
Non si trova la quadra sull'uscita, ora l'opzione «no deal» temuta da Londra e Bruxelles sembra sempre più probabile. Con 344 voti contrari e 286 voti favorevoli, la Camera dei Comuni ha bocciato l'accordo concluso a novembre dal primo ministro.Nel giorno in cui il Regno Unito avrebbe dovuto lasciare l'Unione europea, il Parlamento britannico ha respinto per la terza volta l'accordo Brexit proposto dal primo ministro Theresa May. Ora il pallino passa nelle mani di Bruxelles, con due ipotesi e una data di scadenza, il 12 aprile. Entro quel giorno, infatti, sapremo se il Regno Unito rimarrà nell'Unione europea ancora per un po' di tempo e sarà costretto a partecipare alle elezioni per il Parlamento europeo di fine maggio o se lo scenario «no deal», quello più temuto su entrambe le sponde della Manica, diventerà realtà.Con 344 voti contrari e 286 voti favorevoli, la Camera dei Comuni ha bocciato ieri, il 29 marzo (il giorno della Brexit prima che il Consiglio europeo la scorsa settimana concedesse un breve rinvio al 12 aprile), l'accordo concluso a novembre dal primo ministro Theresa May. Immediatamente dopo la decisione di Londra, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha annunciato la convocazione per mercoledì 10 aprile di un vertice straordinario sulla Brexit. Il «no deal» il 12 aprile «è ora uno scenario probabile», ha spiegato una portavoce della Commissione europea. «Starà ora al Regno Unito indicare una via per procedere prima di quella data», ha aggiunto, sottolineando che l'Ue è attrezzata per affrontare questo scenario ed escludendo la possibilità di mini accordi settoriali.Si tratta della terza bocciatura nel giro di due mesi e mezzo e a molti commentatori britannici è venuto in mente uno storico episodio dell'ottobre 1990: alla Camera dei Comuni Margaret Thatcher, ex premier e ancora un idolo nel Partito conservatore, pronunciò i suoi famosi tre «no» all'indirizzo del presidente della Commissione europea di allora, Jacques Delors, che proponeva l'Unione economica e monetaria, quella che fu sancita due anni dopo dal Trattato di Maastricht. Sull'eredità politica e sul pensiero europeo della Thatcher i conservatori britannici continuano a litigare. Intanto, però, non riescono a completare un processo, la Brexit, voluto, avviato e portato avanti su loro iniziativa. Certo, come ha spiegato ieri alla Camera dei Comuni la May, è stato quel Parlamento ad autorizzare il referendum del 2016 e l'attivazione dell'articolo 50 che ha dato inizio, il 29 marzo 2017, ai due anni di negoziati con l'Unione europea. Ma il referendum è stato voluto dall'ex premier conservatore David Cameron e i negoziati sono stati condotti dal suo successore, Theresa May, anche lei membro dei tories. Che neppure ieri sono riusciti a compattarsi: ben 34 di loro, infatti, hanno votato contro il piano d'uscita proposto dal premier, che è anche loro leader: la maggior parte dell'European research group, il gruppo di euroscettici duri e puri da sempre contrario alla proposta della May, non si è lasciata convincere né dal presidente Jacob Rees-Mogg né da Boris Johnson (che della battaglia per la Brexit nel 2016 fu il capopopolo), che hanno deciso di votare questa volta a favore. Non è bastato escludere dal voto di ieri la «dichiarazione politica», ciò quella parte allegata all'accordo vero proprio (il «withdrawal agreement») che dovrebbe essere la base per i negoziati sulla relazione futura tra Regno Unito e Unione europea e che conteneva i passaggi sul confine irlandese che hanno spaccato la maggioranza.Contrari nel Partito conservatore anche alcuni deputati europeisti, tra cui Jo Johnson, il fratello di Boris, secondo cui sarebbe preferibile un secondo referendum. A Theresa May sono mancati anche i voti del Partito laburista, sui quali contava per sopperire ai «no» convinti, anche questa volta, del Partito unionista democratico nordirlandese, la stampella del suo governo di minoranza. Ma soltanto cinque laburisti e due indipendenti hanno votato a favore.Subito dopo il voto il Partito laburista e il Partito nazionale scozzese hanno invocato nuove elezioni. L'European research group ha definito il piano May morto e ha chiesto le dimissioni immediate del primo ministro. Che però non si è scomposto. Due i passaggi rilevanti del suo intervento: «Questa Camera ha raggiunto il limite» e «continuerò a cercare una Brexit ordinata». Nel primo caso potrebbe intendere elezioni, nel secondo un quarto voto sul suo accordo prima del Consiglio europeo straordinario fissato per il 10 aprile. Molto dipenderà dalla riunione del Comitato 1922, organismo centrale nella struttura del Partito conservatore, prevista per lunedì sera. Molti chiedono la testa del premier May dopo i tre «no» della Camera dei Comuni. Ma lei sembra intenzionata a ribadire il suo impegno, che ieri ha per la prima volta dichiarato pubblicamente intervenendo alla Camera dei Comuni: mi dimetto quando sarà passato il mio accordo per la Brexit. Il deputato conservatore e ministro dei Trasporti Chris Grayling ha spiegato a Skynews gli scenari possibili. «No deal»? «Non è ciò che la Camera dei Comuni vuole», ha risposto ricordando che il Parlamento di Londra ha già votato contro questa ipotesi. Elezioni? «L'unica cosa di cui il Paese ha bisogno». Rinvio lungo e Brexit morbida con la permanenza del Regno Unito nell'unione doganale? «È un Parlamento a maggioranza remain», ha concluso. In questo caso, il Regno Unito verrebbe costretto da Bruxelles a partecipare alle elezioni europee di maggio. E il The independent group, il partito fondato un mese fa da otto ex deputati laburisti e tre ex conservatori per sostenere le ragioni di un secondo referendum, ha annunciato ieri di aver già inviato la sua candidatura in vista di un rinvio lungo.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





