Grillo jr e la condanna per stupro di gruppo. Uscite le motivazioni: «Vittima attendibile»

Sembra che i giudici di Tempio Pausania abbiano già recepito la riforma dell’articolo 609 bis del codice penale, quello che punisce la violenza sessuale e introduce il concetto del «consenso libero e attuale». In assenza è violenza. Stando al testo approvato alla Camera e che, al momento, è fermo al Senato (sono stati richiesti approfondimenti), non servirà più dimostrare la forza o la minaccia, durante un rapporto sessuale basterà l’assenza di una volontà chiara, presente e consapevole. E il processo a Ciro Grillo e compagni pare offrire uno spaccato del processo che verrà (anche se la norma non può essere retroattiva).
«Posizione centrale nell’ambito della ricostruzione accusatoria, come è inevitabile con riguardo a tali fattispecie di reato, rivestono le dichiarazioni della persona offesa». Il Collegio sardo lo scrive senza giri di parole. La condanna a 8 anni di reclusione per Grillo junior, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, e a 6 anni e 6 mesi per Francesco Corsiglia, per l’accusa di violenza sessuale di gruppo che si sarebbe consumata nella villetta dei Grillo a Cala Volpe di Arzachena il 17 luglio 2019, nasce da lì. Da una scelta iniziale che orienta tutte le 72 pagine della stringata motivazione (a fronte di un processo durato tre anni). Tutta concentrata sulle dichiarazioni della persona offesa.
Il resto è contorno. Il Collegio presieduto da Marco Contu, con a latere Marcella Pinna e Alessandro Cossu, lo rende subito noto: «Dette dichiarazioni, si anticipa, hanno trovato plurimi, convincenti, elementi di riscontro, tali da consentire di ritenere comprovata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza» dei ragazzi. La conclusione è già scritta prima dell’analisi e il dubbio viene escluso per annuncio, richiamando la Cassazione: «Le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale».
La sentenza cita una lista impressionante di testimoni: vicini di casa, proprietari di abitazioni confinanti (con vista sul patio di casa Grillo), ospiti del comprensorio, personale di servizio, tassisti e baristi. Eppure nessuno si è accorto di nulla. Il tribunale ne prende atto, ma poi neutralizza il dato con questa formula: i reati di violenza sessuale «tipicamente si consumano lontano da sguardi e orecchie indiscrete». E, così, ciò che in altri processi sarebbe elemento a favore degli imputati diventa irrilevante. Lo stesso accade con i dati tecnici ricavabili dalle celle telefoniche. La sentenza ne descrive i limiti nel periodo estivo (sarebbero a rischio saturazione), ma poi utilizza quelle stesse informazioni per confermare la ricostruzione accusatoria. Non perché dimostrino una violenza, ma perché non la escludono. Stesso orientamento per le lesioni, accertate nove giorni dopo i fatti. I giudici lo scrivono chiaramente: «Non sono state riscontrate lesioni a livello ginecologico, circostanza del tutto normale in ragione del tempo trascorso dalla violenza».
Il vuoto viene riempito dalle ecchimosi sugli arti: «Lesioni contusive compatibili anche con la pressione di una mano» (ma pure con lo sport praticato dalla presunta vittima, il kitesurf) e «coerenti» con una condotta «di tipo violento e costrittivo». Compatibili. E quindi sufficienti a rafforzare il racconto. Ogni elemento, infatti, non viene mai messo in discussione tenendo in considerazione le tesi difensive. Il monumentale lavoro dei legali degli imputati, che avevano segnalato 387 criticità nella versione della giovane, suddivise tra 70 «non ricordo», 20 contraddizioni interne (versioni divergenti fornite dallo stesso teste), 19 esterne (incompatibilità con altri testimoni o con i dati oggettivi) e 23 risposte elusive o reticenti, è stato liquidato con tre righe, lasciando una strada spianata per l’Appello.
Altro snodo decisivo: l’alcol. La sentenza riconosce che non esista un dato oggettivo. Nessun tasso alcolemico misurato. Nessun accertamento tossicologico. Nonostante ciò la conclusione è definitiva: la persona offesa si trovava in una condizione di «inferiorità fisica e psichica» tale da rendere invalido il consenso. Ma a stabilirlo non è la scienza, bensì una valutazione giudiziaria. I giudici fanno proprie le conclusioni di un consulente del pm secondo cui la studentessa «non presentava criticità da un punto di vista cognitivo» e «la sua memoria autobiografica era adeguata». E concludono che non vi è «simulazione». Così, a bocce ferme, senza prove concrete. Per il Collegio «non può revocarsi in dubbio», si legge nella motivazione, «che l’assunzione del “beverone”, contenente anche una quantità di vodka, abbia provocato nella stessa una condizione di inferiorità fisica e psichica che ha agevolato l’operato criminoso degli imputati». Non solo: «La descrizione della parte offesa», sempre quella, «esclude senz’altro un’ipotesi di consenso da parte della stessa». Per le toghe i ragazzi hanno «agito in un contesto predatorio e prevaricatorio non tenendo in considerazione alcuna lo stato di fragilità in cui versava la ragazza».
Secondo i giudici «non vi è alcun dubbio che gli imputati abbiano, con la loro azione, consapevolmente leso la libertà sessuale della ragazza, approfittando, a tal fine, delle condizioni di minorata difesa di quest’ultima, e dunque ben consci dello stato di ubriachezza della vittima». Il Collegio ha dato per assodata anche la costrizione «ad assumere sostanze alcoliche». Il tribunale richiama più volte anche il materiale audiovisivo, sia quello girato nel corso della mattinata del 17 luglio, sia quello oggetto delle consulenze tecniche. «La scena», ricostruisce il Collegio, «viene ripresa da Capitta con il proprio cellulare». E al centro della scena c’è Ciro. Fin dall’inizio, secondo i giudici, «si può notare una situazione di chiarissima concitazione sessuale». A peggiorare la situazione degli imputati sono state anche le battute che si sono scambiati durante l’amplesso di gruppo: «Di sottofondo è possibile udire la voce degli altri due ragazzi presenti nella stanza bisbigliare a Grillo frasi di incitamento quali “ti prego Ciro” e poi “di più”», con un atteggiamento che, secondo i giudici, è «espressivo di chi vuole fornire un contributo attivo rafforzativo dell’azione collettiva».
Quanto alle fotografie con i membri immortalati vicino al volto di un’altra ragazza dormiente e a ulteriori filmati, i giudici escludono la goliardia: «Non si è trattato di mero esibizionismo da inquadrarsi nell’ambito di una serata scherzosa tra amici». Al contrario, «le immagini» descrivono «un atto di dominio». Per gli imputati la responsabilità si fonderebbe su una serie di condotte cumulative: presenza, commenti, risate, mancato intervento, asserita (dalla parte offesa) ostruzione del passaggio. Il concorso diventa una sorta di responsabilità ambientale. Chi c’era risponde. E gli imputati, scrivono i giudici, avrebbero agito «con una particolare brutalità».
Sentito dalla Verità, l’avvocato Enrico Grillo, difensore di Ciro, ha commentato: «Il disappunto e la delusione già espresse alla lettura del dispositivo sono ancor maggiori leggendo le motivazioni della sentenza». Secondo l’avvocato «l’intero impianto logico-giuridico della decisione appare viziato a monte, sotto il profilo della valutazione della prova e dell’applicazione delle norme». Il tribunale, in sostanza, secondo il difensore di Ciro, «ha progressivamente sostituito il rigoroso accertamento del fatto con una lettura suggestiva, emotiva e influenzata dal contesto». La valutazione finale è questa: «Chiaramente avremo modo, insieme con tutti i colleghi, di dettagliare tutte le criticità che abbiamo riscontrato nell’atto di appello che redigeremo nei prossimi giorni».






