Merita di essere commentata la sentenza della Corte costituzionale tedesca, che, pur avendo giudicato legale il Quantitative easing della Bce del 2015 sottoposto al suo giudizio, sembra però aver lasciato stupiti e preoccupati per le ripercussioni che potrebbe avere sulla politica della stessa Bce, che si è impegnata ad acquistare debito pubblico degli Stati che avessero bisogno di emettere più titoli, soprattutto in conseguenza della pandemia.
Si tratta di reazioni comprensibili ma che non toccano il nòcciolo della sentenza, che sta altrove: innanzitutto, la richiesta della Corte di Karlsruhe alla Bce di «giustificare» entro tre mesi le ragioni che hanno portato in passato ad acquistare più titoli del debito di alcuni Paesi e meno di altri, in presunta violazione di una percentuale prestabilita, riguarda per l'appunto il passato. Il tempo concesso è più che bastevole perché gli esperti di Francoforte trovino le motivazioni adatte, che certamente saranno sufficienti per il Bundestag, Angela Merkel e anche i giudici. Trattandosi, come scrive la Corte, di «bilanciare» gli effetti sulle competenze delle varie istituzioni europee, non sarà difficile farlo, indipendentemente dal giudizio da alcuni dato sulla «ingenuità economica» della Corte (così l'economista della Hertie school di Berlino Henrik Enderlein).
In secondo luogo, la sentenza del Bvg è conforme a precedenti sentenze di quella Corte, che molti sembrano dimenticare. Nel mio libro del 2015, Il suicidio dell'Europa, ho analizzato la «sentenza Lisbona» del 2009, dove erano esplicitati tutti i paletti giuridici che impongono al Parlamento tedesco di rispettare in primis la «legge fondamentale e la volontà del popolo tedesco», che la Corte costituzionale federale si è impegnata a tutelare, ergendosi così a custode e argine invalicabile della sovranità popolare. Nessun potere è superiore a quello che emana dal popolo tedesco come è tutelato dal suo «principe», il giudice costituzionale. Da questo punto di vista la Repubblica federale di Germania è il primo Stato dei giudici esistente al mondo, sia pure qui relativamente al rapporto con l'Unione europea.
Detto questo, in cosa consiste l'importanza della sentenza e, mi si consenta di dire, il suo aspetto a mio avviso positivo? Nell'avere ufficialmente voluto porre un argine allo strapotere della Corte di giustizia europea, che questa sentenza ha ufficialmente criticato per la sua «inadeguatezza» relativamente a una sentenza della stessa Corte di giustizia del 2018, con la quale si legittimava in toto l'azione della Bce; in questo modo la Corte tedesca ha ufficialmente detto di non riconoscere nessun potere al di sopra di sé. Non a caso, giornali di sinistra come la Zeit di Amburgo, sempre propensi al primato del diritto europeo, nell'editoriale di questa settimana (Die Rechthaber, di Heinrich Wefing) si dichiarano preoccupati specificamente su questo punto nel momento in cui la Corte di Lussemburgo sta per decidere sulle politiche della Polonia e dell'Ungheria in materia di potere giudiziario, che in questi Paesi (pur con forzature) è stato riportato in alvei più consoni alla separazione dei poteri e al primato del potere legislativo. Il timore è che anche in Polonia e in Ungheria si potrà rivendicare la propria indipendenza rispetto all'Unione.
Quello che i laici ignorano è in effetti quanto i giudici della Corte di giustizia europea, a partire dal lontano 1964, hanno fatto per configurare prima il mercato comune europeo, poi l'Unione europea come un vero e proprio ordinamento giuridico sovranazionale senza Stato di cui la Corte di giustizia sarebbe di fatto il custode costituzionale. Non solo le burocrazie di Bruxelles, ma anche e prima di tutto i giudici di Lussemburgo sono stati il motore del processo di integrazione (utile più ad alcuni e meno ad altri). Con la sentenza del 5 maggio 2020 della Corte tedesca - sentenza a mio avviso da questo punto di vista epocale, proprio per quelli che la Zeit considera dei «minacciosi danni collaterali» - si pone per la prima volta con forza, sia pure indirettamente, il problema della revisione dei Trattati vigenti in nome della «sovranità dei popoli» e al fine di riportare tutta la questione europea entro i confini del diritto internazionale e non più, come qualcuno pretende, «interno». Con una domanda: perché sovrano dovrebbe essere solo il popolo tedesco?
Alla fine, non è mai (solo) una questione di soldi, ma di potere. O, come diceva Humpy Dumpty in Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, «bisogna vedere chi comanda: tutto qua». Bisogna in effetti vedere chi comanda tra Unione europea e Germania, rappresentate in questo caso da Corte europea di giustizia e Corte di Karlsruhe, versione teutonica della nostra Consulta.
La portata dello scontro sta in due paroline latine, con le quali le toghe tedesche - nel sintetizzare al loro Senato l'ultimatum consegnato alla Bce tre giorni fa - hanno descritto l'acquisto di titoli di Stato varato da Mario Draghi nel 2015: «ultra vires». Cioè al di fuori dei poteri statutari, «despite the Cjeu's judgment to the contrary», ovvero: «Malgrado la sentenza contraria della Corte di giustizia Ue». Ora, chiunque dicesse che un uomo è innocente «malgrado una sentenza passata in giudicato dica il contrario» porrebbe quantomeno un problema di legittimazione del sistema giudiziario. E infatti in poche ore l'intero assetto europeo è precipitato a un livello di scontro inedito perché esplicito.
Il problema non è infatti che la Germania con i suoi organi di garanzia abbia di fatto rigettato (formalmente ha respinto il ricorso avverso, ma ha letteralmente messo all'angolo la Bce) il programma di acquisti: questo è storicamente sempre stato indigesto per Berlino, specie per le conseguenze sul comparto bancario e assicurativo. Il problema principale è che una sentenza ha messo nero su bianco che non c'è Corte europea che tenga, rispetto al pronunciamento. Si dovesse arrivare al dunque, che farà la Bundesbank? Ottempererà al suo mandato e al suo legame con il Paese, o riconoscerà l'autorità della Corte europea? Nel 2011, secondo il Financial Times, una Angela Merkel in lacrime scandì in uno dei vertici chiave sulla crisi greca: «Non è giusto, non posso suicidarmi. Non posso decidere io al posto della Bundesbank»: vedremo.
Che la botta sia grossa, lo si vede dalle reazioni seguite al verdetto di martedì. La Bce - guidata dalla francese Christine Lagarde - e l'establishment parigino hanno risposto con stizza, appellandosi alla preminenza del diritto comunitario. Ieri l'ex capa del Fmi, che ha preso il posto di Mario Draghi , ha ribadito con forza che l'Eurotower è «un'istituzione europea con competenze sull'Eurozona. Rendiamo conto al Parlamento europeo e ricadiamo sotto la giurisdizione della Corte di giustizia europea». Il suo vice, Luis de Guindos, ha ribadito lo stesso concetto respingendo anche nel merito le posizioni tedesche.
Curiosamente, il premier italiano, la Commissione Ue e Silvio Berlusconi hanno aderito alla medesima interpretazione. Poche ore dopo Karlsruhe, un portavoce di Bruxelles ha scandito: «Riaffermiamo la primazia del diritto comunitario, e il fatto che le determinazioni della Corte di giustizia europea sono vincolanti per tutte le Corti nazionali» (Anche se sancisse che l'Italia deve cambiare forma di governo, per dire?). Il premier italiano, parlando al Fatto di martedì, ha detto: «Giudico un fuor d'opera che una Corte nazionale, pur costituzionale, chieda alla Bce di giustificare la necessità degli acquisti. Non può interferire in queste iniziative». E l'ex premier azzurro non si è scostato molto, nel colloquio con Il Giornale dello stesso giorno: «Abbiamo ben presente il fatto che il diritto europeo prevale su quello dei singoli Stati».
Ecco: ma è ancora così? Ovviamente la Corte tedesca non ignora che i Trattati prevedono un impegno a recepire negli ordinamenti nazionali le leggi dell'Unione. Ma da Karlsruhe in poi l'assunto non può più essere dato per scontato. Anzi, produce un attrito formidabile che, se portato alle estreme conseguenze, potrebbe determinare una disarticolazione di tutta l'eurozona.
Allargando il tiro, è in ballo tutta la costruzione europea nei suoi rapporti con gli ordinamenti nazionali. La sentenza cancella l'irenismo europeista e rivela che l'Unione è una costruzione politica, non un dato che si trova in natura. La classe dirigente italiana, mediamente, ha sempre accolto come benefico a prescindere tutto ciò che promanava dalla dimensione comunitaria, ignorando le frizioni con il nostro ordinamento. Il principale azionista dell'Unione europea dice che non è disposto a farlo. Che significa? L'Ue è sovrana sulle nazioni o, per usare le parole di un membro del governo polacco, essa «dice ciò che noi, Stati membri, le consentiamo di dire?». La nostra Carta «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». È «parità» una situazione in cui un Paese rifiuta di subordinare i suoi giudici a quelli Ue e l'altro si adegua?
Prende sempre più peso un'altra, più definitiva, domanda: «Esiste un diritto costituzionale europeo?». Era il titolo della tesi di laurea discussa da Marta Cartabia nel 1978, relatore Valerio Onida. Entrambi sono poi diventati presidenti della Corte costituzionale. I colleghi tedeschi hanno dato una risposta.
«No al Mes e ai prestiti Ue. L’Italia ha un’arma americana per avere i soldi necessari»
All'indomani della sentenza di Karlsruhe e i tre mesi di ultimatum dati alla Bce, per l'Italia potrebbe diventare molto più arduo e difficile accedere al mercato dei debiti pubblici. I fondi del Mes sono limitati al settore sanitario e pieni di condizionalità. Al tempo stesso il governo si è infilato in un vicolo cieco. Ha promesso alle aziende denaro a fondo perduto, ma sa bene bene che manca liquidità e non può certo permettersi di non pagare le pensioni o gli stipendi dei dipendenti pubblici. Abbiamo chiesto a Domenico Lombardi, economista già in forze a Bankitalia e al Fondo monetario internazionale, come valuta la sentenza e tedesca e soprattutto quali strade di finanziamento alternativa l'Italia potrebbe percorrere.
Il fatto che la Germania abbia messo in discussione il Quantitative easing della Bce potrà avere effetti nel breve sulle emissioni italiane?
«Al di là delle implicazioni giuridiche, che capiremo fra tre mesi, la pressione sul debito italiano sarà un fatto consequenziale. Già solo l'idea che l'azionista di maggioranza della Bce abbia creato un solco profondo con gli altri Paesi membri e il rischio che la Bce possa non acquisire in portafoglio Btp con la medesima frequenza di prima crea tensioni sul nostro debito e sul rating stesso. Per questo, da subito sarebbe il caso di trovare fonti alternative di accesso al credito se vogliamo immaginare di tamponare la caduta del Pil per via del Covid-19. Perché è bene dirselo subito: la sentenza di Karlsruhe è già un colpo mortale per i coronabond».
Quali percorsi alternativi immagina?
«Serve qualcosa che depoliticizzi gli aiuti, i fondi e che rassicuri gli elettori dei singoli governi. Mi riferisco a canali di approvvigionamento che non pesino sulle tasche dei contribuenti».
Esiste uno strumento in linea?
«Direi di sì, si potrebbe immaginare di valorizzare i diritti speciali di prelievo, in inglese special drawing rights. Si tratta di una riserva e non letteralmente di una valuta, creata dal Fmi nel 1969 che ha come sottostante un paniere di valute. Gli Sdr sono stati emessi non più di quattro volte e l'ultima, nel 2009, in occasione del crollo post Lehman Brothers. In pratica si crea una riserva di liquidità a cui possono attingere i Paesi membri del Fmi. Senza creare nuovo debito, e senza richiedere alcun tipo di condizionalità. Non è infatti un prestito come quello concesso alla Grecia, è l'uso di una riserva parallela che si spiega in base a uno dei principi fondanti del Fmi: quello di coordinare e promuovere la cooperazione monetaria a livello globale».
L'Italia potrebbe attingere a un finanziamento al di fuori del proprio circuito del debito e della stessa Bce?
«No. Come dicevo tecnicamente non è un finanziamento, perché l'erogazione è gratuita e permanente, o perpetua che dir si voglia. Un mese fa un editoriale del Financial Times ha proposto di attivare Sdr per 1.250 miliardi di euro. Significherebbe che l'Italia potrebbe ricevere 43 miliardi di euro senza alcuna condizionalità politica. Una volta ottenuti, potrebbe valutare di inserirli in un veicolo che a sua volta con una semplice leva di 1 a 5 potrebbe emettere obbligazioni per 200 miliardi di euro».
Avere a disposizione 43 miliardi è già molto di più di quanto il Mes a condizionalità «leggera», come la chiamano a Bruxelles, ci consentirebbe di avere...
«Sì, li ci fermeremmo a 37 miliardi, ma sarebbe un prestito con forti connotazioni politiche. Invece immagini con 200 miliardi garantiti da una riserva perpetua e scomputata dal debito cosa si potrebbe fare in questo momento. I bond potrebbero anche non essere acquistati dalla Bce, ma da Paesi terzi, oppure dai cittadini italiani perché, a differenza degli sdr, non sarebbero perpetui. E 200 miliardi e quanto il Mes promette per l'intera Europa».
Sembra un'idea troppo bella o come direbbero negli Usa win-win... Ci guadagnerebbero tutti. Perché non si fa?
«Fino ad oggi gli americani hanno sempre temuto che si potessero creare riserve parallele al dollaro. Ma tali importi sono così bassi che non arriverebbero nemmeno a sfirorare la supremazia del biglietto verde. Altro Paese ostile è sempre stato la Germania: teme per Dna l'inflazione. Ma non potrebbe obiettare alcunché, visto che la Bce non riesce a portare a termine il proprio mandato inflattivo».
Dunque quali Paesi potrebbero opporsi?
«Gli Stati Uniti detengono il 17% del Fmi. Di fatto possono porre il veto, ma sarebbe per la Casa Bianca un'interessante occasione per intervenire a salvare i Paesi più colpiti (come l'Italia) senza mettere in discussione le tasse dei contribuenti a stelle e strisce, senza dimenticare che pure gli Usa incasserebbero la propria fetta. Per quanto riguarda la Germania, il discorso è più semplice. L'Italia detiene il 3,1% delle quote e Berlino poco più del 6...».
Cioè da sola non basta a stoppare tutto. E l'Olanda, che in Europa si dimostra così forte?
«Ha l'1,8%. In tutto, per decidere l'emissione di Sdr serve l'85% dei voti. Sudamerica, Africa e Asia sarebbero favorevoli, una volta convinti gli Usa. I Paesi del Nord Europa non avrebbero i numeri per opporsi. Certo ci vuole un'attività diplomatica non da poco per avviare uno schema che porti fondi al di fuori delle condizionalità politiche delle singole nazioni. Ma sarebbe il caso di provarci e di cercare di convincere la Casa Bianca. Il Covid-19 è una pandemia e non se ne esce se non si trovano soluzioni fuori dagli schemi della politica».
C'era un signore che soffriva molto di mal di piedi e imprecava contro tutti quelli che glieli pestavano. Una volta li pestò lui a un altro che, conoscendolo, gliene disse di tutti i colori. Il nostro sostenne che era colpa dell'altro perché non era lui ad averlo pestato, ma l'altro che aveva messo il piede sotto il suo. La Germania, in Europa, da sempre, si comporta così nei confronti degli altri Stati membri: quando l'Unione pesta i piedi a qualche Stato la Germania è sempre europeista, quando l'Unione medesima pesta i piedi a lei (cosa che avviene molto raramente perché in Europa comanda la Germania, con temporanea e intermittente partecipazione della Francia), allora, in quei rarissimi casi, l'Europa sbaglia. In altre parole finché c'è da trovare il pelo nell'uovo degli altri la Germania fa la frittata, quando le uova sono le sue non si trovano più neanche i gusci.
È avvenuto così con il pronunciamento della Corte costituzionale tedesca nel quale sostiene che la Bce, comprando i titoli del debito pubblico dei Paesi europei, ha fatto qualcosa che va al di là dei suoi poteri e, quindi, illegittimo. Sbagliato. La sentenza riguarda l'operato della banca da Draghi oggi, lo stesso Draghi che, durante la crisi del 2012, a un giornalista che gli chiese cosa avrebbe fatto la Banca centrale europea per aiutare l'Europa a superare la crisi, rispose con il famoso «whatever it takes», qualsiasi cosa ci sia da fare, la aiuteremo a qualunque costo. La Germania, Draghi, non lo ha mai digerito un granché, e sapete perché? Perché faceva quello che doveva fare, agiva in modo autonomo rispettando il mandato che gli era stato dato, senza rispondere ai diktat della Germania stessa. Che strano che la sentenza sia arrivata poco dopo che Draghi ha lasciato, pensa un po'. Certo la presidenza della Lagarde è più debole di quella Draghi e la Germania, ora, si sente più forte.
Perché deve preoccuparci molto questa sentenza? Che effetti può avere? Cosa potrebbe voler dire per l'Italia? C'è da notare che la Corte europea di giustizia aveva sentenziato, al contrario della Corte tedesca, a favore dell'operato della Bce. Ebbene, la Germania, attraverso il suo presidente della Corte costituzionale tedesca ha mandato a dire in Lussemburgo, dove ha sede la corte europea, che ha sbagliato e che l'interpretazione tedesca è quella giusta. Insomma la Corte europea è nata con lo scopo di controllare se gli atti dell'Unione e delle istituzioni non vadano contro i Trattati europei firmati da tutti gli Stati membri.
Diciamo che è la Corte costituzionale europea. Ecco la Germania ritiene la propria Corte, di fatto, sia superiore a quella europea. Sarebbe come se il Piemonte sostenesse che una sentenza della Corte costituzionale sia meno importante di una sua legge e che alla sua legge debba conformarsi la Corte costituzionale, e non il contrario.
Capite la gravità? Almeno fino ad ora la Germania dettava legge - lo sanno anche le pietre -, ha fatto sempre quello che le è parso, ma ha sempre rispettato un po' di galateo. No, da questa sentenza, ha deciso che la sua legge è superiore alla legge europea. Quindi vorrebbe influenzare la politica della Bce sui suoi interessi e non su quelli degli Stati europei, meno ancora su quelli degli Stati in difficoltà. Quindi vorrebbe sospendere o ridurre l'acquisto dei titoli di Stato mettendo potenzialmente in ginocchio l'economia di vari Paesi tra i quali il nostro, solo per il fatto che essa non ne ha un gran bisogno.
Da quando esiste l'Unione europea, a tanto non si era mai arrivati. In molti si sono svegliati dal sonno, ultimamente, affermando che il coronavirus metterà in gioco l'Europa, perché si vedrà se c'è per fare qualcosa di utile o no. Questa sentenza tedesca è, per certi versi, peggio ancora, perché mina le basi stesse del diritto europeo, la cui creazione è stata tutt'altro che facile. Saprà rispondere l'Europa? Certo di Kohl, Delors, Mitterand non se ne vedono in giro e quando non ci sono leader chiunque si sente incaricato di alzare la voce. Son gridolini, e pure stonati, ma emessi da chi ha le leve del potere. Speriamo in bene.







