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2025-11-02
La confessione di Ricciardi: green pass voluto dai francesi
Walter Ricciardi (Ansa)
La desegretazione dei contenuti dell’audizione in commissione Covid di Walter Ricciardi, consigliere scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza per le relazioni con le istituzioni sanitarie internazionali, è forse la più attesa da parte di chi vuole ancora conoscere la verità sulla gestione della pandemia tra il 2020 e il 2021. Il deposito dello stenografico dovrebbe avvenire a breve, ma intanto le indiscrezioni che filtrano dai corridoi di Palazzo San Macuto sembrano confermare che il racconto di Ricciardi ai componenti della Commissione è destinato a scatenare nuove polemiche. A partire dalle rivelazioni sull’introduzione del Green pass, un’idea che Ricciardi ha sempre rivendicato ma che, secondo quanto avrebbe raccontato l’8 luglio scorso alla Commissione presieduta da Marco Lisei (Fdi), non sarebbe nata né da lui né dalla pletora di esperti che, anche attraverso il Cts, ruotavano intorno al ministero della Salute. Il suggerimento del lasciapassare sanitario, introdotto in Italia tramite il Dpcm del 17 giugno 2021, diventando ufficialmente operativo il 6 agosto 2021, sarebbe infatti arrivato al governo Draghi dalla Francia. Come detto, lo stenografico dell’audizione dell’ex consigliere di Speranza non è ancora stato reso pubblico, quindi i dettagli sul dialogo con i cugini d’Oltralpe legato al green pass non sono ancora chiari. Ma il fatto che la Francia fosse un modello per le restrizioni introdotte durante l’estate del 2021 era già emerso il 12 luglio di quell’anno, quando l’allora commissario per l’Emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo, durante un intervento a Tg2 Post, aveva commentato la decisione presa in Francia di utilizzare il green pass anche per ristoranti e trasporti. «Quella di utilizzare il green pass per vari tipi di eventi, così come in Francia», aveva detto Figliuolo, potrebbe essere una soluzione per una spinta» ai vaccini. «Poi per chi non l’avrà», aveva concluso, «c’è anche il tampone, bisogna comunque rispettare la Costituzione». Una settimana dopo, era stato proprio Ricciardi a tornare sull’idea di copiare il modello francese: «Il green pass non solo deve diventare obbligatorio per i ristoranti al chiuso, ma anche per i mezzi di trasporto pubblico come autobus e metropolitana. Dal punto di vista tecnologico, non è impossibile applicare questa necessaria misura». E in effetti, il decreto legge approvato dal governo Draghi il 22 luglio 2021 ricalcava più che abbondantemente il modello francese decantato da Figliuolo e Speranza. Il decreto introduceva infatti l’obbligo di esibire il lasciapassare sanitario tra gli altri per palestre, piscine, teatri, musei, cinema, mostre, spettacoli, stadi, fiere, convegni, congressi, parchi tematici, parchi divertimento, sale gioco, ristoranti e bar, traghetti, aerei, treni, trasporto locale e regionale, soggiorni in alberghi, banche, poste, uffici pubblici, attività commerciali (eccetto quelle essenziali come i supermercati). Un elenco pressoché sconfinato, che andava ben oltre le disposizioni attuate in Francia. Giustificato da Ricciardi anche mettendo in campo il ruolo della partita Atalanta-Valencia nella diffusione del virus nella Bergamasca («un momento esplosivo», aveva dichiarato nell’agosto del 2020 all’Eco di Bergamo). Davanti ai commissari Ricciardi avrebbe anche elogiato il lavoro svolto all’epoca insieme a Speranza, ma ammettendo di fatto che nei primi due mesi del 2020 il pericolo derivante dalla circolazione del Covid in Cina sarebbe stato sottovalutato da tutti, lui compreso. L’ex consigliere di Speranza avrebbe infatti ammesso di aver appreso della gravità della situazione legata al virus solo a fine febbraio e che durante un incontro con l’accademia delle scienze cinesi gli fu suggerito cosa fare per gestire la situazione. Anche su questo punto i dettagli delle sue dichiarazioni non sono ancora noti. Ma in effetti, il 25 febbraio del 2020, in un’intervista al quotidiano romano Il Messaggero, Ricciardi aveva lanciato un allarme inaspettato sul Covid-19: «Non è come una normale influenza, ha un tasso di letalità più alto. E soprattutto, se non la fermiamo rapidamente, rischia di richiedere un numero di posti di terapia intensiva superiore a quelli che ci sono nei nostri ospedali». Insomma, il tanto decantato modello italiano per la gestione della pandemia sarebbe in realtà figlio di una serie di indicazioni arrivate dall’estero. In attesa che i dettagli delle sue dichiarazioni in Commissione diventino pubblici, l’ex rappresentante dell’Italia (per il triennio 2017-2020) nel consiglio di amministrazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità continua a rilasciare dichiarazioni. E a chiamare in causa Paesi stranieri rispetto alla Sanità italiana. Sul Corriere della Sera di ieri, un testo firmato da Ricciardi e dal ricercatore Giuseppe Remuzzi lancia l’allarme sulla «deriva americanizzante» del nostro sistema sanitario, facendo riferimento alle parole di Luca Antonini, vicepresidente della Corte costituzionale, autore, insieme a Stefano Zamagni, del volume Pensare la sanità. Secondo Ricciardi e Remuzzi, però, «è la stessa Corte Costituzionale (e non Antonini, ndr) a parlare di “deriva americanizzante” e lo fa negli stessi giorni in cui il New England Journal of Medicine scrive “in America nessun settore di quelli che orbitano attorno alla salute è immune dalla smodata ricerca del profitto”». Una ricostruzione che non tiene conto minimamente del fatto che la richiesta all’Italia di tagli alla spesa pubblica, iniziati in modo massiccio durante il governo guidato da Mario Monti, è arrivata dall’Unione europea. Pena, il rischio di ritrovarsi con la Troika in casa, come successo alla Grecia. E da allora i tagli alla Sanità si sono susseguiti con tutti i governi. E non all’America di Donald Trump, che però viene vista dai grand commis della Sanità di tutti i Paesi come il nemico pubblico numero uno. Trump, infatti, oltre a portare avanti una linea di rottura rispetto a quella dell’Oms sull’argomento vaccini, ha anche annunciato l’addio degli Usa all’organizzazione. Alla quale, nel solo biennio 2022-2023 Washington ha versato 1,28 miliardi di dollari. Nello stesso periodo la Cina, citata dallo stesso Trump per motivare la sua decisione, ha versato 156 milioni di dollari, l’Unione europea 468, l’Italia 73. Cifre che rendono facile capire il motivo dell’ostilità verso Trump da parte del mondo della Sanità internazionale, ma che nulla hanno a che vedere con l’origine dei tagli applicati in Italia nel settore.
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Il consulente di Roberto Speranza ha rivendicato una delle costrizioni più inique, rivelando la matrice «macroniana» del patentino. E per capire la gravità del virus ha dovuto parlare coi cinesi, che gli hanno suggerito il da farsi. Intanto Roberto Burioni riattacca col morbillo, e Matteo Bassetti spara contro... la plastica.La desegretazione dei contenuti dell’audizione in commissione Covid di Walter Ricciardi, consigliere scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza per le relazioni con le istituzioni sanitarie internazionali, è forse la più attesa da parte di chi vuole ancora conoscere la verità sulla gestione della pandemia tra il 2020 e il 2021. Il deposito dello stenografico dovrebbe avvenire a breve, ma intanto le indiscrezioni che filtrano dai corridoi di Palazzo San Macuto sembrano confermare che il racconto di Ricciardi ai componenti della Commissione è destinato a scatenare nuove polemiche. A partire dalle rivelazioni sull’introduzione del Green pass, un’idea che Ricciardi ha sempre rivendicato ma che, secondo quanto avrebbe raccontato l’8 luglio scorso alla Commissione presieduta da Marco Lisei (Fdi), non sarebbe nata né da lui né dalla pletora di esperti che, anche attraverso il Cts, ruotavano intorno al ministero della Salute. Il suggerimento del lasciapassare sanitario, introdotto in Italia tramite il Dpcm del 17 giugno 2021, diventando ufficialmente operativo il 6 agosto 2021, sarebbe infatti arrivato al governo Draghi dalla Francia. Come detto, lo stenografico dell’audizione dell’ex consigliere di Speranza non è ancora stato reso pubblico, quindi i dettagli sul dialogo con i cugini d’Oltralpe legato al green pass non sono ancora chiari. Ma il fatto che la Francia fosse un modello per le restrizioni introdotte durante l’estate del 2021 era già emerso il 12 luglio di quell’anno, quando l’allora commissario per l’Emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo, durante un intervento a Tg2 Post, aveva commentato la decisione presa in Francia di utilizzare il green pass anche per ristoranti e trasporti. «Quella di utilizzare il green pass per vari tipi di eventi, così come in Francia», aveva detto Figliuolo, potrebbe essere una soluzione per una spinta» ai vaccini. «Poi per chi non l’avrà», aveva concluso, «c’è anche il tampone, bisogna comunque rispettare la Costituzione». Una settimana dopo, era stato proprio Ricciardi a tornare sull’idea di copiare il modello francese: «Il green pass non solo deve diventare obbligatorio per i ristoranti al chiuso, ma anche per i mezzi di trasporto pubblico come autobus e metropolitana. Dal punto di vista tecnologico, non è impossibile applicare questa necessaria misura». E in effetti, il decreto legge approvato dal governo Draghi il 22 luglio 2021 ricalcava più che abbondantemente il modello francese decantato da Figliuolo e Speranza. Il decreto introduceva infatti l’obbligo di esibire il lasciapassare sanitario tra gli altri per palestre, piscine, teatri, musei, cinema, mostre, spettacoli, stadi, fiere, convegni, congressi, parchi tematici, parchi divertimento, sale gioco, ristoranti e bar, traghetti, aerei, treni, trasporto locale e regionale, soggiorni in alberghi, banche, poste, uffici pubblici, attività commerciali (eccetto quelle essenziali come i supermercati). Un elenco pressoché sconfinato, che andava ben oltre le disposizioni attuate in Francia. Giustificato da Ricciardi anche mettendo in campo il ruolo della partita Atalanta-Valencia nella diffusione del virus nella Bergamasca («un momento esplosivo», aveva dichiarato nell’agosto del 2020 all’Eco di Bergamo). Davanti ai commissari Ricciardi avrebbe anche elogiato il lavoro svolto all’epoca insieme a Speranza, ma ammettendo di fatto che nei primi due mesi del 2020 il pericolo derivante dalla circolazione del Covid in Cina sarebbe stato sottovalutato da tutti, lui compreso. L’ex consigliere di Speranza avrebbe infatti ammesso di aver appreso della gravità della situazione legata al virus solo a fine febbraio e che durante un incontro con l’accademia delle scienze cinesi gli fu suggerito cosa fare per gestire la situazione. Anche su questo punto i dettagli delle sue dichiarazioni non sono ancora noti. Ma in effetti, il 25 febbraio del 2020, in un’intervista al quotidiano romano Il Messaggero, Ricciardi aveva lanciato un allarme inaspettato sul Covid-19: «Non è come una normale influenza, ha un tasso di letalità più alto. E soprattutto, se non la fermiamo rapidamente, rischia di richiedere un numero di posti di terapia intensiva superiore a quelli che ci sono nei nostri ospedali». Insomma, il tanto decantato modello italiano per la gestione della pandemia sarebbe in realtà figlio di una serie di indicazioni arrivate dall’estero. In attesa che i dettagli delle sue dichiarazioni in Commissione diventino pubblici, l’ex rappresentante dell’Italia (per il triennio 2017-2020) nel consiglio di amministrazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità continua a rilasciare dichiarazioni. E a chiamare in causa Paesi stranieri rispetto alla Sanità italiana. Sul Corriere della Sera di ieri, un testo firmato da Ricciardi e dal ricercatore Giuseppe Remuzzi lancia l’allarme sulla «deriva americanizzante» del nostro sistema sanitario, facendo riferimento alle parole di Luca Antonini, vicepresidente della Corte costituzionale, autore, insieme a Stefano Zamagni, del volume Pensare la sanità. Secondo Ricciardi e Remuzzi, però, «è la stessa Corte Costituzionale (e non Antonini, ndr) a parlare di “deriva americanizzante” e lo fa negli stessi giorni in cui il New England Journal of Medicine scrive “in America nessun settore di quelli che orbitano attorno alla salute è immune dalla smodata ricerca del profitto”». Una ricostruzione che non tiene conto minimamente del fatto che la richiesta all’Italia di tagli alla spesa pubblica, iniziati in modo massiccio durante il governo guidato da Mario Monti, è arrivata dall’Unione europea. Pena, il rischio di ritrovarsi con la Troika in casa, come successo alla Grecia. E da allora i tagli alla Sanità si sono susseguiti con tutti i governi. E non all’America di Donald Trump, che però viene vista dai grand commis della Sanità di tutti i Paesi come il nemico pubblico numero uno. Trump, infatti, oltre a portare avanti una linea di rottura rispetto a quella dell’Oms sull’argomento vaccini, ha anche annunciato l’addio degli Usa all’organizzazione. Alla quale, nel solo biennio 2022-2023 Washington ha versato 1,28 miliardi di dollari. Nello stesso periodo la Cina, citata dallo stesso Trump per motivare la sua decisione, ha versato 156 milioni di dollari, l’Unione europea 468, l’Italia 73. Cifre che rendono facile capire il motivo dell’ostilità verso Trump da parte del mondo della Sanità internazionale, ma che nulla hanno a che vedere con l’origine dei tagli applicati in Italia nel settore.
Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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Fabrizio Corona (Ansa)
Il punto di partenza è l’iscrizione sul registro degli indagati di Corona, che ha consentito agli inquirenti di sequestrare foto, video e chat. Nella sua nuova versione da youtuber conduttore di Falsissimo, Corona, ieri, davanti ai pm di Milano ha riempito un verbale e poi si è presentato davanti a telecamere, fotografi e cronisti: «Ho parlato del “sistema Signorini”», ha esordito. Poi ha precisato: «Tre minuti ho parlato del revenge porn e un’ora dei reati (presunti, ndr) commessi da Signorini, ma anche di tutti i suoi giri e di tutte le sue amicizie. Ho più di 100 testimonianze, ho fatto i nomi ai pm e sono già pronte due denunce contro di lui». Una di Antonio Medugno, ex concorrente del Gf Vip, edizione 2021-2022, intervistato nella seconda puntata de «Il prezzo del successo» su Falsissimo. «Anche un altro è pronto a farlo», ha annunciato Corona. Poi ha alzato i toni: «Se prendono il cellulare a Signorini trovano Sodoma e Gomorra». E ha sfidato la Procura: «Se dopo la querela non vanno a fargli una perquisizione io mi lego qua davanti al tribunale».
Corona ha precisato che la sua «non è» una «vendetta». Ma l’innesco è personale: «Dopo che gli ho visto presentare il suo ultimo libro ho detto «ci vuole un bel coraggio» e ho cominciato a fare telefonate e ho recuperato questo materiale, ne ho un sacco, ho delle fotografie sue clamorose».
Il «sistema», dice, lo ha messo nero su bianco nell’interrogatorio richiesto da lui stesso, assistito dall’avvocato Cristina Morrone dello studio legale di Ivano Chiesa. L’obiettivo dichiarato è ribaltare il tavolo e trasformare l’ennesima inchiesta a suo carico in quello che lui definisce il «Me too italiano». «Il problema», ha detto Corona, «è che lui ricopre un ruolo così importante e con quel ruolo non puoi cercare di adescare e proporre l’ingresso in un programma televisivo, che deve passare per dei casting, ci sono delle regole. Pagherà per quello che fa».
Corona, in sostanza, durante il suo interrogatorio, ha cercato di spostare l’attenzione dalle modalità con cui foto e chat sono state mostrate, su ciò che quelle chat potrebbero raccontare. Nel frattempo il fronte si è allargato: il Codacons, insieme all’Associazione utenti dei servizi radiotelevisivi, ha fatto sapere di aver depositato un esposto ai pm milanesi, all’Agcom e al Garante per la privacy.
Ora tocca alle autorità decidere, o meno, se entrare nel backstage mediatico.
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