2024-01-27
«Stato d’invasione», il Texas si ribella a Biden
Greg Abbott e Donald Trump (Getty Images)
Il governatore repubblicano Greg Abbott invoca la Costituzione degli Stati Uniti per disporre degli uomini della Guardia nazionale per proteggersi dai clandestini provenienti da Sud. Trump lo appoggia: «Anche altri seguano il suo esempio». Il presidente nicchia. Nella Louisiana a guida Gop si ferma il nuovo maxi progetto: ennesimo sgambetto dem. Lo speciale contiene due articoli.Si profila una crisi costituzionale tra l’amministrazione Biden e lo Stato del Texas. Che il governatore repubblicano della «Stella solitaria», Greg Abbott, sia da tempo in conflitto con l’attuale Casa Bianca sul dossier dell’immigrazione clandestina, non è una novità. Tuttavia la situazione ultimamente è peggiorata in modo significativo. La frontiera meridionale è sempre più sotto pressione. E, per far fronte all’emergenza, Abbott ha deciso di aumentare il potere delle forze dell’ordine statali, entrando in conflitto con le autorità federali.Nel 2021, il governatore aveva avviato la cosiddetta «Operazione Lone star», installando del filo spinato al confine con il Messico e intensificando i pattugliamenti di frontiera della Guardia nazionale (una forza militare che, ricordiamolo, fa capo al singolo Stato). L’amministrazione Biden aveva fatto ricorso contro il filo spinato posizionato a Eagle Pass. Ne è sorta una battaglia legale al termine di cui, lunedì scorso, la Corte suprema degli Stati Uniti, con una decisione di cinque giudici contro quattro, ha dato ragione al presidente americano, suscitando la reazione di Abbott. «La Guardia nazionale del Texas continua a mantenere la linea a Eagle Pass», ha twittato martedì il governatore, per poi emettere, il giorno dopo, una dichiarazione durissima.«James Madison, Alexander Hamilton e gli altri idealisti che scrissero la Costituzione degli Stati Uniti prevedevano che gli Stati non dovevano essere lasciati alla mercé di un presidente senza legge, che non fa nulla per fermare le minacce esterne come i cartelli che introducono di nascosto milioni di immigrati clandestini attraverso il confine», recita la dichiarazione. «Ho già proclamato uno stato d’invasione ai sensi della terza clausola della sezione 10 dell’articolo I della Costituzione degli Stati Uniti, per invocare l’autorità costituzionale del Texas a difendersi e a proteggersi. Tale autorità è la legge suprema del Paese e sostituisce qualsiasi statuto federale contrario», ha aggiunto il governatore.In particolare, la clausola costituzionale invocata da Abbott recita come segue: «Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, imporre dazi sul tonnellaggio, trattenere truppe o navi da guerra in tempo di pace, stipulare accordi o patti con un altro Stato o con una potenza straniera, o impegnarsi in guerra, a meno che non sia effettivamente invaso». Non solo. Abbott ha anche citato la quarta sezione dell’articolo IV della Costituzione, secondo cui «gli Stati Uniti garantiranno a ogni Stato di questa Unione una forma di governo repubblicana e proteggeranno ciascuno di essi contro l’invasione».Donald Trump si è prontamente schierato con il governatore texano. «Di fronte a questa catastrofe di sicurezza nazionale, pubblica sicurezza e sanità pubblica, il Texas ha giustamente invocato la clausola di invasione della Costituzione e deve ricevere pieno sostegno per respingere l’invasione», ha affermato. «Incoraggiamo tutti gli Stati disposti a schierare le proprie guardie in Texas per impedire l’ingresso di clandestini e riportarli oltre il confine», ha aggiunto. Non a caso, 25 governatori repubblicani hanno espresso sostegno in favore di Abbott (in particolare, il governatore del South Dakota, Kristi Noem, si è offerta di fornire al Texas del filo spinato).Questo significa che, sulla questione migratoria, più della metà dei governatori americani è contro l’attuale Casa Bianca. Infine, a schierarsi con Abbott sono stati anche lo speaker della Camera, Mike Johnson, il senatore del Texas, Ted Cruz e il candidato presidenziale indipendente Robert Kennedy jr.Vale la pena di sottolineare che l’immigrazione clandestina rappresenta uno dei dossier centrali della campagna elettorale per le prossime presidenziali. Un dossier che, per inciso, costituisce una vera e propria spina nel fianco per Biden. Secondo un sondaggio della Cbs pubblicato il 7 gennaio, solo il 32% degli americani si dice soddisfatto di come il presidente sta gestendo la frontiera meridionale. D’altronde, stando al New York Times, l’anno fiscale 2023 ha registrato il record storico di arrivi di immigrati irregolari al confine con il Messico (per un totale di circa 2,4 milioni di fermi). Trump, che ha ricevuto l’endorsement da Abbott a novembre, è quindi tornato a cavalcare il tema migratorio: sa infatti perfettamente che si tratta di uno dei principali punti deboli di Biden.Nel frattempo, i dem sono andati all’attacco del governatore texano, esortando la Casa Bianca a porre la Guardia nazionale del Texas sotto l’autorità federale: nella loro richiesta, hanno citato un precedente del 1957, quando Dwight Eisenhower «federalizzò» la Guardia nazionale dell’Arkansas, dopo che il suo governatore di allora, Orval Faubus, l’aveva mobilitata per impedire l’attuazione di Brown vs Board of education, una sentenza della Corte suprema del 1954 che aveva dichiarato incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole.La crisi texana viene, infine, a intersecarsi con le trattative in corso al Senato degli Stati Uniti per raggiungere un accordo sugli aiuti a Kiev. In cambio del via libera all’assistenza ucraina, i repubblicani hanno chiesto misure più severe nella gestione della frontiera con il Messico. Per ora, i negoziati proseguono, anche se Trump ha esortato i parlamentari del Gop a non accontentarsi di compromessi sul dossier migratorio. Secondo indiscrezioni riportate da The Hill, il capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, starebbe ipotizzando di scorporare gli aiuti a Kiev dalla questione delle frontiere. La possibilità di un accordo, al momento, appare in salita mentre la crisi costituzionale rischia di aggravarsi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/texas-si-ribella-a-biden-2667102857.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="washington-blocca-gli-impianti-di-gnl-per-racimolare-voti-tra-gli-ecologisti" data-post-id="2667102857" data-published-at="1706372499" data-use-pagination="False"> Washington blocca gli impianti di Gnl per racimolare voti tra gli ecologisti La corsa alla Casa Bianca entra nel vivo e cominciano le grandi manovre elettorali. Ieri il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha sospeso l’approvazione dei progetti di costruzione di nuovi terminali di gas naturale liquefatto (Gnl) destinato all’esportazione. La sospensione durerà diversi mesi. Durante questo periodo il dipartimento dell’Energia (Doe) dovrà esaminare «gli impatti economici e ambientali» dei progetti e vi sarà la possibilità di interventi dei cittadini nel processo, ha detto ai giornalisti il segretario dell’Energia, Jennifer Granholm. La Casa Bianca in una nota scrive: «Durante questo periodo, esamineremo attentamente l’impatto delle esportazioni di Gnl sui costi energetici, sulla sicurezza energetica dell’America e sul nostro ambiente», per la gioia dei gruppi ambientalisti che da mesi fanno pressione perché i progetti siano fermati. Alcuni funzionari dell’amministrazione americana hanno lasciato intendere che la cosa non danneggerebbe l’Europa, perché sarebbero previste delle eccezioni nei casi in cui fosse minacciata la sicurezza nazionale. Sono poi solo quattro i progetti con richiesta di approvazione pendente presso il Doe e la sospensione non riguarda gli otto impianti di esportazione di Gnl attualmente in funzione. Sembra una situazione win-win, per Biden, la cui decisione sa di mossa politica in vista della campagna elettorale, più che di reale motivazione ambientalista. Mostra di appoggiare gli ambientalisti e non danneggia la sicurezza energetica. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina e la decisione europea di fare a meno del gas russo, il gas liquido americano è diventato essenziale per l’Europa. Ciò ha provocato una crescita dirompente dell’export dagli Stati Uniti, che oggi sono diventati il maggior esportatore mondiale. Anche la domanda dall’Asia si è rafforzata, per via della rinuncia al carbone da parte di diversi Paesi. Ma la crescita dell’export americano ha comportato una espansione degli impianti nei territori che si affacciano sul Golfo del Messico e la conseguente protesta degli ambientalisti, in gran parte politicamente orientati verso il Partito democratico. A scatenare le proteste maggiori di residenti e Ong ambientaliste, verso i quali i democratici sono molto sensibili, è stato il gigantesco progetto Calcasieu Pass 2 (CP2) di Venture Global, sulla costa della Louisiana. Questo Stato del Sud ha un governatore repubblicano, Jeff Landry, che ha vinto le elezioni dell’ottobre 2023 con il 51,6% dei voti ed è in carica da pochi giorni. Nelle scorse elezioni presidenziali lo Stato della Louisiana andò a Donald Trump con quasi il 58% dei voti. Nelle elezioni del 2012 vinse persino Mitt Romney, fragile candidato repubblicano, che batté Barack Obama con la stessa percentuale. Nel 2008 a spuntarla fu il repubblicano John McCain. La decisione di Washington è, di fatto, un espediente per rinviare il problema a dopo le elezioni del prossimo 5 novembre. Per alcuni analisti politici, Biden sta semplicemente dando un calcio alla lattina (Kicking the can down the road), per spostare avanti il problema e nel frattempo rinsaldare il fronte democratico guadagnando i voti degli ambientalisti. Se è vero che in Louisiana non ci sarà partita con Trump, l’esempio può servire in altri Stati che oscillano tra i due candidati. La notizia non ha turbato il mercato del gas, i prezzi in Europa sono rimasti stabili, anzi in calo. Ciò che ha provocato un piccolo sussulto nei prezzi ieri pomeriggio è stata, invece, la notizia che l’Ue non spingerebbe per un rinnovo dell’accordo per il trasporto del gas dalla Russia attraverso l’Ucraina, che scade il 31 dicembre 2024. Il che farebbe mancare dal prossimo gennaio quei pochi volumi residui che ancora arrivano in Europa attraverso quel gasdotto. La domanda europea è praticamente ferma, il mercato ben fornito: difficilmente questo porterà a veri rincari dei prezzi del gas all’ingrosso.
Jose Mourinho (Getty Images)