2018-05-11
Droghe, vestiti griffati e Youtube: la musica che lobotomizza i ragazzini
Si chiama trap e la cantano giovanissimi come Sfera Ebbasta, Young Signorino e Dark Polo Gang, che macinano milioni di contatti sul Web. Vanno oltre la provocazione, la loro filosofia è il nulla totale.Il mondo degli adulti ha dovuto fare seriamente i conti con la trap il primo maggio, quando sul palco del consueto concertone è salito Sfera Ebbasta, al secolo Gionata Boschetti da Cinisello Balsamo, classe 1992. Giubbotto di Gucci, griffato dagli occhiali alle scarpe, ha intonato il suo inno Tran tran, una specie di manifesto: «Non mi frega di niente/ Non c'entro col rap, no/ Con quello e con l'altro/ No scusa, no hablo tù lingua/ Ma sicuro piace a tua figlia/ Sicuro, è da un po' che sta in fissa col trap/ Collane ghiacciate, c'ho il cuore a metà/ Già alla mia età/ Non puoi parlare dei miei contenuti, fra', non hai l'età». In una frazione di secondo, dal pubblico è cresciuta una foresta di smartphone; le tante ragazzine presenti scattavano e filmavano come forsennate, con numerosi gridolini a corredo. Per i progressisti italiani, abituati ai proclami delle starlette politicizzate di casa nostra, è stato un trauma. Si sono trovati circondati da adolescenti che urlavano «non mi frega di niente», e tanti saluti all'impegno, al lavoro e alla lotta di classe. Poi Sfera Ebbasta, tramite i social che sono il suo habitat naturale, ha rincarato la dose, spiegando di essere salito sul palco con «due Rolex», roba da far infeltrire il maglione di Alberta Ferretti da 325 euro sfoggiato dalla presentatrice Ambra Angiolini. Singolare ricorso storico: la ex ragazza di Non è la Rai, un tempo simbolo della berlusconizzazione delle menti, ora è una intellettuale con cachemirino d'ordinanza, e a confronto dei nuovi idoli della gioventù pare un premio Nobel. Va detto pure che Sfera Ebbasta - uno che ha ottenuto grazie a Internet 20 dischi d'oro e 10 di platino - è lo Shakespeare della nuova ondata di celebrità. I suoi testi fanno rimpiangere Fedez e J-Ax, ma almeno contengono qualche frase di senso compiuto. Provate a sentire una canzone di Young Signorino, altro esponente di punta del genere trap. Il suo brano Mmh ha ha ha ha totalizzato quasi quattro milioni di visualizzazioni su Youtube. Ecco le prime strofe: «Alfa-Alfa-Alfabeto ah uh/ Ah uh/ Ah uh ah/ Alfa-Alfa-Alfabeto rappapappapappapà». Il seguito non è meglio. Sopra un'ipnotica base elettronica, il massimo che questo tizio riesce a proferire è: «Fumo, fumo, fumo e rido/ Mmh ha ha ha/ Lei ride, ride, ride/ Mmh ha ha ha». Young Signorino si chiama Paolo Caputo, viene da Cesena, ha 19 anni e una marea di tatuaggi in faccia. A Rolling Stone ha raccontato di aver passato oltre un mese in una clinica psichiatrica, ma a quanto sembra non è servito a molto. Tra le altre cose, afferma di essere figlio di Satana. Non è una boutade, ne è proprio convinto. «È veramente mio padre Satana. So che è lui. Mi ha aiutato moltissimo quando ne avevo bisogno. Per me è un padre affettuoso e anche coi mocassini. Sono il Marilyn Manson italiano. Sono molto informato sul satanismo. Anche mio figlio mi deve chiamare così: “Papà Satana". Ha due anni, magari faccio in tempo a farne un altro. Non era previsto che facessi un figlio così presto ma gli voglio bene». Ah già, Young Signorino ha anche un figlio. Un piccino a cui forse non mancheranno i soldi, a meno che il padre non li spenda tutti in vestiti firmati. Ma speriamo gli sia risparmiata la faccenda di Satana. O che eviti di vedere il giovane genitore in coma farmacologico come avvenuto in passato. «Ho preso troppi farmaci», dice Young Signorino a Rolling Stone. «L'ho fatto apposta per divertirmi e vedere se potevo cambiare personalità. E così infatti è stato. Ora mi sento la milf della trap. Sulla carta d'identità sono giovane, dentro invece ho quarant'anni. Sono saggio». Come no. Magari non sono saggi, ma di sicuro sono furbi, i componenti della Dark Polo Gang. Sono Nicolò Rapisarda (Tony Effe), Dylan Thomas Cerulli (Dark Pyrex o Principe Pyrex) e Umberto Violo (Dark Wayne o Wayne Santana). Del gruppo fa parte anche Arturo Bruni, in arte Dark Side. Attualmente pare si stia disintossicando, di sicuro c'è che giorni fa ha partecipato a una festicciola romana assieme ad altri sei ragazzi tra i 19 e i 25 anni. Di droga ce n'era parecchia, «tutti i presenti apparivano in un evidente stato di alterazione psichica, verosimilmente dovuto all'assunzione di sostanza stupefacente», hanno scritto i poliziotti. Un venticinquenne di Viterbo è stato arrestato. Lo hanno visto gettare dalla finestra un pacchetto con 13 grammi di marijuana, 8 di hashish e 5 di cocaina. In tasca aveva 1800 euro in contanti, e ha detto agli agenti: «Ho accompagnato Dark Side. Me lo aveva chiesto sua madre affinché lo tenessi sotto controllo. Non vuole che si droghi». Dark Side, per inciso, è figlio di Francesco Bruni, noto sceneggiatore che ha collaborato con Paolo Virzì, Mimmo Calopresti e Roberto Faenza. Un pupillo dell'intellighenzia romana, alta aristocrazia de sinistra. È un particolare, ma abbastanza indicativo. I membri della Dark Polo Gang, infatti, non sono i classici rapper scaturiti dalla periferia disagiata. Sono rampolli della borghesia, gente ben istruita e fornita di denaro. Borghesi, insomma. A produrre i loro capolavori è Sick Luke, un altro figlio d'arte. Suo padre è il celebre rapper Duke Montana, una star internazionale. È proprio grazie a Sick Luke che questi ragazzi sono divenuti fenomeni capaci di superare Vasco Rossi in classifica. Alla Dark Polo è stata dedicata persino una serie tv, che ha registrato un record d'ascolti su Timvision. «Il 42% dell'audience della serie è under 24 anni, il 63% under 34. Significativo anche il dato relativo ai device utilizzati per fruire i contenuti: il 40% delle visualizzazioni è infatti avvenuto da mobile», spiegano i responsabili della piattaforma online di Tim. Significa che dietro tutti questi personaggi c'è un'industria. Produttori affermati e competenti, influencer, registi. Ai ragazzini viene detto che si tratta di loro coetanei che hanno fatto successo e soldi grazie all'amore per la musica e a qualche competenza tecnica. Ma non è così. Il genere è nato negli Usa (con artisti come Post Malone e Gucci Mane), si chiama trap non solo perché ha qualche parentela con il rap, ma perché è un riferimento ai luoghi dello spaccio. La caratteristica principale, a parte l'uso di basi elettroniche, è l'utilizzo di Autotune, un programma che consente di modificare la voce. Ne fa grande sfoggio Ghali, forse il più celebrato trapper italico, un ragazzo di origini tunisine che nei mesi scorsi è divenuto una sorta di portavoce della battaglia pro ius soli. Se Ghali mostra un pizzico di impegno sociale, gli altri se ne guardano bene. La filosofia che esprimono è ben sintetizzata da Sfera Ebbasta e dal suo «non mi frega di niente» o dal verso del brano Diego Armando Maradona dei Dark Polo: «La mia ragazza segue la moda/ Io seguo i soldi e la droga». Il problema è proprio questo. Da quando esiste la musica pop, gli adulti hanno sempre criticato le band ascoltati dai ragazzini. Ma qui non si tratta di fare i bacchettoni o di colmare un divario generazionale. Fior di intellettuali e commentatori, in questi mesi, hanno cercato di giustificare la trap, di individuarne il senso. Giovanni Bitetto, su The Vision, forse ha centrato il punto, citando David Foster Wallace. Lo scrittore americano parlava di «ironia istituzionalizzata». Un distacco, che, portato alle estreme conseguenze, sfocia in una specie di cinismo endemico. L'ironia divenuta regola si trasforma in una sorta di dittatura, fa perdere di vista l'oggetto originario, la cosa su cui si sta ironizzando. Qualcuno dice che quello dei trapper sia una sorta di gioco, altri s'intignano a cercare motivazioni perfino nell'opera di Bello Figo, di cui abbiamo già parlato abbondantemente su queste pagine. Ma la verità è che un senso non c'è. I trapper non hanno il nichilismo del punk. Parlano di droga, sesso e soldi, ma senza l'ostentazione tipica dei rapper del ghetto, che in qualche modo ribaltano i valori vacui del capitalismo sfrenato. I trapper non provocano, non sferzano, non fanno politica. Il loro fisico - sono per lo più magrissimi, emaciati - è lo specchio del loro pensiero debolissimo. I tatuaggi non ne fanno dei ribelli, sono solo un accessorio da aggiungere alla borsa di Gucci, come i denti dorati o metalizzati. Questa non è sovversione, è lobotomia. È ideologia fragile per menti fragili. È un coma autoindotto dove tutto è identico, per cui parlare di droga o di Satana è come berciare «uh uh ah ah». Purtroppo, è un coma a cui partecipano milioni di adolescenti.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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