I recenti test dei missili russi Burevestnik e Poseidon hanno spinto il presidente americano Donald Trump «a iniziare a testare le armi nucleari» statunitensi «su base paritaria». L’annuncio del tycoon è arrivato mentre si trovava a bordo del suo elicottero, solamente un’ora prima dell’incontro con l’omologo cinese, Xi Jinping, in Corea del Sud.
«Il processo», con «il dipartimento della Guerra» che ha già ricevuto «istruzioni», comincerà «immediatamente». Il leader americano ha aggiunto di non avere «altra scelta» visti «i test di altri Paesi».
Dal punto di vista degli armamenti nucleari ha tirato quindi in ballo Mosca e Pechino, sostenendo che dopo gli Stati Uniti «la Russia è seconda e la Cina è terza, a distanza ma sarà come noi entro cinque anni». E non a caso: Pechino dal 2020 al 2025 ha raddoppiato il suo arsenale. E secondo i funzionari militari americani, entro il 2030 avrà oltre 1.000 armi nucleari. Sul fronte della competizione tra Mosca e Washington, secondo l’Arms control association, la prima ha un arsenale di 5.580 testate nucleari, mentre la seconda di 5.225. Vero è che già durante il primo mandato, nel 2019, Trump aveva deciso di ritirarsi dal trattato Inf, l’accordo firmato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov che metteva fine alla crisi degli euromissili. Il tycoon aveva infatti accusato Mosca di aver violato il trattato, aggiungendo peraltro che fosse problematico visto che la Cina non era inclusa. Più recentemente, lo scorso agosto, il presidente americano si era detto disponibile ad affrontare il tema della denuclearizzazione con Mosca e Pechino, ma la Cina per tutta risposta aveva affermato che si trattava di una richiesta «irragionevole e irrealistica». Tornando al presente, dopo l’annuncio di Trump, il Cremlino ha chiarito che «Burevestnik e Poseidon non sono stati test nucleari», dato che a essere testati sono stati due sistemi d’arma a propulsione nucleare. Il portavoce russo, Dmitry Peskov, ha quindi commentato: «Finora non sapevamo che qualcuno stesse effettuando i test». In effetti, l’ultimo test nucleare per Mosca risale al 1990, mentre per gli Stati Uniti si deve tornare indietro di 33 anni, al 1992. E se dal punto di vista russo l’annuncio del tycoon non comporta una nuova corsa agli armamenti, il Cremlino ha però puntualizzato che ci sarà «una risposta adeguata se sarà violata la moratoria sui test nucleari». Andrei Kartapolov, un importante parlamentare russo, ha affermato che i test nucleari condotti dagli Stati Uniti porteranno a «un ritorno a un’era di imprevedibilità e di aperto scontro». Mentre il clima riporta alla Guerra Fredda, il portavoce del Cremlino, per certi versi, ha mostrato anche cautela, sostenendo che la situazione attuale non significa che il dialogo tra Mosca e Washington sia «in stallo». Ieri la Russia ha affrontato anche la questione del Giappone dato che tra i due Paesi non è mai stato firmato un trattato di pace inerente alla Seconda guerra mondiale. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha messo in luce che ciò potrebbe avvenire solo se Tokyo metterà da parte la sua «linea antirussa».
Sul tema nucleare, anche la Cina ha risposto, limitandosi a invitare gli Stati Uniti a «rispettare seriamente gli obblighi del trattato sulla messa al bando totale dei test nucleari». Da Bruxelles la reazione è stata tiepida, con la portavoce per gli Affari esteri della Commissione europea, Anitta Hipper, che ha sostenuto: «Non abbiamo visto gli Usa condurre alcun test esplosivo delle loro armi nucleari da decenni» e dunque non si dovrebbero mettere «nello stesso paniere» Mosca e Washington. Non ha invece utilizzato mezzi termini l’Onu, con un portavoce che ha affermato che i test nucleari «non devono mai essere consentiti». Sul campo di battaglia, l’Ucraina è rimasta al buio dopo che la Russia ha sganciato 650 droni e oltre 50 missili. Con le infrastrutture energetiche ucraine ancora tra i target di Mosca, il primo ministro, Yuliia Svyrydenko, ha sottolineato che il nemico sta portando avanti un «terrorismo energetico sistematico». Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha reso noto che «edifici residenziali ordinari a Zaporizhzhia sono stati danneggiati» e «vili attacchi contro infrastrutture energetiche e civili» sono stati registrati «in diverse regioni di Vinnytsia, Kyiv, Mykolaiv, Cherkasy, Poltava, Dnipro, Chernihiv, Sumy, Ivano-Frankivsk e Lviv». E mentre il leader di Kiev ha prorogato la legge marziale e la mobilitazione per altri 90 giorni, dal 5 novembre fino al 3 febbraio 2026, Putin ha ordinato «il libero passaggio dei giornalisti stranieri» nelle zone in cui sono stati accerchiati i soldati ucraini a Pokrovsk, Kupyansk e a Dimitrov. Nel consentire l’operazione, «il comando russo è pronto a cessare le ostilità per 5-6 ore in queste aree». Dall’altra parte, il portavoce del ministero degli Esteri ucraino, Georgy Tykhy, ha commentato: «Sconsiglio ai giornalisti di fidarsi delle proposte di Putin». Ma non solo. Ha pure lanciato un avvertimento ai giornalisti: «Qualsiasi visita al territorio occupato dalla Russia senza il permesso dell’Ucraina costituisce una violazione della nostra legislazione e del diritto internazionale».







