2023-01-19
Nel «testamento» di papa Ratzinger la fede non si arrende alla modernità
Il libro postumo, edito da Mondadori, mette in guardia dall’intolleranza quotidiana dello Stato nei confronti del cristianesimo. A cui non viene perdonata la sua pretesa di verità e la resistenza al pensiero dominante.Il messaggio è particolarmente potente, ma l’idea che il libro che teniamo tra le mani sia «quasi un testamento spirituale» (così viene presentato in copertina) lo rafforza ulteriormente. Il libro postumo di Benedetto XVI, in uscita in questi giorni per Mondadori, sembra essere concepito per marcare i confini, a partire dal titolo: Che cos’è il cristianesimo. Senza punti interrogativi, a ribadire che si tratta di un chiarimento, e non di una domanda. E sin dalle prime pagine Joseph Ratzinger sgombra il campo da alcuni luoghi comuni della contemporaneità. «Nel nostro tempo diviene sempre più forte la voce di coloro che vogliono convincerci che la religione come tale è superata. Solo la ragione critica dovrebbe orientare l’agire dell’uomo», scrive il Papa emerito nella prima parte dedicata a «le religioni e la fede cristiana». E prosegue: «Dietro simili concezioni sta la convinzione che con il pensiero positivistico la ragione in tutta la sua purezza abbia definitivamente acquisito il dominio. In realtà, anche questo modo di pensare e di vivere è storicamente condizionato e legato a determinate culture storiche. Considerare questo modo di pensare come il solo valido conduce a impicciolire l’uomo, sottraendogli dimensioni essenziali della sua esistenza».In questa difesa della religione ritorna dunque un tema estremamente caro al Ratzinger teologo (e filosofo): il rapporto tra ragione e fede, laddove la seconda non può prescindere dalla prima, ma contemporaneamente ne costituisce l’argine. «L’uomo diventa più piccolo, non più grande, quando non c’è più spazio per un ethos che, in base alla sua autentica natura, rinvia oltre il pragmatismo, quando non c’è più spazio per lo sguardo rivolto a Dio. Il luogo proprio della ragione positivista è nei grandi campi d’azione della tecnica e dell’economia, e tuttavia essa non esaurisce tutto l’umano».Della religione, dunque, non si può fare a meno, sentenzia Ratzinger. E poche pagine dopo passa a smentire l’idea che il monoteismo sia fonte d’ogni intolleranza. Semmai, le cose stanno nella maniera esattamente contraria. «Il moderno Stato del mondo occidentale», scrive Benedetto XVI, «da un lato si considera come un grande potere di tolleranza che rompe con le tradizioni stolte e prerazionali di tutte le religioni. Inoltre, con la sua radicale manipolazione dell’uomo e lo stravolgimento dei sessi attraverso l’ideologia gender, si contrappone in modo particolare al cristianesimo. Questa pretesa dittatoriale di aver sempre ragione da parte di un’apparente razionalità esige l’abbandono dell’antropologia cristiana e dello stile di vita che ne consegue, giudicato prerazionale. L’intolleranza di questa apparente modernità nei confronti della fede cristiana ancora non si è trasformata in aperta persecuzione e tuttavia si presenta in modo sempre più autoritario, mirando a raggiungere, con una legislazione corrispondente, l’estinzione di ciò che è essenzialmente cristiano».Queste parole, roventi, sono contenute in un testo del 2018 che risulta fra i più diretti del libro, gravido com’è di un contenuto ampiamente calato nell’attualità. Il cristianesimo, continua Ratzinger, è tutt’altro che intollerante o retrogrado, come tanti tentano di dipingerlo in questi tempi. «L’intolleranza del cristianesimo sarebbe intimamente legata alla sua pretesa di verità», ragiona il Papa. «Alla base di questa concezione sta il sospetto che la verità sarebbe in sé pericolosa. Per questo la tendenza di fondo della modernità muove sempre più chiaramente verso una forma di cultura indipendente dalla verità. Nella cultura postmoderna - che fa dell’uomo il creatore di sé stesso e contesta il dato originario della creazione - si manifesta una volontà di ricreare il mondo contro la sua verità. Abbiamo già visto in precedenza come proprio questo atteggiamento conduca necessariamente all’intolleranza. […] Abbiamo visto come una società che si pone contro la verità sia totalitaria e perciò profondamente intollerante».Non è un manifesto politico, certo che no. Ma di sicuro alcune parti di questo libro un’ispirazione politica la forniscono eccome. Soprattutto, però, stabiliscono dei punti fermi per quando riguarda il cattolicesimo. E tra i primi sembra esserci proprio il rifiuto di ogni cedimento di fronte al pensiero prevalente.Tale fermezza Benedetto XVI la mantiene ogni volta che s’addentra negli «elementi fondamentali della religione cristiana», soprattutto se si parla di liturgia. Ebbene, in un’era in cui i riti scompaiono, ecco che il Papa ribadisce: «L’esistenza della Chiesa vive della giusta celebrazione della liturgia. […] La Chiesa è in pericolo quando il primato di Dio non appare più nella liturgia e così nella vita. La causa più profonda della crisi che ha sconvolto la Chiesa risiede nell’oscuramento della priorità di Dio nella liturgia».Che si tratti di sostenere il celibato dei preti, la necessaria centralità di Dio o di confermare l’importanza della fede nel mondo moderno, il pensiero di Ratzinger invita a una sorta di resistenza intellettuale. Che per sostenersi può alimentarsi anche del dialogo con le altre fedi, cioè ebraismo e islam, a cui sono dedicati alcuni scritti molto densi. Di fronte a un mondo che considera le religioni nemiche, in fondo, stabilire legami fra persone di fede non è affatto secondario.Tra gli altri interventi svetta poi quello dedicato alla piaga degli abusi sessuali, il quale solo apparentemente s’accoda al discorso prevalente sulla Chiesa colpevole di coprire la pedofilia. Nel testo - pubblicato online nel 2019 - ovviamente Ratzinger non esibisce nemmeno l’ombra di una giustificazione per gli abusatori. Non si tratta soltanto di denunciare i reati, ma di spiegare che se la pedofilia si è così diffusa «in ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione europea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza».Benedetto XVI, al solito, va molto oltre, confrontandosi coraggiosamente con i frutti guasti della fallita rivoluzione sessuale. «Cerco di mostrare come negli anni Sessanta si sia verificato un processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti. Si può affermare che nel ventennio 1960-1980 i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare», scrive. Poi aggiunge: «Tra le libertà che la rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma. La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale. In effetti negli aerei non fu più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale, giacché nella piccola comunità di passeggeri scoppiava la violenza. Poiché anche gli eccessi nel vestire provocavano aggressività, i presidi cercarono di introdurre un abbigliamento scolastico che potesse consentire un clima di studio. Della fisionomia della rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale furono una conseguenza di tutti questi processi».Sostenere che questo volume postumo sia un atto d’accusa alla società così come è andata delineandosi dal Sessantotto in avanti sarebbe una forzatura. Ma non è sbagliato dire che ai mali di questa società (e della Chiesa odierna) il libro di Ratzinger offre parecchi antidoti. E di fronte alla radiosa lucidità di Benedetto XVI diviene ancora più disperante la ricerca di un pensiero capace di raccoglierne l’eredità.