2025-11-21
La nuova Margherita recluta gli appassiti
Vincenzo Spadafora ed Ernesto Maria Ruffini (Imagoeconomica)
L’operazione Ruffini, che Garofani sogna e forse non dispiace a Mattarella, erediterebbe il simbolo di Tabacci e incasserebbe l’adesione di Spadafora, già contiano e poi transfuga con Di Maio. Che per ora ha un’europoltrona. Però cerca un futuro politico.Ma davvero Garofani ha parlato solo una volta? No. Francesco Saverio Garofani, il consigliere per la Difesa del presidente Mattarella, non ha parlato di politica solo una volta. Possiamo dire che solo una volta le sue parole sono uscite. Così, la sua incontenibile fede giallorossa si è avvitata all’altra grande passione, la politica, provocando il cortocircuito.Quella sera si doveva parlare solo di calcio, della Magica e di quel fantastico giocatore troppo frettolosamente emarginato dai giallorossi e mai convocato dalla Nazionale nonostante fosse tra i più talentuosi in circolazione. Ne avevano di cose da dire, di aneddoti da rimasticare perché nelle serate di evasione si fa così, si vive di ricordi, si dicono e ridicono le stesse cose. La Roma di Liedholm e quella di Gasperini, passando per la Roma di Totti e De Rossi: quanti spunti per tirare tardi. Ma Garofani, giallorosso doc, è da un po’ che non riesce a staccare la testa da come rompere il gioco della Meloni e rimettere il «suo» centrosinistra nuovamente in cabina di regia. Forse Garofani pensava di essere coperto dal suo compagno di fascia, il figlio di «Ago», Luca, anch’egli ex tesserato del Pd e amico di vecchia data di Francesco Saverio. Pensava che fossero tutti della stessa curva anche politica e che dunque potesse ripetere quel che va dicendo da tempo in tavolate più riservate.Per questo alla fine dalle parti di Fratelli d’Italia e del governo si sono scaldati: le chiacchiere nei palazzi romani girano, eccome se girano. A maggior ragione quando non sono chiacchiere ma operazioni politiche pesanti, marchiate col segno di quella Dc che poi confluì nei Popolari e infine nella Margherita. È l’operazione che vede in Ernesto Maria Ruffini, ex gran capo di Agenzia delle entrate, il nuovo centravanti di sfondamento: lui che ha un pedigree di gran razza democristiana, lui che non ha faticato ad ottenere dal presidente Mattarella la prefazione di un recente.L’operazione «Più uno» sta dentro il cantiere ristretto riservato a pochi architetti, uomini e donne che lo Scudo crociato ce l’hanno nel cuore e nella testa e che si farebbero in tre per gli amici. Uno di questi è Bruno Tabacci, il quale presterà il proprio simbolo elettorale a Ruffini per evitare la raccolta delle firme: un lasciapassare dal valore altissimo. Come aveva fatto con Di Maio, l’ex leader grillino che passò dalla richiesta di impeachment contro Mattarella a essere un suo rigorosissimo giocatore, tanto da spaccare il Movimento quando Conte voleva far cadere Draghi. Per Luigi fu un disastro che però qualcuno ricompensò con un bell’incarico made in Ue. Non è un caso che Vincenzo Spadafora, già sottosegretario di Palazzo Chigi per il Conte 1 e poi ministro per le Politiche giovanili nell’esecutivo giallorosso (non perché romanista, bensì perché composto da Pd e 5 stelle), poi transfuga nella lista di Di Maio e infine fondatore dell’associazione Primavera, sia con Ruffini e già si venda come uno dei big.Garofani si doveva dimettere o bastavano delle scuse per non mettere in imbarazzo il capo dello Stato, ma non sono arrivate né le dimissioni né le scuse. Quindi, se dopo tanto trambusto, tutto rimane così, allora la domanda resta: Mattarella poteva non sapere? Certo che non sapesse delle frasi pronunciate nella serata «giallorossa», ma Mattarella ha un suo pensiero politico e vede benissimo il piano che vuole minare la Meloni proprio nella parte di campo dove il presidente del Consiglio sta lavorando di più: l’area moderata. Non sarà sfacciato come Oscar Luigi Scalfaro, ma non sarà nemmeno così distante da quel Napolitano che la zampata al berlusconismo la diede eccome.Intanto la densità politica del settennato sta dentro la scelta di concedere il bis e di respingere la modalità che fu del predecessore, cioè dimettersi quanto prima. Mattarella no, Mattarella sarà il presidente (l’unico?) che accettando il bis resterà in sella la bellezza di 14 anni! Per fare cosa? Basta guardare cosa fece durante il primo mandato: guidare i processi politici (dal Conte 1 al Conte 2, con tanto di Giorgetti che restò col cerino in mano convinto che il Quirinale li mandasse al voto dopo la prima crisi di governo); accompagnare le trasformazioni (il governo Draghi dopo il Conte 2) e disincagliare gli incastri (il no a Paolo Savona o appunto l’operazione Di Maio contro Conte per non disarcionare Draghi). Se tutto questo era avvenuto nel primo mandato, col secondo le «letture» politiche saranno ancor più incisive. Ecco perché Garofani resta al suo posto senza nemmeno doversi troppo giustificare.
Roberta Pinotti, ministro della Difesa durante il governo Renzi (Ansa)
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Gianfranco Lande durante un’udienza del processo che l’ha coinvolto (Ansa)