Crollano i (già bassi) numeri di contagi, morti e ricoverati per Covid, soprattutto nelle terapie intensive. Smentite le catastrofiche previsioni lanciate dalle virostar tra una candidatura e un anatema nei confronti dell’alcol. Forse adesso ci lasceranno in pace.
Crollano i (già bassi) numeri di contagi, morti e ricoverati per Covid, soprattutto nelle terapie intensive. Smentite le catastrofiche previsioni lanciate dalle virostar tra una candidatura e un anatema nei confronti dell’alcol. Forse adesso ci lasceranno in pace.Il terrore corre fra i virologi. Non per il Covid, ma per la minor letalità del Covid. Da quando le statistiche dei malati di Covid hanno preso a smentire le loro catastrofiche previsioni, gli esperti in servizio permanente nei talk show serali non sanno più a che santo votarsi e, soprattutto, come riempire le giornate, perché nessuno chiede più il loro parere. Fabrizio Pregliasco, prezzemolino di ogni salotto tv, al pari del suo amico Andrea Crisanti (con cui si esibì in un memorabile Jingle bells suonando le campane per il vaccino), si è buttato in politica, mettendosi in lista con Pierfrancesco Majorino, candidato di Pd e 5 stelle per la presidenza della Regione Lombardia. Antonella Viola, docente dell’università di Padova e anche lei gran frequentatrice di dibattiti televisivi, invece si è buttata sul vino, sostenendo che ad alzare il gomito si rischia un rimpicciolimento del cervello. Non so quanto ci sia di scientifico nell’affermazione della signora e soprattutto non comprendo che titolo abbia la professoressa per parlare di Covid e allo stesso tempo di Amarone. In passato, ascoltando alcune apodittiche affermazioni di questi cosiddetti scienziati, ho avuto semmai la sensazione che qualcuno eccedesse in libagioni, ma la mia è una valutazione a distanza, non supportata da prove. Guardando gli ultimi dati, è invece confermato che, nonostante i molti titoli universitari, infettivologi e virologi hanno sparato pareri a vanvera. Tralascio le dichiarazioni di inizio pandemia, quando molti di loro scherzavano col coronavirus, dicendo che non sarebbe mai arrivato in Italia e dunque non c’era motivo alcuno di preoccuparsi. Lascio perdere anche le dichiarazioni dell’estate 2020, quando dopo la prima ondata si dicevano certi che non ne sarebbe giunta una seconda. Faccio finta di non aver udito il cumulo di sciocchezze su vaccini e green pass, quando alcuni, poi colpiti da contagio, assicuravano che fatta l’iniezione non avremmo mai più dovuto preoccuparci, perché il siero ci avrebbe protetto per l’eternità, rendendo superfluo perfino un terzo richiamo. Escludo dalle ultime parole famose anche gli allarmi pronunciati poco prima di Natale, quando in crisi da astinenza da Covid, gli esperti da salotto tv prefiguravano disastri nei pronto soccorso ospedalieri, con medici e infermieri travolti da legioni di pazienti infettati dal virus. Fosse stato per loro, probabilmente le scorse festività le avremmo trascorse in lockdown, chiusi in casa, senza parenti ma in compagnia della paura dell’ultima variante cinese. Grazie al cielo invece, l’unico fastidio che i festeggiamenti di fine anno ci hanno procurato sono le dichiarazioni sul potere astringente del bicchiere di vino sulla materia grigia, niente a che vedere rispetto a ciò che era stato annunciato. Gli ammonimenti dispensati a reti unificate, con cui si invita al coprifuoco e a coprirsi naso e bocca negli ambienti chiusi, si sono rivelati inutili, perché il coronavirus non ha dilagato, mentre Kraken e Cerberus (questi i fantasiosi nomi delle varianti) si sono rivelate meno pericolose di come ci era stato annunciato. Ricordate? Pur di farci trascorrere il Natale con il cuore in gola, quei simpatici mattacchioni in camice bianco stimavano che le prime settimane di gennaio le avremmo trascorse in ospedale. Invece, contro le nefaste previsioni, sono arrivati nei giorni scorsi di dati elaborati dalla fondazione Gimbe. Risultato, nonostante la nostalgia dei virologi per gli anni trascorsi fra un’ondata e l’altra, tutti gli indicatori segnalano una diminuzione dei contagi, ma anche dei ricoveri e dei decessi. Nella settimana che va da 13 al 19 gennaio, i nuovi casi sono scesi del 38 per cento, passando da 84.000 a poco più di 50.000, e i decessi sono diminuiti del 14 per cento, da 575 a 495, di cui dieci riferiti a periodi precedenti. I positivi si sono ridotti di 53.000 persone, pari al 15 per cento del totale e lo stesso si può dire degli italiani in isolamento. Quanto ai ricoveri, siamo passati da 6.421 a 5.000, con una riduzione del 22 per cento, mentre nelle terapie intensive il calo è stato del 26,8: vuol dire che uno su quattro fra i ricoverati in rianimazione non è più in pericolo. Insomma, gli ultimi dati certificano che siamo vittime, più che del Covid, delle molte stupidaggini diffuse dagli esperti di Covid. Al punto che leggendo le ultime uscite di Pregliasco e Viola viene spontaneo chiedersi se non sia ora di invocare una moratoria. Anzi, visti i risultati diffusi da Gimbe, invitiamo la professoressa di Padova a farsi un bicchiere, brindando alla buona sorte. Di sicuro farà meno male delle sue previsioni.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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