2023-03-06
«Il tonno di qualità? Prodotto in Italia e conservato in vetro»
Nel riquadro Lucia Di Mauro (iStock)
Lucia Di Mauro, figlia del fondatore di Iasa: «Ecco le differenze tra i pesci del Mediterraneo e quelli che arrivano da più lontano. Ma quel che più conta è la lavorazione».I pescherecci nostrani sono sempre meno: in 15 anni sono passati da un centinaio a meno di 20. Colpa anche di una burocrazia europea nemica. Così ormai il made in Italy lo si trova solo nei supermercati di alta gamma.Lo speciale contiene due articoli.La famiglia Di Mauro, originaria di Cetara, nel 1969 fonda Iasa. Lucia Di Mauro, coi suoi fratelli, rappresenta la seconda generazione di questa brillante azienda conserviera di Pellezzano vicino Cetara, il cui tonno, anche italiano, possiamo trovare in molti supermercati di gamma alta, come per esempio Naturasì. Abbiamo intervistato Lucia. Lucia, suo padre è stato colui che ha ideato per la grande distribuzione la prima conserva di tonno in vaso di vetro.«Sì, fu un’idea di mio papà Francesco perché voleva evidenziare che la qualità del suo tonno era diversa da quella all’epoca in commercio, perché a Cetara c’era una delle flotte tonniere più grandi d’Italia e voleva far percepire a prima vista la qualità del tonno locale. Era l’antica tradizione dei pescatori, che per le loro case lo conservavano in vasi di vetro». L’industria conservava nelle latte, suo padre esporta dalla casa del pescatore cetarese al banco del negozio e del supermercato questa forma di conserva più artigianale. Era anche di maggiore qualità?«Sicuramente era di maggiore qualità anche perché il tonno non era lavorato, e non lo è tuttora, dalle macchine, ma in maniera artigianale. L’artigianalità non è un vezzo, una conserva artigianale permette di mantenere tutte le caratteristiche della texture del tonno senza che sia stritolato dalle macchine».Quante sono le persone che fanno questo lavoro a mano?«Circa 100 persone».Molti non sanno che «prodotto in Italia» non vuol dire «pescato in Italia». Voi avete una linea di tonno italiano che fate identificare tramite la scritta «pescato italiano» sull’etichetta e poi sul coperchio c’è l’indicazione della zona Fao di pesca che è la 37.2.2. Il tonno, quindi, può essere lavorato e inscatolato in Italia, ossia prodotto in Italia, ma pescato all’estero. È assolutamente legittimo importare del tonno, di solito dall’Oceano Atlantico o Pacifico, lavorarlo qui in Italia e quindi dichiararlo prodotto in Italia, ma se si cerca quello che sia anche pescato in Italia nell’area del Mar Mediterraneo, allora bisogna allora controllare che la zona Fao sia la 37.1 o la 37.2. «La domanda è molto ampia. È giusto dire prodotto in Italia e quando parliamo di un prodotto che è fatto in Italia parliamo di standard qualitativi che sono diversi da quelli di altri Paesi, sono molto alti. Su quello che facciamo noi non scriviamo sempre pescato italiano, ci sono diverse altre qualità di tonno pescate nel Mar Mediterraneo. Ricordiamoci che il tonno è un migratore, quindi fa diverse centinaia di km anche in un solo giorno e quindi quando si fa riferimento a un tonno italiano si intende un tonno che può essere pescato nel Mar mediterraneo, anche in acque internazionali, non sottocosta. Noi lavoriamo anche tonno a pinne gialle, che non vive nel Mar Mediterraneo, che nel nostro caso arriva pescato e congelato intero e questo ci permette di garantire alta qualità anche del tonno a pinne gialle. Poi, lavoriamo altre specie di tonno pescate nel Mar Mediterraneo, il tonno bianco, il tonno rosso del Mediterraneo o anche il tonnetto del mediterraneo, che ha gusto e sapore che si avvicinano molto al tonno rosso, ma non ne ha il costo elevato. I tonni del Mar Mediterraneo arrivano appena pescati, freschi, al nostro stabilimento, offrendo una qualità diversa da un tonno che ha subito un processo di congelamento». Anche il tonno a pinne gialle, il tonno di importazione, può essere di alta qualità?«Sicuramente. La qualità si fa in tutte le fasi produttive, partendo dalla materia prima. Noi compriamo tonni pescati e congelati a bordo, interi. L’immediata refrigerazione garantisce una qualità superiore. Il fatto che arrivino interi, poi, ci permette di stabilire che tonno è e verificare che sia effettivamente il tonno a pinna gialla, perché i tunnidi sono una molto molto vasta. Noi li compriamo, poi, di piccole dimensioni, perché anche se c’è lavoro superiore e resa minore questo ci consente di avere delle carni più tenere».Ho visto che tra le vostre linee ci sono delle nuove conserve: il tonno grigliato al limone, l’orata all’arancia e il branzino al prezzemolo e limone, tutti al naturale. Il futuro delle conserve è senza olio?«Io non credo che il futuro delle conserve sia senza olio, perché c’è chi le predilige in olio e continuerà a preferirle così. Però c’è attenzione verso la salute o particolari esigenze di dieta e quindi tramite il naturale offriamo una gamma di prodotti più ampia. Queste specifiche conserve al naturale, poi, hanno spezie aggiunte che danno un sapore più dolce a questi pesci, che quindi si possono mangiare con gusto così come sono, senza aggiungere olio». Dall’altra parte, si va affermando sempre di più la tendenza a consumare anche l’olio della conserva. Mentre in passato farlo era quasi considerato un tabù, perché di solito si gettava via l’olio, magari un generico olio di semi vari, e si mangiava il tonno, oggi tutti, in chiave antispreco, consigliano di consumare il tonno o altri pesci conservati con tutto l’olio di conserva, che si trova anche extravergine biologico. Quindi c’è la conserva di pesce che non si può certificare biologico poiché pescato, mentre il biologico può essere solo allevato, in olio evo biologico.«Sì, esatto. Che si possa attestare come biologico solo l’olio è un po’ un paradosso. Noi abbiamo tutta una linea in olio extravergine italiano biologico».Il tonno rosso da noi si può pescare da giugno a settembre ma a luglio, con le quote per peschereccio, praticamente è già finito. Voi fate pescare altri tipi di tonno mediterraneo: ci dice qualcosa di più sulla fornitura di tonno, quando vi arriva?«Il tonno lavorato fresco del Mar Mediterraneo, che non subisce un processo di congelamento, è pescato durante la stagione estiva. Parlo di tonno bianco, tonnetto, tonno rosso. Il tonno bianco e il tonnetto non hanno vincoli di pesca e quindi sono lavorati durante tutta la stagione estiva. Il tonno rosso invece ha un vincolo molto stretto, dato dalle quote stabilite dalla Comunità europea, quindi la pesca avviene generalmente in un solo mese all’anno, fino al raggiungimento delle quote pesca. Viene lavorato nell’arco di un mese. Una volta sterilizzato, il tonno in conserva ha 4 anni di conservazione, non c’è alcun problema a consumare un tonno pescato tre anni prima. Anzi, è più saporito».Invece il tonno che importate dall’estero?«Quello arriva durante tutto l’anno, anche perché si può prendere da diverse zone di pesca».Perché in Italia si fatica a trovare tonno italiano?«Per il tonno rosso si fatica sia per le quote limitate, sia perché la maggior parte di questo tonno finisce esportato all’estero, soprattutto in Giappone». Se voi che lo lavorate voleste comprare tutto il tonno rosso, per provare ad evitare l’esportazione, dovreste pagarlo cifre spropositate...«Sì, noi e poi il cliente finale. Alle volte il prezzo è così elevato già per noi che se lo comprassimo dovremmo farlo arrivare sulle tavole, dopo la trasformazione, a un prezzo ancora più alto».Quindi è impossibile trovare in Italia solo tonno italiano. D’altronde il pescatore non è obbligato a vendere al produttore italiano...«Certo, non lo è».Lo dico perché spesso si attribuisce al produttore italiano la...«La colpa di non vendere tonno italiano?».Sì, la responsabilità...«No, non è assolutamente così. Quando mio padre ha avuto l’idea del tonno in vetro si lavorava solo e unicamente tonno pescato nel Mar Mediterraneo, poi le situazioni cambiano. Ma si può offrire un prodotto di qualità non necessariamente pescato nel Mediterraneo».In quegli anni non c’erano le quote europee, ma nemmeno tutti questi supermercati e ipermercati a distanza di 3 metri l’uno dall’altro, né l’export massiccio: il sistema di produzione capitalistico e globale chiede una produzione che il territorio non sempre può soddisfare...«Sì, infatti il tonno è una delle specie più trasformate in conservato. La ragione per la quale abbiamo iniziato a produrre filetto di orata e di branzino è anche la sostenibilità, per non sfruttare oltremisura una sola specie ittica».Dobbiamo iniziare a differenziare anche comprando: se non trovo solo tonno italiano, posso anche alternare con orata o branzino italiani.«Nell’ottica alimentare è sempre bene variare».Le alici sott’olio sono un altro grande must della produzione conserviera ittica, in generale e della vostra: come mai le chiamate prosciutto di mare?«Perché le acciughe vengono trattate esattamente come i prosciutti, vengono messe sotto sale e attraverso la disidratazione raggiungono compattezza. Le nostre sono stagionate più a lungo, rispetto alla prassi, perciò le chiamiamo prosciutto di mare: come è per il prosciutto, la stagionatura fa la differenza».Quindi prima vanno sotto sale e poi sono conservate sott’olio?«Sì, sotto sale, poi diliscate a mano, poi messe sott’olio. È la prassi, ciò che noi facciamo di diverso è una stagionatura più lunga che permette di ridurre notevolmente l’acciuga, perché perde più liquidi e contemporaneamente alla percezione in bocca risulta essere meno salata. La stagionatura più lunga la rende meno salata».Voi producete anche colatura di alici di Cetara che è stata riconosciuta Dop. Qualcuno la confonde con il garum degli antichi romani.«Abbiamo iniziato a commerciare la nostra colatura di alici Dop l’anno scorso, è un prodotto completamente diverso dal garum. Il garum era fatto con vari tipi di pesce azzurro messo a macerare al sole sotto sale e diverse spezie, mentre la colatura è fatta con alici e sale, niente spezie e sicuramente non al sole. è un prodotto molto più delicato del garum. Il garum dei romani non sarebbe interessante per le tavole di oggi». Le alici si mettono in botticelle simili a quelle dell’aceto balsamico?«Sì, le alici per la colatura di Cetara Dop si pescano nel mare antistante la provincia di Salerno e si mettono in botti di legno sotto sale a macerare per almeno 9 mesi».E poi prendete il nettare?«Sì, che è filtrato».Alla ricerca a volte irrazionale dell’italianità in un solo tipo di prodotto, si dimentica che ci sono tanti altri prodotti ittici italiani che soddisfano sia l’esigenza di tricolore, sia quella della qualità: una pasta con la colatura di alici di Cetara Dop non è meno buona di una pasta col tonno italiano...«Non è affatto meno buona! La colatura si può usare sulla pasta, ma su tantissime altre pietanze, gli chef, anche internazionali, la adorano e la usano perché esalta tutti i sapori. Se la si usa con la pasta, non bisogna salare, nemmeno l’acqua di cottura della pasta. Le dosi: 1 cucchiaio di colatura ogni 100 g di pasta». Grazie del consiglio! Perché il garum non soddisferebbe il gusto contemporaneo?«Qualche anno fa, su richiesta di un museo, abbiamo provato a produrre il garum secondo la ricetta originale, però era un gusto molto molto molto forte. Perciò, quella produzione sperimentale non è stata portata avanti». Si intravedono ogni tanto dei prodotti che vorrebbero somigliargli, ma non sono il vero garum, come il garum di tonno.«Il garum di tonno non è un vero garum perché il vero garum veniva fatto con tutto il pesce azzurro e il tonno non lo è. Lo sono lo sgombro, le alici, le sardine...».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tonno-qualita-prodotto-italia-2659502278.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-un-numeretto-nella-confezione-riconosci-la-zona-di-provenienza" data-post-id="2659502278" data-published-at="1678023777" data-use-pagination="False"> Da un numeretto nella confezione riconosci la zona di provenienza La citazione più dolce del tonno in un film è sicuramente nel delizioso cartoon Disney Lilo & Stitch, quando la bambina Lilo dice: «È il giorno dei panini. Ogni giovedì offro a Pudge the Fish un panino al burro di arachidi. Ma oggi avevamo finito il burro di arachidi. Ho chiesto a mia sorella cosa dargli e lei ha detto un panino al tonno. Non posso dare il tonno a Pudge! Sai cos’è il tonno? È PESCE! Se dessi il tonno a Pudge, sarei abominevole!». Nella realtà, molti pesci mangiano altri pesci, ma nella dolcezza della fantasia infantile, no. La citazione più «amara», invece, è nel film nostrano Il ragazzo di campagna, nel quale Renato Pozzetto, nei panni di Artemio, abituato alla cucina tradizionale e genuina di campagna, mangia cittadino, tonno in scatola e grissini, e finisce intossicato all’ospedale. Noi non finiamo certamente all’ospedale mangiando tonno, anzi il tonno è in realtà una storica forma di conservazione ittica italiana, ergo dal punto di vista della sceneggiatura il tonno conservato sembra essere un esempio sbagliato di cibo urbano che fa sentire male un contadino. Ma potremmo certamente finire a... Chi l’ha visto, per cercare il tonno italiano. A volte ci domandiamo se sia giusto il determinismo alimentare del chilometro zero, cioè mangiare solo ciò che appartiene al proprio territorio più vicino, col caso emblematico del tonno ci troviamo di fronte all’opposto del determinismo alimentare globalista: nel normale supermercato ormai si trova solo tonno conservato che arriva dall’altra parte del mondo. L’indicazione della provenienza non sempre è presente nel pesce conservato, perché non è obbligatoria. E quando è presente non è facilmente comprensibile. A volte troviamo la scritta «origine del tonno» e di solito quella origine è «Ue ed extra Ue», cioè Unione europea ed oltre. La maggior parte delle volte non troviamo niente e in quel caso si può stare abbastanza certi della provenienza non italiana del tonno sott’olio, perché il tonno italiano è talmente ricercato che un produttore che lo producesse senza evidenziarlo sarebbe un po’ illogico. Altre volte, come per esempio fa Iasa, l’azienda produttrice di conserve ittiche che abbiamo intervistato, troviamo l’indicazione precisa dell’area di provenienza. La Fao ha suddiviso le zone di pesca del mondo in aree numerate. La zona del Mar Mediterraneo è la numero 37. Il tonno sott’olio che troviamo nei normali supermercati proviene dall’Oceano Pacifico, Indiano e Atlantico, numeri 71, 77, 81, 87, 51, 57 e 61 con relative sottozone e divisioni. Se si cerca un tonno italiano, pescato o allevato in acque strettamente italiane o, stando un pelo più laschi, nel Mar Mediterraneo, ormai lo si può trovare quasi esclusivamente al supermercato di livello più alto, come Naturasì, o on line. Il Mediterraneo Occidentale è la sottozona 37.1, con queste divisioni: Baleari 37.1.1, Golfo del Leone 37.1.2, Sardegna/Tirreno 37.1.3. Il Mediterraneo Centrale è la sottozona 37.2, il Mar Adriatico è la divisione 37.2.1 e il Mar Ionio è la 37.2.2. Poi c’è la sottozona 37.3, cioè il Mediterraneo Orientale, col Mar Egeo divisione 37.3.1 e il mar di Levante, divisione 37.3.2. Perché un tonno sia italiano deve appartenere alle sottozone Fao 37.1 o 37.2, le restanti sono area Mediterraneo. Il tonno conservato è sempre stato un’attività italiana collegata alla pesca di pesce in acque italiane, ma da qualche decennio non è più così. Scriveva Il Sole 24 Ore nel 2019: «C’era una volta la filiera del tonno rosso in Italia: 96 pescherecci industriali - le cosiddette “tonnare volanti” - che pescavano con le reti a circuizione, diverse decine di palangari che pescavano ad amo e cinque tonnare fisse, le più famose a Favignana e a Carloforte. Poi è arrivata la procedura di infrazione della Ue nei confronti di sette membri, quindi è stata la volta del piano quindicennale per fissare la quota massima di tonni che ogni Paese poteva pescare. Infine, ci si è messa di mezzo anche una burocrazia poco amica degli imprenditori». E «delle 95 imbarcazioni che solcavano il Mediterraneo orientale soltanto quindici anni fa, ne sono rimaste solo 19». Le quote di pesca europee ai Paesi membri, atte ad evitare l’estinzione del tonno rosso, e la contemporanea concorrenza per esempio nordafricana e spagnola hanno reso poco remunerativa la pesca del tonno per la vendita sul mercato italiano. Poi, la crescente richiesta di tonno rosso da esportare fuori dall’Italia ha fatto schizzare in alto i prezzi del poco tonno rosso pescato e allevato in area mediterranea, rendendo più allettante per i pescatori esportare a un prezzo più alto. I giapponesi sono i più ghiotti e spendono cifre da capogiro per il tonno rosso. Oggi la pesca e l’allevamento italiani procedono un po’ meglio rispetto ad anni passati pesantemente critici, anche stimolati dal nuovo mercato del sashimi che nel frattempo è diventato di gran moda nei ristoranti giapponesi (spesso gestiti da cinesi) in Italia. Ma resta che nella latta o nel barattolo di vetro, così come fresco in pescheria, noi troviamo raramente tonno italiano o mediterraneo. Più che di tonno dovremmo parlare di tonni. Genere della famiglia Scombridae, il Thunnus South conta 8 specie di pesci pelagici ossia di mare aperto che chiamiamo tutti tonno e di grandi dimensioni, dal metro del Thunnus atlanticus ai 4,5 m del Thunnus thynnus. Le specie sono il tonno alalunga (Thunnus alalunga), il pinna gialla (o albacora, tonno monaco o yellowfin, nome latino Thunnus albacares), Thunnus atlanticus, tonno australe (Thunnus maccoyii), tonno obeso (Thunnus obesus), tonno rosso del Pacifico o tonno orientale (Thunnus orientalis), tonno rosso tonno rosso atlantico o tonno pinna blu o bluefin (Thunnus thynnus), tonno codalunga (Thunnus tonggol). Chiamiamo tonno anche il tonnetto striato (il Katsuwonus pelamis col quale in Giappone preparano il katsuobushi e il katsuo no tataki), il tonnetto alletterato (Euthynnus alletteratus), Allothunnus fallai, Euthynnus affinisil, il tombarello (Auxis thazard thazard), il tombarello biso (Auxis rochei rochei), Gasterochisma melampus e Gymnosarda unicolor. Nel Mar Mediterraneo troviamo il tonno alalunga, il tonno rosso atlantico, il tonnetto alletterato, il tombarello e il tombarello biso, mentre il pinna gialla, il più diffuso tonno conservato della gdo, solo talvolta pare penetrare nel mar Mediterraneo. Dal punto di vista dell’impatto nutrizionale, il tonno fresco ha 159 calorie ogni 100 g, il tonno conservato al naturale 116, il tonno sott’olio può arrivare fino a 250. Non bisogna esagerare e mangiare quintali di tonno, essendo un pesce che, come anche pesce spada e verdesca, può presentare alti livelli di mercurio. Curiosità: un etto di tonno fornisce il 100% della dose giornaliera consigliata di selenio, 112 µg. Il selenio partecipa al processo di antiossidazione cellulare, alla sintesi del DnaA, al metabolismo degli ormoni tiroidei, alla protezione dalle infezioni.
Jose Mourinho (Getty Images)