2023-01-28
Il Trattato del Quirinale va a regime mentre Parigi si indebolisce in Africa
Emmanuel Macron e Sergio Mattarella (Ansa)
Patto operativo a giorni. Rispetto al momento della firma, la Francia ha perso posizioni e l’Italia ha lanciato il suo piano Mattei. Ma bisogna restare vigili. Incontro tra Guido Crosetto e Sébastien Lecornu: al centro la difesa del Mediterraneo.In Africa aumenta l’influenza russa: l’Eliseo richiama i soldati dispiegati in Burkina Faso, ritirato anche l’ambasciatore. Pure il Mali nell’orbita di Vladimir Putin. Determinante il Wagner group.Lo speciale contiene due articoli.Ex malo bonum, forse. Come i lettori ricorderanno, questo giornale - in epoca non sospetta - fu molto critico rispetto alla genesi del Trattato del Quirinale. Sotto un titolo neutro («Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata con la Francia») si nascondeva infatti un autentico mistero politico: ci domandammo allora come mai, in modo semisegreto e comunque in forme impermeabili allo stesso Parlamento, fosse andata avanti un’attività volta a legare strettamente Roma e Parigi in settori ultrasensibili, dalla Difesa all’industria, dagli esteri all’energia. E - visti i protagonisti di allora, le modalità, e i rapporti di forza - c’era il fortissimo rischio che la Francia si ritagliasse un ruolo dominante.Eravamo a novembre del 2021 (le firme furono quelle di Emmanuel Macron e Mario Draghi) e tutti ricordano l’accelerazione (anche questo aspetto fu apertamente oggetto delle motivatissime critiche della Verità) caldeggiata proprio dal Quirinale alla vigilia della scadenza del primo mandato di Sergio Mattarella. Tuttavia, oltre un anno dopo, per il governo guidato da Giorgia Meloni, quell’eredità, pur non ricercata né voluta, ormai c’è: né c’è modo di scansarla. E allora ecco perché ex malo bonum: dovendo fare i conti con questo fatto compiuto ereditato dal passato, il nuovo esecutivo ha segnato tre punti a suo favore nel momento in cui ha preso in mano il dossier del rapporto con Parigi. Primo: il nuovo governo ha scelto di fare un passo dopo aver mostrato di sapere tenere una linea netta sull’immigrazione, senza cedere alle provocazioni di Macron durante la crisi della Ocean viking. Secondo: si è mosso nel momento di maggior debolezza francese in Africa, e, per converso, nel momento di maggior protagonismo italiano in quel Continente, e dopo che la Meloni ha esplicitato la sua intenzione di perseguire l’obiettivo di un «piano Mattei». In altre parole, forte di una salda collocazione atlantista e di un rapporto chiaro con Washington, Roma sente di poter essere protagonista in questa fase. E, dopo la recentissima missione in Algeria, la Meloni oggi arriverà in Libia. Obiettivi: per un verso, un accordo energetico; per altro verso, il tema immigrazione. Terzo: dopo l’accordo siglato tra Italia, Gran Bretagna e Giappone per la costruzione del nuovo supercaccia Tempest, Roma ha dimostrato, anche al punto di vista di un’intesa tecnologica così rilevante, di saper giocare su un tavolo diverso rispetto a quelli con Francia e Germania, mostrando dinamismo e un margine interessante di autonomia strategica. Su questa rinnovata base, si può parlare anche con la Francia. E va intesa in questo senso la venuta a Roma, per incontrare il ministro della Difesa Guido Crosetto, dell’omologo francese Sébastien Lecornu. La notizia, anticipata ieri dal Corriere della Sera, ha trovato piena conferma. Non solo rispetto al carattere strutturato del vertice: non una mera visita di cortesia ma un’articolata sessione di lavoro. Ma pure rispetto al ventaglio assai ampio degli argomenti trattati a Villa Madama: con l’inclusione anche degli scottanti temi delle attività congiunte nel Mediterraneo, di un coordinamento anti terrorismo, e di un ambito territoriale enorme (dal Sahel con i relativi rischi terroristici al Medio Oriente nel suo insieme). Naturalmente anche l’Ucraina ha fatto parte della discussione, confermando la collaborazione anche rispetto al tentativo di ampliare le opportunità da cogliere per arrivare a un tavolo di pace.L’incontro è stato definito da Roma «cordiale e proficuo», centrato sull’impegno per l’Ucraina, la sicurezza nel Mediterraneo, la difesa europea e la cooperazione tra le Forze armate, temi su cui c’è stata «piena sintonia». «Tra Italia e Francia valori condivisi che rafforzano la visione strategica comune», si legge in un tweet del ministero della Difesa.«È importante che Italia e Francia e che le forze armate dei nostri Paesi cooperino progettando quella che sarà la nostra sicurezza del futuro», ha detto il ministro Crosetto, che ha aggiunto: «Oggi abbiamo affrontato numerosi temi, in primis la sicurezza dei nostri due Paesi partendo dal fronte Est e quello che sta succedendo e continua a succedere in Ucraina. Abbiamo parlato anche della sicurezza del Mediterraneo allargato, del Centro e Nord Africa, della cooperazione in campo militare e industriale e della possibilità di costruire insieme una visione di sicurezza e difesa che abbia il coraggio di pensare non soltanto ai nostri due Paesi e al Mediterraneo allargato ma al futuro della difesa europea». Da parte sua, Lecornu ha aggiunto: «Abbiamo riaffermato la nostra volontà di portare avanti la nostra agenda di sostegno militare all’Ucraina, di proteggere il Mediterraneo dalle nuove minacce e dì studiare l’accrescimento delle capacità di produzione comuni per quanto riguarda la difesa terra-aria».Come si vede, in politica estera la Meloni e i suoi stanno giocando con cura le loro carte. La sinistra aveva pronosticato un’Italia ai margini e in lite con tutti. E invece c’è un governo che ha saputo ritagliarsi un ruolo, e al tempo stesso capace di dialoghi con gli interlocutori tradizionali: ma senza chinare il capo. Si ricorderanno il primo incontro romano tra la Meloni e Macron e le successive polemiche sull’immigrazione: da troppe parti, anche in sedi istituzionali, si immaginava che l’Italia dovesse - non si comprende perché - subire il comportamento muscolare di Parigi. E invece, tenendo il punto, è stata proprio la Francia, in un suo oggettivo momento di difficoltà in Africa, ad accettare un dialogo con Roma su basi diverse da ciò che forse Parigi aveva immaginato. Naturalmente le incognite non mancano. La parte sull’immigrazione del Trattato del Quirinale è vaghissima: una cornice vuota. E, anche rispetto a eventuali futuri coordinamenti di polizia o militari, non si tratta mai solo di fatti tecnici. Restano quindi sul tavolo domande cruciali, a partire dalla linea politica da tenere in ciascun teatro. Ma la notizia è che lo scenario e i rapporti di forza sono cambiati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trattato-quirinale-parigi-indebolisce-africa-2659320766.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="aumenta-linfluenza-russa-leliseo-richiama-i-soldati-dispiegati-in-burkina-faso" data-post-id="2659320766" data-published-at="1674845658" data-use-pagination="False"> Aumenta l’influenza russa. L’Eliseo richiama i soldati dispiegati in Burkina Faso Sembra rafforzarsi la presa della Russia sul Sahel. Mercoledì, la Francia ha reso noto che ritirerà le proprie truppe dal Burkina Faso entro un mese. L’annuncio è arrivato dopo che, lunedì, il governo di Ouagadougou aveva stabilito di porre fine all’accordo stipulato con Parigi nel 2018: un accordo che consentiva il dispiegamento sul territorio di personale militare francese (attualmente circa 400 soldati) per il contrasto ai gruppi jihadisti. Personale che adesso sarà probabilmente ricollocato in Ciad o in Niger. D’altronde, che la fibrillazione tra i due Paesi stia crescendo è sempre più evidente. La Francia ha anche richiamato il proprio ambasciatore in Burkina Faso, mentre la scorsa settimana si erano tenute vigorose proteste a Ouagadougou: proteste antifrancesi, in cui sono comparse numerose bandiere russe. Del resto, lo zampino di Mosca era spuntato già ai tempi del colpo di Stato del gennaio 2022. Il Daily Beast riferì che, in quell’occasione, l’allora presidente del Burkina, Roch Kabore, sarebbe stato destituito dopo aver rifiutato la richiesta, avanzata dai vertici dell’esercito, di assumere i mercenari del Wagner group. «Il dipartimento della Difesa è a conoscenza delle accuse secondo cui il Wagner group, sostenuto dalla Russia, potrebbe essere stato una forza dietro la presa di potere militare in Burkina Faso», dichiarò il portavoce del Pentagono, Cindi King. Non solo. Anche l’attuale presidente del Burkina Ibrahim Traoré, salito al potere dopo il golpe dello scorso settembre, è sospettato di intrattenere legami con la Russia. Insomma, sembra proprio che l’influenza di Mosca sul Sahel si stia ulteriormente espandendo. Ricordiamo d’altronde che l’anno scorso già il Mali è entrato pienamente nell’orbita russa a netto discapito di Parigi. Una longa manus, quella del Cremlino, che in loco si serve soprattutto del Wagner group: organizzazione paramilitare che sta rafforzando la propria influenza sul Sahel, usando come trampolino di lancio (anche) la Libia orientale. E proprio il Wagner group rappresenta un inquietante anello di congiunzione tra la crisi ucraina e la presenza russa nel Mediterraneo allargato. Secondo gli Stati Uniti, sarebbero circa 50.000 i mercenari russi attualmente impiegati dal Cremlino nell’invasione dell’Ucraina. Non è un caso che il dipartimento del Tesoro americano abbia recentemente comminato nuove sanzioni a questa entità, designandola anche come una organizzazione criminale transnazionale. E attenzione: la perdita di influenza francese sul Sahel non sta favorendo solo la Russia ma anche la Turchia. A luglio, Ankara ha annunciato il proprio sostegno al Burkina Faso sul fronte della crisi alimentare, mentre a giugno Recep Tayyip Erdogan aveva avuto una conversazione telefonica con il presidente maliano, Assimi Goita, volta al rafforzamento delle relazioni bilaterali con Bamako. Senza poi trascurare che, pochi giorni fa, il viceministro degli Esteri dell’Iran, Ali Bagheri, si è recato in visita a Ouagadougou: quell’Iran che è uno dei principali alleati mediorientali di Mosca. Il quadro complessivo è preoccupante. L’attuale governo italiano sta (giustamente) cercando di rilanciare la centralità di Roma nel Mediterraneo allargato. E, non a caso, Giorgia Meloni ha discusso anche di Sahel nel suo recente bilaterale con il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune. Si fa quindi sempre più urgente un rilancio del fianco meridionale della Nato: un contesto in cui l’Italia potrebbe svolgere un ruolo di leadership (soprattutto a fronte dell’indebolimento francese e delle crescenti ambiguità nei rapporti tra Turchia e Russia). L’amministrazione Biden dovrebbe muoversi celermente. E puntare su Roma per un consolidamento dell’Alleanza atlantica nel Mediterraneo.