2020-01-20
«Toccare il celibato dei preti sarebbe un danno alla Chiesa»
Franco Origlia/Getty Images
Salvatore Joseph Cordileone, arcivescovo di San Francisco: «La disciplina di non ordinare uomini sposati risale agli apostoli. I cattolici tornino a recuperare la tradizione, che affascina pure i giovani».Una melodia gregoriana accoglie l'interlocutore che attende di parlare con monsignor Salvatore Joseph Cordileone, arcivescovo di San Francisco. Di chiare ascendenze italiane, 63 anni, Cordileone è un difensore degli insegnamenti della Chiesa su matrimonio e famiglia, cosa che ha fatto anche al Congresso della famiglia in marzo a Verona.Ha letto il libro di papa Benedetto e del cardinale Robert Sarah?«Non ancora. In ogni caso, la disciplina della Chiesa relativa al celibato sacerdotale ha origini apostoliche. La sua storia è stata ben approfondita dal cardinale Stickler e dai suoi allievi: il celibato non è una regola imposta da papa Gregorio VII nell'XI secolo. Lo dimostra l'antichità della lex continentiae, in base alla quale certi uomini si separavano dalla moglie, con il suo consenso, per essere ordinati preti».Le aperture chieste dal sinodo sull'Amazzonia si iscrivono o no in questa tradizione?«Sarebbe una novità in Occidente, anche se qualche accomodamento è stato fatto per il clero proveniente da altre confessioni cristiane, soprattutto gli anglicani. Alla tradizione occidentale appartiene la lex continentiae, ma non è quanto proposto dal sinodo».È preoccupato?«Sì: se ciò fosse approvato, si diffonderebbe rapidamente nel resto della Chiesa, il che rischia di minare ancora di più la comprensione sacramentale degli ordini sacri. Oggi molti fedeli vedono tutto in maniera pratica perdendo la potenza dei simboli che rendono presente una realtà più grande. I sacerdoti vengono considerati come gente con un lavoro di leadership nella Chiesa, più che partecipanti al mistero di Cristo, lo sposo che prende in sposa la Chiesa».Che fare in Amazzonia dove mancano i preti per i sacramenti?«È un tema aperto. Papa Francesco ha ricordato che ci sono molti preti in altre aree del Sudamerica che potrebbero essere mandati là come missionari. Si potrebbe insistere sulle vocazioni giovani. I problemi sono profondi e dobbiamo essere attenti a evitare soluzioni facili che potrebbero produrre più danni che vantaggi».Qual è il compito della Chiesa in un mondo che non è più cristiano?«La Chiesa come sempre deve cercare di tenere viva la fiamma della fede e della speranza. Vedo nel mondo, specialmente negli Stati Uniti, che la Chiesa è viva, cresce ed è giovane nei settori che mantengono i valori della dottrina della fede, nella catechesi e nel culto».A che cosa si riferisce?«Gli ordini religiosi che hanno più vocazioni giovani sono quelli più ortodossi, che tengono alla tradizione della Chiesa. È così che riusciremo a portare la luce di Cristo in questo periodo di tenebre, dove si nega non soltanto la fede, ma tutto l'ordine della creazione e ciò che vuol dire essere uomini».Il Papa ha parlato di un «cambiamento d'epoca».«Chiaro che è così».E che cosa deve fare la Chiesa in questo cambiamento?«La verità non cambia e noi dobbiamo cercare metodi nuovi per comunicare la verità. Dove la Chiesa è più viva e vivace? Dove cresce? Io vedo che ciò accade tra i giovani che incontrano la bellezza ereditata dalla nostra tradizione cattolica. Gli scritti di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo, o di papa Benedetto sulla liturgia, sono un altro esempio: rispondono a questioni nuove attingendo alla tradizione».Può chiarire meglio?«Pensiamo alla dottrina sociale della Chiesa, cominciata con il papa Leone XIII. Come reazione allo sfruttamento della rivoluzione industriale, il marxismo promise una società egualitaria ma basata su un concetto erroneo della persona umana: i frutti si sono visti nelle nazioni del comunismo reale, come l'Unione Sovietica, dove si sono create le società più ingiuste mai viste nella storia. Leone XIII prese dalla tradizione quello che già c'era per svilupparlo e applicarlo alla situazione dell'epoca, insegnando che cosa sono una società e un'economia giuste in base a un concetto vero della persona umana».E che cosa dice la tradizione cattolica, per esempio, alle nuove sfide in campo morale?«Giovanni Paolo II negli anni della rivoluzione sessuale ha sviluppato la teologia del corpo, già presente nella sacra scrittura. Ha mostrato che questa rivoluzione prometteva libertà ma ha prodotto il contrario: famiglie divise, povertà, violenza e altri problemi sociali. Invece la vera libertà è il dominio di sé stessi. È rispondendo alla chiamata di Dio nel nostro corpo che viviamo la nostra vocazione. Per i giovani cresciuti in questo contesto sbagliato, scoprire questo insegnamento è una vera liberazione. Essi possono capire fino in fondo la sapienza che la Chiesa può dirci».Recuperare la tradizione: è questa la strada da seguire?«Dobbiamo seguire questa linea, non è questione di fare compromessi. Dobbiamo dire la verità con carità».Ritiene che la Chiesa oggi sia timida nella sua proposta?«In certi casi, sì. Ma le parole non bastano. Ci sono altri modi non verbali per proclamare queste verità, specialmente nella liturgia. La liturgia è un'esperienza di bellezza, un modo di parlare senza parole ma con i gesti, la musica, i paramenti, usando tutti i sensi. Un'esperienza trascendente che ci rende presente Dio. Così il cuore si apre alla pienezza della verità».La Chiesa tace anche perché schiacciata dalle polemiche per gli scandali della pedofilia?«Il rischio c'è. Ma dobbiamo comunicare la verità anche in questo. Nessun'altra organizzazione, almeno negli Stati Uniti, ha fatto più della Chiesa cattolica per eliminare questo problema, e abbiamo avuto molto successo. E non è che la situazione della Chiesa fosse peggiore se paragonata a quella di altre realtà sociali. È stata una tragedia ed è stato fatto molto male, nessuno lo vuole negare. Ma nel contesto della società americana non eravamo peggio degli altri. Abbiamo commissionato uno studio al John Jay College of criminal justice di New York: il risultato è che già negli anni Ottanta si era registrata una diminuzione di questi casi, e ancora di più negli anni Novanta. Non è vero che tutto è partito dopo l'inchiesta del Boston Globe del 2002».Molti sono convinti che sia così.«Purtroppo. È vero il contrario, ma il problema è comunicarlo. Noi non abbiamo un facile accesso ai mass media, che scrivono quello che vogliono, ed è difficile parlare a voce più alta della loro».C'è stato un accanimento dei media verso la Chiesa?«Chiaro. Questi casi sono stati portati alla luce per un attacco contro la Chiesa».Chiesa americana o nel mondo?«Quella in Occidente, specialmente negli Stati Uniti ma non solo. Basti pensare al processo in Australia contro il cardinale Pell, condannato senza evidenza della sua colpevolezza e senza testimoni diretti, mentre la difesa ha dimostrato che era pressoché impossibile che egli potesse commettere gli atti di cui è stato accusato. Questo è un chiarissimo attacco alla Chiesa cattolica e a ciò che il cardinale Pell rappresenta».Molti fedeli oggi sono in confusione: lo avverte anche lei?«Sì, soprattutto tra chi non è ben formato nella fede. Mancano una catechesi solida e un'autentica esperienza di culto, che in realtà molte volte non è conforme a quanto crediamo: ecco perché la gente è confusa».Lei spesso celebra la messa in latino secondo il rito antico. Come mai?«È una connessione con le nostre radici. Sono totalmente d'accordo con la visione di papa Benedetto: le due forme si arricchiscono reciprocamente. Penso fermamente che non ci fosse bisogno di cambiare la forma della liturgia: bastava incoraggiare a imparare bene le risposte o i canti gregoriani. Paolo VI chiese a tutti i vescovi di insegnare questi canti al popolo, perché così la Chiesa in tutto il mondo sarebbe stata unita nel pregare assieme. Penso che la messa tradizionale abbia ancora molto valore».Gli Stati Uniti si preparano a eleggere il nuovo presidente. Che cosa chiedono i cattolici americani alla politica?«Le richieste non sono cambiate. Rispetto per la vita umana, libertà religiosa, riforma del sistema migratorio, possibilità di aiutare i poveri collaborando con le agenzie del governo».Negli Usa non c'è libertà religiosa?«Abbiamo libertà di praticare il culto e la fede, è chiaro che non ci sono minacce per chi va in chiesa. I problemi sorgono quando vogliamo servire la comunità secondo i nostri valori morali. Hanno tentato di portarci ad accettare l'introduzione degli anticoncezionali o dell'aborto. Noi vogliamo servire tutti secondo i nostri valori morali per dare testimonianza alla verità di Cristo in azione. Servire i poveri è un altro modo di comunicare la verità in modo non verbale, ma dobbiamo avere la libertà di poterlo fare».Chiedete aiuti per le famiglie?«Tanti problemi di cui soffriamo sono dovuti al fatto che la famiglia è divisa. Abbiamo 50 anni di studi che confermano che i problemi maggiori si verificano quando i figli crescono in una famiglia divisa, soprattutto senza il padre. Violenza, povertà, criminalità, abuso delle sostanze e tossicodipendenza: sono tanti i problemi sociali risultato di una famiglia divisa. Occorre appoggiare programmi e sforzi per mantenere la famiglia unita».Le questioni ambientali sono importanti per i cattolici Usa?«L'ambiente tocca il valore della vita umana, come papa Francesco ha ricordato nella Laudato si': dove c'è inquinamento i poveri soffrono di più. Direi comunque che il valore principale resta il matrimonio e la famiglia perché tocca la struttura della società: essa è fondata sulla famiglia basata sul matrimonio, lo sappiamo da secoli. Va rinforzata l'unità della famiglia. Poi va difesa la vita umana dove è minacciata direttamente: aborto ed eutanasia. E poi dove è minacciata in modo indiretto, come con l'inquinamento ambientale oppure nei fenomeni migratori, con milioni di persone che rischiano la vita per provvedere alle loro famiglie. Anche questo riguarda indubbiamente la dignità della vita umana».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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