ma nella certezza del funzionamento di un sistema sanitario che si basa sulla cura dei più anziani a casa. Qualcosa che da noi è impensabile, da loro è prassi consolidata. Il tracing funziona, l'attenzione è palpabile. E il rischio d'una lenta e irreversibile agonia dentro la bolla della solitudine che sa di abbandono - destino spietato, disumano per i nostri vecchi se una simile pratica fosse adottata in Italia - non è neppure ipotizzabile. Questo perché oltre Ponte Chiasso i medici di base hanno un ruolo fondamentale, attivo. Non si limitano a dettare diagnosi per telefono o a consigliare: vada al pronto soccorso. La deresponsabilizzazione di una figura chiave è un problema che ci tiene lontani paradossalmente da scelte inaccettabili sotto il profilo morale ma che impedisce al sistema sanitario e alla politica di imporre agli over 65 di rimanere in casa. Poiché la media dei contagiati si sta alzando e il pericolo mortale ancora una volta investe gli anziani, questa sarebbe una soluzione. Se tamponi, Immuni e coprifuoco non dovessero funzionare, servirebbe un lockdown non territoriale (devastante per la sopravvivenza economica e psicologica di una comunità), ma per fasce d'età. Lo consiglia anche Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, che a Un giorno da pecora (RadioRai) ha detto: «Per evitare la chiusura totale, la soluzione sarebbe il divieto di uscita degli over 65. Avrebbe senso, visto che la malattia colpisce particolarmente le persone anziane e fragili. Oggi c'è già una campagna vaccinale per loro, per le persone immunodepresse e con malattie respiratorie: queste sono le categorie alle quali indirizzarsi».Per farlo bisognerebbe poter contare su una struttura sanitaria domiciliare. Un sistema che da noi non funziona come dovrebbe e lascia buchi pericolosi che si chiamano abbandono e solitudine. Finora chi ha vinto il virus cinese ha adottato la strategia at home. Ma con il supporto. La Svizzera può permettersi protocolli da brivido in rianimazione perché lo sta facendo, come la Corea, come il Giappone. E come l'America trumpiana, spesso additata a esempio negativo a vanvera da chi in questi mesi ha supportato la campagna di marketing di palazzo Chigi. Quella del «sistema antivirus migliore del mondo». La seconda ondata ci sta chiedendo conto anche di questo.La narrazione di comodo è smentita da un radical con la patente come Federico Rampini, corrispondente da New York de la Repubblica risultato positivo, capace di zittire i corifei di Giuseppe Conte compresi i virologi che hanno messo le tende negli studi televisivi. «Prima gli sms e le telefonate a casa, poi si è presentata in carne ed ossa la mia tracer», spiega il giornalista. Una delle 10.000 assunte nella task force locale. Gli ha chiesto se poteva ospitarlo in albergo a spese dello stato di New York, se avesse bisogno di medicine o di sostegno psicologico. Gli ha indicato l'ambulatorio più vicino, gli ha spiegato la sintomatologia oltre la quale ci sarebbe stato il ricovero, gli ha fissato un successivo appuntamento. «Colpisce il reclutamento e la formazione di 10.000 tracer con la missione di individuare e sorvegliare i focolai, un condominio alla volta. New York ha imparato ad essere più simile a Tokio e Seul. Abbiamo subito un disastro ma non è stato inutile». Da noi purtroppo sì. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/troppe-carenze-nel-sistema-di-assistenza-domiciliare-difficile-tutelare-gli-anziani-2648484555.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lemergenza-sanitaria-e-come-uno-tsunami-per-i-malati-di-cancro" data-post-id="2648484555" data-published-at="1603568228" data-use-pagination="False"> «L’emergenza sanitaria è come uno tsunami per i malati di cancro» L'emergenza sanitaria del Covid-19 si è abbattuto come uno «tsunami per i malati di cancro, come dimostrano, da una parte i numeri e le statistiche sul mancato accesso ai trattamenti terapeutici e alle diagnosi precoci e, dall'altra, le proiezioni che prevedono un allarmante incremento di decessi dovuti anche al blocco degli screening», dice alla Verità Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) e past president della European cancer patient coalition (Ecpc). «Questa seconda fase purtroppo, con la preoccupazione del contagio, presenta le stesse criticità dei mesi scorsi, nonostante le precauzioni assunte in questo periodo. È pertanto necessario non limitarsi più a provvedimenti estemporanei e occasionali, ma occorre una strategia complessiva per l'oncologia, che tuteli nel tempo tutti i diritti dei malati di cancro, nonostante la pandemia». Ha parlato proprio di emergenza oncologica, De Lorenzo nel corso della XV Giornata nazionale del malato oncologico promossa da Favo il 17 maggio, ma rinviata quest'anno a ottobre. L'allarme sull'emergenza oncologica è stato lanciato da Favo lo scorso luglio in un'audizione presso la XII Commissione Affari Sociali della Camera. Adesso com'è la situazione? «Oggi i pazienti chiedono l'attuazione del piano oncologico nazionale in tutte le regioni, condizione necessaria per garantire la migliore assistenza. Tale appello è stato raccolto recentemente alla Camera con la risoluzione presentata dall'onorevole Elena Carnevali e al Senato dalla senatrice Paola Binetti. Il piano precedente è scaduto nel 2016. A distanza di quatto anni non è ancora stato rinnovato. In Europa l'oncologia è una priorità della salute pubblica e non sposterà di un giorno l'approvazione del nuovo piano, previsto a novembre». In cosa consiste il piano oncologico nazionale? «Nella programmazione delle reti oncologiche regionali, percorsi diagnostico-assistenziali che tengano conto del documento redatto dalle associazioni dei pazienti e della comunità scientifica. Le reti oncologiche oggi non sono ancora presenti in tutte le regioni e quelle finora costituite hanno livelli di sviluppo e di funzionamento decisamente disomogenee. Si attende l'attuazione previsto dall'accordo Stato-Regioni del 2019 per una rete adeguata nell'accoglienza e assistenza ospedaliera. Attualmente c'è un gruppo di lavoro costituito dal ministero della Salute presso l'agenzia nazionale Agenas». I malati di cancro sono più a rischio con il Covid… «Sono pazienti fragili con una compromessa risposta immunitaria. Il decorso dell'infezione da Covid-19 risulta più sfavorevole sia per il ricovero in terapia intensiva che nell'incidenza dei decessi. Una review dell'European Journal of Cancer riferisce di un tasso di mortalità del 25,6%, che aumenta fino al 35% se il tumore è in fase attiva. In Italia l'associazione tra tumore e Covid-19, ha fatto registrare il 12% dei decessi durante la pandemia (Rapporto Istat - Iss)». Anche la prevenzione ha avuto dei problemi, con 1,4 milioni di screening in meno. Cosa ci dobbiamo aspettare? «A causa dell'emergenza da Covid le biopsie sono diminuite del 52%, le visite del 57% e si sono registrati ritardi per il 64 %degli interventi chirurgici. Questo ha portato non solo a una netta riduzione delle nuove diagnosi, ma alla scoperta della patologia in fase avanzata e quindi meno curabile, dal momento che l'individuazione di tali neoplasie in fase avanzata determina minori probabilità di guarigione e costi delle cure più elevati. A partire dall'anno prossimo ci saranno migliaia di malati che moriranno. Il cancro alla cervice veniva evitato nel 90% dei casi grazie alla diagnosi precoce. Il 40% delle donne si salvano con la mammografia. Se il Servizio sanitario toglie la prevenzione abbiamo tradito il suo fine». Si è recuperato nei mesi estivi il tempo perduto? «Era stato chiesto di aumentare del 30% degli interventi e dell'attività oncologica per rimediare ai ritardi accumulati nei primi mesi del 2020. Ben prima della pandemia però era previsto un aumento del 30% degli interventi chirurgici. A ritardi si sono aggiunti ritardi. La chirurgia guarisce molti pazienti, per questo va potenziata. Un malato di cancro positivo, non si opera per dei mesi e, nel frattempo, potrebbe morire per la progressione del cancro». Servono interventi di emergenza anche in oncologia, non solo per il Covid? «Ogni giorno si ammalano 1.000 persone di cancro. Senza la diagnosi precoce, si arriva alla fase finale con conseguenze anche sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale. Questa è un'emergenza. Oggi ci sono 3,7 milioni di persone con diagnosi di cancro in Italia. È un mondo che attraverso il mondo. Come volontariato non esprimiamo giudizio per le responsabilità delle carenze, ma riteniamo necessario fare presente le difficoltà che si trovano ad affrontare i malti di cancro in questo periodo di pandemia». L'attivazione di reti oncologiche potrebbe aiutare a contenere i danni? «Il Covid 19 ha evidenziato una serie di criticità che riguardano i malati di cancro che sono conseguenza di carenza di servizio, organico e organizzazione. È necessario programmare da ora il supporto, anche economico, al funzionamento delle reti anche per assicurare l'accesso alle terapie innovative. In primis la medicina di precisione che, basandosi su profili genetici di malattia, richiede con urgenza investimenti in infrastrutture cliniche, servizi adeguati e strutture dipartimentali».
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