
L'aggressività fa parte del cammino dell'umanità ma i millennials, iperpacifisti e politicamente corretti, sognano di eliminarla. Un popolo che rinnega la propria storia, però, non può avere futuro: si condanna a diventare schiavo. O, peggio, a estinguersi.Senza il nostro lato oscuro non siamo perfetti, siamo incompleti, atrocemente zoppi. E si dice zoppi, non diversamente abili. Nel Vangelo c'è scritto zoppo, cieco e muto: quelle sono le parole del dolore, perché il dolore può essere consolato e può anche renderci forti come lo sono le spade di acciaio temprate nel fuoco, ma a patto di non negarlo, di guardarlo in faccia. Il lato demente della nostra epoca è l'eliminazione del dolore. Tutto. La vergogna è dolore. La paura è dolore. Quindi li eliminiamo: eliminiamo dolore e vergogna, eliminiamo con l'aborto e l'eugenetica coloro che potrebbero provarli. Eliminiamo l'aggressività, oggi considerata un crimine. E i maschi, visto che l'aggressività è legata al testosterone, sono buoni solo se devirilizzati. La virilità non piace, ha in sé caratteristiche di coraggio e potenza che oggi piacciono sempre di meno. Il delirio del postmoderno è eliminare il lato oscuro. Ma senza il lato oscuro siamo incompleti, non perfetti. Schiacciare un bambino con la vergogna è un gesto grave, che lo renderà insicuro. Permettere a un bambino di non provare mai vergogna è un comportamento folle che lo spingerà verso il disturbo narcisistico di personalità e il disturbo antisociale, ampollosi termini in psicologichese con cui oggi si indica l'assoluta mancanza di capacità di compassione, una mancanza talmente totale che non può che sfociare nel piacere di fare il male. Il piacere di fare del male è sempre in agguato. Esiste. È uno dei componenti della mente. Davanti al dolore altrui ci sentiamo forti e potenti: nel Colosseo normali uomini e normali donne, fornai, mercanti, madri di famiglia, andavano a gioire davanti a torture atroci, meglio se molto lente. In tutti i secoli passati, si andava in piazza per assistere alle esecuzioni. La ghigliottina con la sua rapidità asettica pose fine a esecuzioni ben più lunghe, sontuose e condite.serve anche il timoreQuando la mia cagnolina Favola è scappata in mezzo alle vigne con il labrador della vicina di casa mentre era in calore e mi ha scodellato i cuccioli, sono rimasta ammirata per la sua capacità di fare la cosa giusta al momento giusto. Quando i cuccioli erano piccolissimi con loro era dolcissima, quando sono stati più grandi lei li metteva in riga quando sgarravano a sganascioni e ringhiando. Si rifugiavano sotto il termosifone. Quindi il processo educativo necessita di amore, guida, accoglienza e timore.Dove non c'è timore non può esserci processo educativo. Questo suona terribile. Il timore? No, mai. E invece è così: il processo educativo necessita di timore, il timore di rabbuiare la mamma, il timore della sgridata di papà, il timore dell'insufficienza. Tra l'altro imparando a sfidare il timore si impara il coraggio. Bambini di tre anni che tengono in pugno i genitori, sedicenni che informano che loro non andranno più a scuola? Questi figli sono stati allevati secondo i dettami della pedagogia demente: senza timore.Che nessuno si faccia illusioni: dove non c'è assolutamente timore il processo educativo si ferma. Un bambino è perfettamente in grado di tollerare il timore del padre o della madre. È la mancanza di processo educativo che lo annienta, lo riduce a un piccolo reuccio terrorizzato. La pedagogia molle è stato un caso di ipersoluzione. Con questo termine si indica una soluzione eccessiva che alla fine è addirittura peggio di quello che doveva correggere. Il timore, anzi il terrore, è stato l'unico componente della cosiddetta pedagogia «nera», terrificante, del medico tedesco D.G.M. Shreber, vissuto nella seconda metà dell'Ottocento, che vietava ai genitori di prendere i bambini in braccio e consigliava metodi durissimi e francamente sadici. Anche in questi casi si formano persone con difficoltà, incapaci di provare empatia. Sulle direttive della pedagogia nera di Shreber si sono formati i volenterosi carnefici di Adolf Hitler.Quindi il timore è come il colesterolo. Il colesterolo è stato demonizzato, ma in realtà è uno dei nostri componenti irrinunciabili: l'eccesso uccide, ma la mancanza non è compatibile con la sopravvivenza. In ambito educativo i pedagogisti hanno fatto con il timore lo stesso errore compiuto dai dietologi con il colesterolo. Il timore in eccesso uccide le capacità empatiche e il coraggio, la sua mancanza non è compatibile né con la capacità empatica né con il coraggio. sempre più fragili Non è mai successo nella storia dell'umanità che l'adolescenza fosse tanto povera di vitalità e ricca di autoaggressione, dai tagli orizzontali sul braccio alla cannabis, fino all'alcol, come ora. L'ultima generazione del mondo occidentale è detta dei «fiocchi di neve», Generation Snowflake. I Millennials, nati nel 2000, iperpacifisti, iperecologisti, iperattaccati al politicamente corretto, sono gli ipersensibili quelli che si vergognano della loro storia, che buttano giù le statue di Cristoforo Colombo, bruciano la Divina Commedia perché è omofoba, William Shakespeare perché è sessista, e così via. Apparentemente ipersensibile, il fiocchetto di neve ha una capacità empatica pari a zero, ed è entusiasticamente d'accordo con il linciaggio anche fisico del dissidente. Il fiocchetto di neve nega la storia e nega che, senza aggressività, la storia sarebbe possibile. Senza l'aggressività non saremmo migliori, semplicemente non saremmo. L'aggressività fa parte dell'essere uomini, fa parte della nostra storia e la propria storia non può essere rinnegata. Un popolo che la rinnega si candida a diventare un popolo di schiavi o un popolo di morti. I Millennials, come i sessantottini, rinnegano la propria storia nella demente speranza di essere superiori ai propri antenati.Noi siamo noi. Noi siamo la nostra storia, noi siamo la nostra ferocia, noi siamo la nostra compassione, noi siamo le nostre chiese gotiche e le nostre trincee, noi siamo ferocia, compassione, coraggio, vigliaccheria, collera e tenerezza. Noi siamo noi.
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