2022-04-09
Le cure domiciliari funzionano: ecco le prove
In pubblicazione uno studio dell’Università dell’Insubria su 392 casi di malati sottoposti a trattamento precoce a casa dai medici di «Ippocrate.org»: mentre in Italia la letalità del Covid era superiore al 3%, per i pazienti sottoposti alla terapia è stata dello 0,2%.Il presidente cinese Xi Jinping alle prese con le proteste per il lockdown. Nella vicina Taiwan la vita è normale.Lo speciale contiene due articoli.Su MedRxiv è appena stata pubblicata un’analisi retrospettiva di 392 casi di Covid trattati a domicilio in Italia. Si tratta di un pre print, ovvero della versione preliminare di un articolo scientifico non ancora sottoposta a peer review, che riporta i risultati di una ricerca realizzata dall’Università degli studi dell’Insubria, che ha indagato caratteristiche, gestioni ed esiti di un campione dei 15.000 pazienti sottoposti a trattamento precoce da Ippocrate.org. Il movimento, che attraverso i medici del servizio di Assistenza 999 ha in realtà seguito almeno 60.000 malati di coronavirus dal 1° ottobre del 2020, includendo nel conteggio coloro che non sono transitati per il sito ma, attraverso il passaparola, si sono rivolti direttamente agli oltre 170 specialisti impegnati a fornire un servizio gratuito, ha messo a disposizione i dati dei pazienti, che appaiono in forma anonima. I risultati indicano che nella coorte esaminata dal 1 novembre 2020 al 31 marzo, quindi durante la seconda ondata, il 99,6% delle persone trattate precocemente dai medici volontari sono guariti e il tasso di letalità è stato dello 0,2%, contro il 3-3,8% che si registrava nello stesso periodo in Italia. La pubblicazione fornisce informazioni sui farmaci che sono stati somministrati durante la cura, tenendo conto dell’età, dello stadio e della gravità del Covid-19, della presenza di comorbidità rilevanti e di altri fattori di rischio nei pazienti. «Ritengo che sia il primo studio messo a punto nel nostro Paese», afferma Mauro Rango, fondatore e presidente di Ippocrate.org, «sia per il numero di pazienti osservati, sia perché non si limita a riportare l’effetto di antinfiammatori. Nelle tabelle, sono mostrati i farmaci raccomandati nelle diverse fasi dell’infezione». Per evitare il consueto dileggio che accompagna i protocolli domiciliari anti Covid, diversi dai ministeriali Tachipirina e vigile attesa, Rango precisa subito che non si tratta «di vitamine o integratori. Quelli possono servire ad aiutare l’organismo se un paziente è asintomatico, ma quando si combatte contro il rischio di morte vanno usati farmaci tradizionali, da sempre impiegati per curare la polmonite interstiziale». Nella prima fase, durante la moltiplicazione virale, il protocollo di Ippocrate.org aveva previsto l’utilizzo di anti infiammatori e i medici hanno prescritto aspirina, idrossiclorochina, colchicina, invermectina, in base all’anamnesi raccolta. Nella fase due, «quando bisogna bloccare la tempesta citochina, evitare sovrainfezioni batteriche e la potenziale ostruzione del normale flusso di sangue, il protocollo non lascia ampia discrezionalità, vanno usati solo cortisone, antibiotico e l’eparina come anticoagulante». Il 34,4% dei malati Covid esaminati si era rivolto a Ippocrate.org già in fase avanzata, nello stadio classificato «2». Sintomatici e con malattie polmonari, eppure, trattati a domicilio con cortisone, antibiotico, eparina, si è bloccato il peggioramento delle loro condizioni. Solo il 5,8% dei 392 pazienti ha avuto bisogno del ricovero. Rango spiega che il campione non era composto da persone in ottima salute, quindi in grado di meglio reggere il Covid, come si potrebbe pensare leggendo i risultati dello studio. Molti pazienti erano in sovrappeso (26%) o obesi (11,5%), con comorbidità croniche (34,9%), principalmente cardiovascolari (23%) e metaboliche (13,3%). Ciononostante, trattati precocemente, 390 su 392 sono guariti. Un settantaduenne in sovrappeso, con malattie cardiovascolari e in fase «2» avanzata, era morto subito dopo il ricovero. «Non sono disponibili informazioni sui trattamenti ospedalieri», si precisa nell’indagine, mentre di un’altra persona non si è avuto poi il riscontro clinico. Le reazioni avverse ai farmaci sono state solo nove, una delle quali lieve, le altre da lieve a moderata. «Nel complesso, questo insieme di risultati suggerisce una buona tollerabilità dei farmaci e delle combinazioni utilizzate nel trattamento iniziale del Covid-19, nonché un’ottima conoscenza delle loro caratteristiche da parte dei medici prescrittori», si legge nello studio. Che rappresenta il primo tentativo di fornire una descrizione dettagliata del trattamento domiciliare precoce contro il Covid, l’approccio farmacologico dei medici volontari di Ippocrate.org sembra efficace e il basso numero di ricoveri in ospedale (25 su 392) conferma che in quel gruppo di pazienti erano riusciti a bloccare la progressione della malattia. I dati raccolti includono solo le informazioni essenziali, prossime indagini dovranno descrivere in dettaglio il decorso clinico del Covid 19 e la sua risposta ai trattamenti farmacologici, quali il tempo di guarigione, le dosi del farmaco e il tempo di somministrazione. Di certo, se milioni di italiani avessero potuto accedere tempestivamente a cure, senza muoversi da casa, il Covid sarebbe stato trattato anche fuori dagli ospedali e con esiti meno letali. L’indagine mostra che i medici che si sono presi cura dei pazienti, hanno messo in pratica con successo protocolli, ancora oggi non approvati ufficialmente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/terapie-domiciliari-covid-2657126318.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="xi-ha-un-grosso-guaio-a-shanghai-neanche-il-lockdown-ferma-il-covid" data-post-id="2657126318" data-published-at="1649483616" data-use-pagination="False"> Xi ha un grosso guaio a Shanghai. Neanche il lockdown ferma il Covid Per andare in auto da Shanghai a Taiwan bastano 72 ore, mentre in aereo servono un’ora e 21 minuti. Eppure, in questi giorni, le due nazioni sembrano trovarsi a distanze siderali. Colpa del Covid 19, che ha messo in ginocchio Shanghai, dove i 26 milioni di residenti sono sotto chiave nel più grande lockdown dall’inizio della pandemia, mentre Taiwan si è classificata al primo posto del Covid 19 Recovery index di Nikkei Asia per la sua gestione della pandemia e la libertà concessa agli abitanti. Due circostanze opposte, determinate da due approcci differenti, che vale la pena di descrivere. Fino alla scorsa settimana, Shanghai aveva adottato una formula di chiusura graduale, prima in una parte di città e poi nell’altra. Un sistema adottato nella speranza di ridurre l’aumento dei casi di Omicron, che invece hanno continuato a crescere. Da marzo i nuovi positivi sono stati 73.000 e solo giovedì si sono registrati 19.982 casi. Numeri che pesano sulla Cina, che da mesi non aveva più presentato statistiche così preoccupanti. Per evitare il peggio, il governo ha concentrato su Shanghai personale medico da altre parti del Paese, procedendo a un isolamento peggiore di quello pensato per Wuhan. Sono stati creati 20.000 punti di raccolta di campioni e 50.000 dottori sono stati spediti a fare test di massa. Il governo ha aumentato le restrizioni, nonostante l’impatto pesante sull’economia. Un intervento sicuramente impattante e che ha suscitato il malcontento dei cittadini, che vedono soltanto obblighi da rispettare ma non l’assistenza necessaria ad affrontare la situazione. Si faticano a trovare generi di prima necessità, le consegne degli acquisti on line sono state sospese dal blocco dei trasporti, i cittadini sono a corto di medicinali. La città è immobilizzata e questo spaventa, visto che si tratta della principale base finanziaria del Paese, che con il suo porto garantisce il 20% delle esportazioni. A Taiwan, invece, il ministero della Salute ha adottato una strategia morbida. Si invitano i cittadini a vivere una vita normale, tenendo conto anche del fatto che la variante Omicron produce sintomi più lievi o assenti. Le statistiche corroborano questo approccio. A Taiwan, quest’anno, solo cinque persone contagiate hanno sviluppato sintomi moderati o gravi, mentre il 99,7% ha riportato sintomi lievi o assenti. La strategia prevede, quindi, di permettere alle persone di avere una vita normale, facendo prevenzione attiva del virus e riaprendo all’economia in modo che ci sia equilibrio tra salute pubblica e benessere economico. I due punti focali sono, da un lato, definire accordi per rifornirsi dei farmaci antivirali, dall’altro, puntare sulla campagna vaccinale con la terza dose. Un’azione da compiere in modo tempestivo, come già accaduto in passato. Taiwan ha iniziato tardi con il vaccino. Fino a maggio 2021, su 23 milioni di abitanti, erano state somministrate 91.000 dosi. In due settimane, si è passati a 200.000, e a fine gennaio 2022 il 74 per cento della popolazione ha ricevuto una dose e il 24 per cento ne ha già fatte tre. Un exploit che ora permette di tirare un sospiro di sollievo.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco