La desegretazione dei contenuti dell’audizione in commissione Covid di Walter Ricciardi, consigliere scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza per le relazioni con le istituzioni sanitarie internazionali, è forse la più attesa da parte di chi vuole ancora conoscere la verità sulla gestione della pandemia tra il 2020 e il 2021. Il deposito dello stenografico dovrebbe avvenire a breve, ma intanto le indiscrezioni che filtrano dai corridoi di Palazzo San Macuto sembrano confermare che il racconto di Ricciardi ai componenti della Commissione è destinato a scatenare nuove polemiche. A partire dalle rivelazioni sull’introduzione del Green pass, un’idea che Ricciardi ha sempre rivendicato ma che, secondo quanto avrebbe raccontato l’8 luglio scorso alla Commissione presieduta da Marco Lisei (Fdi), non sarebbe nata né da lui né dalla pletora di esperti che, anche attraverso il Cts, ruotavano intorno al ministero della Salute. Il suggerimento del lasciapassare sanitario, introdotto in Italia tramite il Dpcm del 17 giugno 2021, diventando ufficialmente operativo il 6 agosto 2021, sarebbe infatti arrivato al governo Draghi dalla Francia. Come detto, lo stenografico dell’audizione dell’ex consigliere di Speranza non è ancora stato reso pubblico, quindi i dettagli sul dialogo con i cugini d’Oltralpe legato al green pass non sono ancora chiari. Ma il fatto che la Francia fosse un modello per le restrizioni introdotte durante l’estate del 2021 era già emerso il 12 luglio di quell’anno, quando l’allora commissario per l’Emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo, durante un intervento a Tg2 Post, aveva commentato la decisione presa in Francia di utilizzare il green pass anche per ristoranti e trasporti. «Quella di utilizzare il green pass per vari tipi di eventi, così come in Francia», aveva detto Figliuolo, potrebbe essere una soluzione per una spinta» ai vaccini. «Poi per chi non l’avrà», aveva concluso, «c’è anche il tampone, bisogna comunque rispettare la Costituzione». Una settimana dopo, era stato proprio Ricciardi a tornare sull’idea di copiare il modello francese: «Il green pass non solo deve diventare obbligatorio per i ristoranti al chiuso, ma anche per i mezzi di trasporto pubblico come autobus e metropolitana. Dal punto di vista tecnologico, non è impossibile applicare questa necessaria misura». E in effetti, il decreto legge approvato dal governo Draghi il 22 luglio 2021 ricalcava più che abbondantemente il modello francese decantato da Figliuolo e Speranza. Il decreto introduceva infatti l’obbligo di esibire il lasciapassare sanitario tra gli altri per palestre, piscine, teatri, musei, cinema, mostre, spettacoli, stadi, fiere, convegni, congressi, parchi tematici, parchi divertimento, sale gioco, ristoranti e bar, traghetti, aerei, treni, trasporto locale e regionale, soggiorni in alberghi, banche, poste, uffici pubblici, attività commerciali (eccetto quelle essenziali come i supermercati). Un elenco pressoché sconfinato, che andava ben oltre le disposizioni attuate in Francia. Giustificato da Ricciardi anche mettendo in campo il ruolo della partita Atalanta-Valencia nella diffusione del virus nella Bergamasca («un momento esplosivo», aveva dichiarato nell’agosto del 2020 all’Eco di Bergamo). Davanti ai commissari Ricciardi avrebbe anche elogiato il lavoro svolto all’epoca insieme a Speranza, ma ammettendo di fatto che nei primi due mesi del 2020 il pericolo derivante dalla circolazione del Covid in Cina sarebbe stato sottovalutato da tutti, lui compreso. L’ex consigliere di Speranza avrebbe infatti ammesso di aver appreso della gravità della situazione legata al virus solo a fine febbraio e che durante un incontro con l’accademia delle scienze cinesi gli fu suggerito cosa fare per gestire la situazione. Anche su questo punto i dettagli delle sue dichiarazioni non sono ancora noti. Ma in effetti, il 25 febbraio del 2020, in un’intervista al quotidiano romano Il Messaggero, Ricciardi aveva lanciato un allarme inaspettato sul Covid-19: «Non è come una normale influenza, ha un tasso di letalità più alto. E soprattutto, se non la fermiamo rapidamente, rischia di richiedere un numero di posti di terapia intensiva superiore a quelli che ci sono nei nostri ospedali». Insomma, il tanto decantato modello italiano per la gestione della pandemia sarebbe in realtà figlio di una serie di indicazioni arrivate dall’estero. In attesa che i dettagli delle sue dichiarazioni in Commissione diventino pubblici, l’ex rappresentante dell’Italia (per il triennio 2017-2020) nel consiglio di amministrazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità continua a rilasciare dichiarazioni. E a chiamare in causa Paesi stranieri rispetto alla Sanità italiana. Sul Corriere della Sera di ieri, un testo firmato da Ricciardi e dal ricercatore Giuseppe Remuzzi lancia l’allarme sulla «deriva americanizzante» del nostro sistema sanitario, facendo riferimento alle parole di Luca Antonini, vicepresidente della Corte costituzionale, autore, insieme a Stefano Zamagni, del volume Pensare la sanità. Secondo Ricciardi e Remuzzi, però, «è la stessa Corte Costituzionale (e non Antonini, ndr) a parlare di “deriva americanizzante” e lo fa negli stessi giorni in cui il New England Journal of Medicine scrive “in America nessun settore di quelli che orbitano attorno alla salute è immune dalla smodata ricerca del profitto”». Una ricostruzione che non tiene conto minimamente del fatto che la richiesta all’Italia di tagli alla spesa pubblica, iniziati in modo massiccio durante il governo guidato da Mario Monti, è arrivata dall’Unione europea. Pena, il rischio di ritrovarsi con la Troika in casa, come successo alla Grecia. E da allora i tagli alla Sanità si sono susseguiti con tutti i governi. E non all’America di Donald Trump, che però viene vista dai grand commis della Sanità di tutti i Paesi come il nemico pubblico numero uno. Trump, infatti, oltre a portare avanti una linea di rottura rispetto a quella dell’Oms sull’argomento vaccini, ha anche annunciato l’addio degli Usa all’organizzazione. Alla quale, nel solo biennio 2022-2023 Washington ha versato 1,28 miliardi di dollari. Nello stesso periodo la Cina, citata dallo stesso Trump per motivare la sua decisione, ha versato 156 milioni di dollari, l’Unione europea 468, l’Italia 73. Cifre che rendono facile capire il motivo dell’ostilità verso Trump da parte del mondo della Sanità internazionale, ma che nulla hanno a che vedere con l’origine dei tagli applicati in Italia nel settore.
Per gentile concessione dell’editore Arianna e dell’autrice, pubblichiamo un estratto dell’ultimo libro di Raffaella Regoli, giornalista di Fuori dal coro (Rete 4), I padroni dell’Oms. Emergenze, trattati pandemici, vaccini, green pass globale. Una rassegna critica sul modo in cui interessi economici e politici superiori stanno condizionando le politiche sanitarie mondiali, minacciando di comprimere le nostre libertà e di trasformare nella «nuova normalità» lo stato d’eccezione sperimentato in pandemia.
Correva l’anno 2014 e l’Italia veniva designata quale capofila delle campagne vaccinali nel mondo.
A ricevere questo incarico alla Casa Bianca a Washington, alla presenza di Barack Obama, ci sono il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, Ranieri Guerra, consigliere scientifico all’ambasciata di Washington e l’allora presidente di Aifa, Sergio Pecorelli. Nel 2014 quindi, al vertice del Global health security agenda, cioè dell’Agenda globale della salute, si decide che l’Italia guiderà nei prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo. Il ministro Lorenzin in conferenza stampa dichiara: «È necessario rafforzare la sorveglianza a livello globale […]. Gli Stati membri devono garantire risorse, personale, laboratori e un coordinamento dell’attività sul campo». Oggi, quelle parole lucide e precise ci dicono chiaramente dove ci stavano portando.
Tre anni dopo, il 19 maggio del 2017, il Consiglio dei ministri approva un decreto urgente per rendere obbligatorie le vaccinazioni da 0 a 6 anni, per l’iscrizione agli asili nido e alle scuole materne. Un piano di 12 vaccini che prevede anche tutta una serie di misure coercitive. L’allora presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, specifica che le sanzioni diverranno «dalle 10 alle 30 volte maggiori di quelle esistenti», allo scopo di essere più convincenti. Le proteste si levano da più parti. Il ministro della Salute, Lorenzin, conferma tutto nel corso di una conferenza stampa. Al suo fianco ci sono tre figure che torneranno di continuo nella scena sanitaria italiana fino a ricoprire ruoli chiave nella gestione della pandemia da Covid-19: Ranieri Guerra, direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero, Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità e Gianni Rezza.
«Obiettivo di questo decreto», si affretta a spiegare la Lorenzin ai giornalisti, «è raggiungere il livello di immunizzazione raccomandato da Oms, pari al 95% della popolazione, in modo da mettere in sicurezza il Paese». Ma 12 vaccini obbligatori servivano davvero a mettere in sicurezza il Paese?
Ed ecco che entra in gioco la «politica delle emergenze». Un’improvvisa epidemia di morbillo. Un’epidemia di morbillo che, guarda caso, colpisce come una maledizione l’Europa. Ma non tutta l’Europa. Il focolaio è concentrato solo in casa nostra. L’Oms dà la colpa alla vaccinazione stagnante nel nostro Paese. Che è pari nel 2016 al 93,3%.
Nel 2017 l’Oms pubblica infatti un rapporto sulla «salute sostenibile», come da Agenda 2030. Nel rapporto si riconosce la vaccinazione «come uno degli interventi di sanità pubblica di maggior costo-beneficio». Ma dove sono i dati? E soprattutto, se aumentano i danni da vaccino nei bambini, dov’è il risparmio per il sistema sanitario?
Secondo i dati del Cdc di Atlanta, se nel 2014 in 11 stati Usa si registrava un bambino autistico ogni 59, nel 2023 il rapporto è diventato di 1 bambino autistico ogni 36. Secondo l’Angsa, l’associazione dei genitori delle persone con autismo, nelle scuole italiane si conferma un costante aumento degli alunni con disabilità. Nell’anno scolastico 2018-2019 sono stati il 3,3% sugli iscritti. Ricordo solo una sentenza storica, nel 2014, del tribunale di Milano che riconobbe l’autismo di un bimbo come effetto avverso del vaccino esavalente. Il ministero della Salute fu condannato a versare un assegno a vita a un bimbo di 9 anni ipotizzando una correlazione proprio con il vaccino. La relazione del medico legale nominato dal Tribunale di Milano, il dottor Alberto Tornatore, faceva riferimento a un documento «confidenziale rivolto agli enti regolatori», della Glaxo. Il perito parlò di ben «5 casi di autismo segnalati durante i trial, ma poi omessi dall’elenco degli effetti avversi».
Nonostante le polemiche, l’obbligo vaccinale diviene legge, la n. 119, il 31 luglio del 2017. I vaccini da 12 diventano 10 obbligatori, più 4 «consigliati attivamente». Ma la domanda resta. Basta una presunta epidemia di morbillo per imporre 10 vaccini obbligatori? E solo in Italia?
Sono 15 i Paesi in Europa, infatti, che oggi non hanno vaccinazioni obbligatorie: Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito. Perché?
Fatto sta che tempo due mesi dalla legge Lorenzin, e il 3 ottobre 2017, l’Italia riceve un «premio». Ranieri Guerra diventa director assistant del direttore generale dell’Oms. Quella mattina la Lorenzin sfoggia tutto l’orgoglio italiano: «È un grande riconoscimento per tutto il nostro sistema sanitario», dice. E sarà proprio Ranieri Guerra nel 2020, in piena emergenza pandemica, nonostante fosse in Oms, a sedere al tavolo tecnico scientifico del Cts. Un’evidente anomalia.
Walter Ricciardi andrà invece nell’executive board sempre dell’Oms. È quello stesso Walter Ricciardi che, appena esplosa la pandemia, viene chiamato come consulente scientifico dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza. È quel Walter Ricciardi che parlava di «epidemia fuori controllo», auspicava «zone rosse» e reclamava «sanzioni contro gli irresponsabili». È quel Walter Ricciardi che il Codacons denuncia nel 2018, per «presunti» conflitti d’interesse con le Big pharma. Ad aprile 2021 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Codacons contro Ricciardi, per aver ricevuto finanziamenti e sponsorizzazioni da aziende farmaceutiche produttrici di quei vaccini divenuti obbligatori.
Quel Walter Ricciardi di cui parlava anche la deputata Eva Reali, che già nel 2014 diceva: «Non si capiscono i vaccini se non si capisce chi c’è dietro».
Non è ancora chiaro se a esternare contro il governo di Giorgia Meloni riguardo la decisione dell’Italia di non aderire alla rete green pass dell’Oms sia stato l’attore comico Walter Ricciardi, attivo negli anni Ottanta e verosimilmente digiuno di politiche sanitarie, o il funzionario medico Walter Ricciardi, ex consigliere scientifico dell’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, dal 2020 al 2022 ed ex presidente dell’Istituto superiore di sanità italiano dal 2015 al 2018. Domanda lecita, vista la confusione espressa dal suddetto (che tra i vari incarichi è stato anche responsabile Sanità e tesserato di Azione di Carlo Calenda), intervistato sul via libera al decreto Pnrr passato al Senato con 95 voti favorevoli, 68 contrari e un astenuto.
«Considero molto grave» ha dichiarato Ricciardi, «quello che è successo in Parlamento, con un voto che ha sancito come l’Italia sarà l’unico Paese che non aderisce alla rete globale di sorveglianza sanitaria, attraverso il no al cosiddetto green pass dell’Organizzazione mondiale della sanità. In questo modo», ha continuato l’ex consigliere di Speranza, «verrà tagliata fuori da tutti i meccanismi informativi di controllo. Questo ci isola notevolmente nei già non facili tentativi di sorveglianza e di prevenzione sanitaria».
Ricciardi in realtà sembra non aver capito, o non aver voluto digerire, il senso del decreto passato al Senato e ora diventato legge. Come già anticipato dal ministro della salute Orazio Schillaci, infatti, l’Italia non è «tagliata fuori da tutti i meccanismi informativi di controllo», come sostiene Ricciardi, perché non è affatto uscita dalla piena operatività del fascicolo sanitario elettronico, che è l’insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario dei cittadini assistiti, accessibile, dietro consenso, dal personale sanitario in caso di ricovero o di accesso al pronto soccorso. Il cosiddetto green pass globale, invece, è il sistema di certificazione digitale usato per la verifica delle vaccinazioni. L’Oms lo ha mutuato dall’Ue il 1 luglio 2023 con l’obiettivo di utilizzarlo per estendere il certificato internazionale di vaccinazione o profilassi, la cosiddetta yellow card. In pratica è una sorta di passaporto vaccinale; gli Stati possono aderirvi volontariamente e l’Italia ha scelto di non farlo.
L’emendamento all’articolo 43 del decreto Pnrr, che ha consentito al nostro Paese di non aderire al green pass globale, nella versione originaria prevedeva «l’evoluzione della piattaforma nazionale del Digital green certificate e il collegamento della stessa alla rete globale di certificazione sanitaria digitale dell’Oms». Nella nuova versione, dall’articolo 43 è stata soppressa la parte iniziale del comma 1 - che si riferiva alle «eventuali emergenze sanitarie», alle «certificazioni sanitarie digitali […] dell’Oms» e alla «Piattaforma nazionale digital green certificate» - ed è stata sostituita da un rimando, per l’appunto, al fascicolo sanitario elettronico che esiste già dal 2012, cui confluiscono i dati sanitari dei cittadini italiani. Quanto al comma 2, modificato anch’esso, la precedente versione del decreto legge si riferiva espressamente alle certificazioni europee rilasciate a giugno del 2021 (poco prima che Mario Draghi istituisse in Italia il green pass, ndr), con un preciso richiamo all’infrastruttura dei certificati Covid Ue che - come aveva annunciato lo stesso premier italiano a marzo del 2022 - non sarebbe stata smantellata. «Vogliamo costruire una struttura permanente di preparazione», disse allora Draghi, «gradualmente questa struttura perderà il carattere di emergenza e acquisterà quello di ordinarietà». Ebbene, la nuova versione del decreto rimane orientata all’emissione di certificazioni - «sono individuate le modalità tecnologiche idonee a garantire il rilascio e la verifica delle certificazioni sanitarie digitali, in conformità alle specifiche tecniche europee e internazionali», recita il testo - e mantiene invariato il finanziamento della struttura tecnologica (3.850.000 euro per il 2024 e 1.850.000 negli anni successivi) destinandolo, però, non alla rete green pass dell’Oms ma, più genericamente, all’«individuazione e lo sviluppo di modalità tecnologiche idonee alla gestione di certificazioni sanitarie digitali».
L’intemerata di Ricciardi appare dunque quanto mai fuori luogo tenuto conto, inoltre, che l’Oms Europa diretto da Hans Kluge sta per lanciare una rete paneuropea per il controllo delle malattie, composta da Paesi Ue ed extra Ue, per «rilevare, verificare e informare reciprocamente e rapidamente sulle nuove minacce per la salute, dalle malattie infettive emergenti alla resistenza antimicrobica». L’Italia non sarà dunque «isolata e autocondannata a navigare senza la bussola dei collegamenti internazionali», come lamenta Ricciardi ma, più semplicemente, non aderirà al green pass globale, facendo sua la campagna contro il passaporto vaccinale che La Verità promuove da tempo.
«Sembra che non abbiamo imparato niente dal Covid», ha dichiarato Ricciardi. Ma a non aver imparato né studiato sembra lui.
Uno scenario che le generazioni future «potrebbero non perdonarci». Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, commenta così il possibile stop al Trattato pandemico. Uno strumento che, sulla carta, dovrebbe garantire fondi adeguati e linee guida univoche agli Stati nel caso di una nuova emergenza sanitaria, ma che nasconde un problematico allargamento dei poteri dell’Oms a scapito degli Stati. In buona sostanza, le nuove regole consentirebbero alla organizzazione di decretare l’esistenza di una nuova emergenza e di provvedere a organizzare la risposta globale alla minaccia incombente. Starebbe dunque all’Oms stabilire quali politiche di sanità pubblica adottare, quali cure o più probabilmente vaccini prescrivere e quali notizie diffondere.
Nella bozza del trattato si afferma infatti «il principio della sovranità degli Stati parti, nell’affrontare questioni di salute pubblica». Allo stesso tempo, però, gli aderenti si impegnano a riconoscere «il ruolo centrale dell’Oms, quale autorità di indirizzo e coordinamento del lavoro sanitario internazionale, nella prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie», nonché nel «generare prove scientifiche».
Il documento, in base all’approccio seguito dall’Organo negoziale intergovernativo, ricadrebbe sotto l’ambito dell’articolo 19 della Costituzione dell’Oms e «dovrebbe essere legalmente vincolante», contenendo sia elementi legalmente vincolanti sia non vincolanti.
Gli Stati dovranno inoltre «contrastare» le informazioni «false, fuorvianti» e fronteggiare la cosiddetta infodemia anche attraverso i social media. Gli aderenti promuoveranno la «fiducia e diffusione dei vaccini», nonché la «fiducia nella scienza e nelle istituzioni governative». Parole che non possono far sorgere interrogativi, vista la campagna di screditamento incoraggiata negli scorsi anni verso qualsiasi dubbio sui vaccini anti Covid.
Il Trattato è stato definito in previsione dell’arrivo della «malattia X»: «Non è una questione di se, ma di quando ci sarà la prossima pandemia», è il mantra ripetuto a più riprese da Oms, ma anche da scienziati e leader politici, da Mario Draghi al presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, da Bill Gates a Walter Ricciardi.
L’obiettivo dell’Oms era quello di votare il Trattato in occasione dell’Assemblea mondiale della sanità del 2024, che si riunirà il 27 maggio. Ma i piani dell’Organizzazione e dell’Ue potrebbero andare in frantumi, come ha avvisato lunedì Tedros, puntando il dito, come era prevedibile, contro «notizie false, bugie e teorie del complotto».
«Non possiamo permettere che questo accordo storico, questa pietra miliare nella salute globale, venga sabotato», ha tuonato Ghebreyesus, «Il tempo è molto breve. E ci sono diverse questioni in sospeso che devono ancora essere risolte».
Mentre il direttore delle emergenze dell’Oms, Michael Ryan, ha ricordato come la pandemia «ha fatto a pezzi i nostri sistemi sociali, economici e politici ed è diventata un problema multimiliardario».
Sorvolando sugli effetti prodotti da allarmismo, restrizioni e campagne vaccinali isteriche.
Ricciardi riesuma i «malati sani»: «Senza isolamento avremo in giro troppi asintomatici»
La tecnica è antica e più volte l’abbiamo smascherata. Consiste nel cambiare le parole per cambiare la realtà. Nel sostituire la narrazione (mistificatoria) alla realtà al fine di creare un mondo artificiale e soggettivo. Occorre dunque proteggere le parole, affinché non vengano snaturate. Difenderne le definizioni, perché non vengano pervertite. Lo statunitense Matt Walsh, ad esempio, ha girato un documentario di enorme successo intitolato What is a woman, in cui provvede a interrogare professori universitari, intellettuali e attivisti ponendo una sola e cristallina domanda: che cosa è una donna? Molti, troppi, non gli hanno saputo rispondere. Traslando il discorso dall’ambito gender alla questione Covid, bisogna domandarsi e domandare: che cosa è un malato? La risposta che fornisce la Treccani è chiara: «Chi è colpito da malattia, o è in genere non sano, temporaneamente o per costituzione». Del resto la parola deriva dal greco e significa letteralmente «che sta male». O meglio, questo significava prima che si sprofondasse nel delirio pandemico. Da quando il Covid ha fatto irruzione, infatti, il malato non è più colui che sta male. È, sostanzialmente, colui che non rientra nei parametri stabiliti dal potere dominante.
Nei mesi bui dell’emergenza, malato era chiunque non avesse il green pass. Il possesso di una tesserina, di un codice che attestasse l’avvenuto atto di fede nei confronti della Cattedrale sanitaria era determinante per ottenere un posto nel novero dei sani. Questo slittamento di significato, come risulta evidente, provocava un immediato e totale distacco dalla realtà. Malato non significava più «colpito da malattia» bensì «disobbediente, deviante». Ecco la patologizzazione del dissenso, del tutto simile a quella che Vladimir Bukovskij ravvisava in Unione sovietica. Ovvero la nazione in cui era stata scoperta una nuova malattia: l’opposizione. Non contava più il reale stato di salute del singolo, ma il suo comportamento. Del resto esistevano persone dotate di green pass che si contagiavano e persone prive di tessera verde in perfetta forma. Ma queste ultime erano comunque accusate di spargere il contagio e impedire la sparizione del virus. Ora il green pass non c’è più, ma i teorici del dissenso come malattia non sono scomparsi, resistono più delle varianti Covid. E continuano a sostenere l’esistenza della più surreale delle figure: il malato sano. Tra i maggiori sponsor di questo abominio retorico vi è manco a dirlo Walter Ricciardi, relitto del passato pandemico che credevamo forse stato inghiottito dall’anonimato e invece è riemerso dal limo come se il tempo non fosse trascorso. Parlando con le agenzie di stampa dichiara compiaciuto: «Non è solo un rischio ma una certezza che avremo una ripresa di infezioni da Covid». Detto dall’uomo che ha fatto di tutto per imporre la strategia zero Covid in Italia, è quasi ridicolo. In pratica egli, rivendicandone l’efficacia, dimostra quanto fosse inutile e dannoso il suo approccio.
Come tutti i profeti pandemici che si sono trovati nel tempo a dover giustificare il fallimento delle proprie ricette salvifiche, Ricciardi deve scovare un capro espiatorio a cui attribuire la débâcle. E non gli riesce troppo difficile. L’aumento dei casi, dice all’Adnkronos Salute, è «legato al fatto che moltissime persone asintomatiche vadano in ufficio, a scuola, nei luoghi affollati, sui mezzi di trasporto con il Covid essendo venuto meno l’obbligo di isolamento. O si capisce che contrastare il Covid significa anticiparlo attraverso misure di sanità pubblica oppure è chiaro che ci saranno, come in questo momento ci sono in altre parti del mondo, delle nuove ondate epidemiche». Lineare: se il Covid non è scomparso è colpa degli asintomatici, cioè dei proverbiali malati sani. Sconosciuti misteriosi che spargono pericolose particelle infette nell’aria. Anche in questo frangente, la realtà è totalmente trascurata.
Uno studio pubblicato su Lancet in agosto e dedicato alle «emissioni virali nell’aria e nell’ambiente» ha mostrato che gli asintomatici emettono particelle virali in una quantità quasi inesistente, quindi il loro potenziale nocivo è prossimo allo zero. Per cui, semplicemente, Ricciardi sta mentendo. Forse ne è consapevole, forse no. Però in fondo non importa, perché ciò che a lui interessa è affermare una tesi: opporsi alle regole stabilite dai Sacerdoti della Scienza comporta una punizione divina, attira malanni e sciagure. Solo inchinandosi e chiedendo perdono gli italiani potrebbero salvarsi dall’ira degli dei pandemici. Se Roberto Speranza fosse ancora in sella e Ricciardi fosse ancora suo consulente, probabilmente saremmo già tornati alle mascherine obbligatorie ovunque o forse non avremmo mai visto cessare l’obbligo.
Vero: i terroristi del virus non sono più in auge, ma non smettono di esercitare influenza, contribuiscono ad alzare la tensione e la pressione mediatica, con la consueta collaborazione dei quotidiani compiacenti. Hanno perso su tutta la linea e provocato disastri micidiali, ma non smettono di parlare, non si rassegnano al silenzio. Continuano a evocare spauracchi e a diffondere timore, a fomentare sospetti e paure. Ad accusare persone sane di portare il male. Prima hanno ridefinito il concetto di malattia creando il malato sano, adesso ridefiniscono la scienza medica tramutandola in jettatura.







