
Lo avevano dipinto come il freddo tecnico che avrebbe riportato alla ragione i «monelli» di Lega e M5s. Ma, nell'intervista a Bloomberg, il titolare dell'Economia dimostra di non essere affatto «lo zio di Mario Monti».Ma come? Non era lo zio di Monti? Non era come Padoan? L'uomo di Mattarella per scardinare il governo Di Maio-Salvini? Non doveva fare le barricate contro il reddito di cittadinanza? Opporsi alla flat tax? Bloccare sul nascere l'impossibile programma gialloblù? Non doveva soffocare in culla la realizzazione di ogni promessa elettorale? Non era il guardiano del pareggio di bilancio? Il lanzichenecco d'Europa, il cerbero di Bruxelles, la vestale dell'ortodossia all'insegna del «saranno crauti vostri»? Macché: il ministro dell'economia Giovanni Tria, nella sua prima intervista importante a un organo di informazione internazionale, Bloomberg, si mostra quanto mai allineato e coperto. Annuncia che il reddito di cittadinanza si farà insieme con la riduzione delle tasse. E che tutto ciò nel 2019 si finanzierà con l'aumento del deficit. Per essere lo zio di Monti, non è male, non vi pare? Risulta che si siano già verificati i primi svenimenti negli uffici di Bruxelles. E anche in molte redazioni italiane. Ma chi si crede d'essere questo Tria? Di Maio? Salvini? O forse addirittura Paolo Savona? Non l'ha capito che doveva diventare il signornò del governo, una specie di Tremonti postdatato, il guastafeste che entra in azione ancor prima che ci sia la festa?Niente, il professor Tria non ne vuol sapere di recitare la parte in commedia che avevano scritto per lui. Pensate che osa dire, addirittura, che «reddito di cittadinanza e taglio delle tasse devono andare di pari passo». Di pari passo, capite? Ma non doveva sostenere l'impossibilità dell'operazione? Non doveva mettersi di traverso? Fare opposizione al suo medesimo governo (cit. Il Foglio)? Macché: «Reddito di cittadinanza e taglio delle tasse devono andare di pari passo», spiega Tria, «per cambiare il sistema e sostenere la crescita economica». Proprio così: cambiare il sistema, crescita economica. Come se fosse un Borghi o un Paragone gialloblu. Altro che Padoan. Libidine, doppia libidine, libidine con i fiocchi come direbbe Jerry Calà. Il quale, per altro, nelle ultime ore ha dimostrato di intendersene di economia assai più di tanti soloni patentati. Questi ultimi, infatti, hanno speso fiumi di inchiostro per elogiare Tria come unico elemento ragionevole del governo, colui che avrebbe riportato gli scavezzacolli grilloleghisti alla cruda realtà dei numeri, colui che avrebbe spezzato sul nascere ogni speranza di cambiamento. Già pregustavano goduriosi il momento della rottura, annunciando trionfanti: «Le parole di Tria dimostrano che il contratto di governo non si potrà realizzare» (cit. Brunetta). E si fregavano le mani nell'immaginare il professore severo mentre impartiva una lezione agli scolaretti indisciplinati Di Maio e Salvini: «Flat tax? Impossibile. Reddito di cittadinanza? Siete matti. Deficit di bilancio? Non se ne parla». Invece lui, a Bloomberg, ha detto esattamente il contrario. Ha ribadito che le due misure saranno introdotte insieme. Ha parlato di «variazione del deficit nel 2019». E della necessità di «aumentare le spese per investimenti» per «sostenere la crescita economica». Ma come? Il ragionevole Tria che sostiene le tesi da tutti definite irragionevoli? Dov'è l'errore? L'errore, semplicemente, è che forse quelle tesi non sono poi così irragionevoli. L'ha capito perfino Jerry Calà, purtroppo non i cervelloni di casa nostra che sono limitati dal fatto di avere gli occhi foderati di pregiudizio. Perciò speravano che Tria si trasformasse nella quinta colonna del montismo dentro il governo del cambiamento. Invece no. Quello che era stato scambiato per resistenza alle riforme proposte, quei primi interventi del ministro sui giornali (Corriere della Sera) e in Parlamento (commissione) che grondavano Padoan da tutti i pori, erano soltanto la normale prudenza di chi siede sulla poltrona dell'Economia e sa che ogni sua parola può scuotere le tasche degli italiani. I mercati sono bestie da domare con intelligenza, si capisce. Ma anche con coraggio. E Tria, con buona pace dei fan interessati e oggi delusi, di coraggio ieri ha dimostrato di averne in abbondanza.Sorpresi? Un po', certo. Ma non bisogna dimenticare che il suo nome per l'Economia è stato fatto direttamente da Paolo Savona. E che il ministro da tutti vezzeggiato come elemento filo-Bruxelles, in realtà ha sempre avuto posizioni non lontanissime da quelle del professore dipinto come un pericolo per l'Europa. Anche Tria, infatti, ha sempre sostenuto che bisogna invertire rapidamente la rotta per cercare di salvare una costruzione, quella dell'Ue, che altrimenti rischia di implodere e di distruggerci. Non lo ha mai detto con i toni di Di Maio o Salvini quando era professore, tanto meno lo dirà ora che è ministro. Ma ieri ha assicurato che lo farà. Ed è decisamente più importante. Con buona pace di quelli che speravano di vedere al governo un lecchino di Angela Merkel. O lo zio di Monti, che poi è la stessa cosa.
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