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Parla il professor Francesco Vaia e smonta la campagna ansiogena sul monkeypox. E fornisce qualche indicazione anche sulla commissione covid.
Parla il professor Francesco Vaia e smonta la campagna ansiogena sul monkeypox. E fornisce qualche indicazione anche sulla commissione covid.
Il popolo ha freddo e fame, l’Europa gli darà i vaccini.
L’Hera, l’Autorità Ue per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, ha annunciato ieri di essersi assicurata altre 170.920 dosi del vaccino di terza generazione contro il vaiolo, prodotto dalla danese Bavarian Nordic. Le fiale per il monkeypox, che saranno consegnate a fine anno, si aggiungono a quelle acquistate direttamente dalla Commissione, attualmente in distribuzione agli Stati membri, per un totale di 334.540 punturine disponibili.
A Bruxelles, dunque, continua a tirare aria di improrogabile urgenza. E la soluzione è sempre la solita: riempire gli hub, inseguire la gente con la siringa. Per adesso, vaccinando solo le categorie a rischio, in primis gli uomini omosessuali. Poi, chissà: la casa farmaceutica scandinava, che prima era in perdita, ha rivisto al rialzo i risultati finanziari attesi nel 2022, stimando guadagni per oltre 400 milioni di euro. Essa, perciò, dovrebbe poter migliorare la propria capacità produttiva. E siccome è l’offerta a creare la domanda, vuoi che, presto o tardi, la profilassi non sarà raccomandata a tutti? Vaccino più, vaccino meno: hai fatto trenta dosi, fanne trentuno.
Il fatto è che la temibile epidemia di vaiolo delle scimmie, che in tutto il globo ha ucciso 18 persone, adesso sta rallentando. Martedì, il bollettino dell’Oms parlava di un calo del 25,5% dei casi nel mondo. In Italia, secondo l’ultima rilevazione del ministero, le nuove infezioni sono state 27. Non sembrano cifre e tendenze allarmanti. Tant’è che Stella Kyriakides, commissario Ue alla Salute, ha sentito il bisogno di giustificare il tempismo dell’ennesimo acquisto. Del quale, manco a dirvelo, sono ignoti i dettagli: non pervenuto il contratto, mai comunicato il prezzo delle dosi, comprate a spese dei contribuenti. D’altro canto, ha detto la Kyriakides, «benché abbiamo osservato che il numero di casi di monkeypox nell’Ue è diminuito nelle ultime settimane, la minaccia non è passata e non possiamo abbassare la guardia». Gli efori delle emergenze perenni parlano come dischi rotti: non è finita, non rilassiamoci, manteniamo alta l’attenzione.
Ma il messaggio più surreale è stato quello del direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus: «Quando il trend dei contagi è in calo», ha ammonito, «può essere il momento più pericoloso, se apre al compiacimento». È logico: non vorrete mica compiacervi allorché le infezioni diminuiscono? Se sono tante, dovete stare all’erta; se sono poche, non potete comunque distrarvi. «L’Organizzazione mondiale della sanità», ha proseguito il suo numero uno, «continua a raccomandare che tutti i Paesi insistano con una combinazione di misure». Ovvero, «i test, la ricerca e le vaccinazioni mirate». E non dimentichiamoci la castità, che i colleghi di Adhanom, qualche tempo fa, suggerivano persino agli inoculati, per la stessa ragione che abbiamo imparato a conoscere con il Covid: il vaccino, molto probabilmente, non scherma dal contagio. Già verso la metà di agosto, gli esperti Oms avevano registrato episodi di breakthrough infections, circostanza che li aveva spinti a mettere le mani avanti: il vaccino contro il monkeypox, chiosavano, «non è un proiettile d’argento». Ora cominciano ad arrivare significative conferme sperimentali.
Un preprint uscito a inizio settembre, vergato da un team di scienziati olandesi, rivela che «un ciclo primario di immunizzazione» con il prodotto della Bavarian Nordic «genera livelli relativamente bassi di anticorpi neutralizzanti» per il vaiolo delle scimmie. A ciò si aggiunge la totale incertezza - analoga a quella che circondava i vaccini anti Covid, inclusi quelli aggiornati - sul «correlato di protezione»: non è chiaro quanti anticorpi siano necessari per rendere completamente inoffensivo il virus. Tanto più che, per evitare sprechi, l’Ema aveva approvato la procedura di somministrazione intradermica. Risparmiare dosi, tuttavia, rischia di comprimere ulteriormente il livello di anticorpi suscitati dall’iniezione. Il punto è che il vaccino di terza generazione, pensato invero per il vaiolo umano, non è stato testato nemmeno per quella malattia, per fortuna eradicata; figuriamoci sul monkeypox, patogeno simile, ma non identico, a quello che ha flagellato per millenni l’umanità.
Qualche garanzia in più, secondo uno studio pubblicato dal Journal of medical virology, la offrirebbe la vecchia antivaiolosa, che fu praticata in Italia fino al 1981: gli over 40 entrati in contatto con il virus delle scimmie si sono contagiati, ma in forma lieve o asintomatica. Una storia che abbiamo già sentito da qualche parte…
La sequenza del copione è sempre identica e porta regolarmente dal panico al vaccino, magari senza passare per i trial clinici. Sperimentare a vivo costa meno - anzi, fa guadagnare le aziende - e permette di raccogliere molti più dati. Allora, saremo tutti adulti e vaccinati? Nell’era delle pandemie, come l’ha chiamata Ursula von der Leyen, i cittadini li vaccinano eccome - con le buone o con le cattive. Però è difficile che li trattino da adulti.
I dati sull’epidemia di vaiolo delle scimmie (monkeypox) evidenziano una situazione sanitaria da considerare seriamente. Piaccia o no, il 98% delle infezioni riguarda uomini gay o bisessuali, il 41% dei positivi al monkeypox ha anche il virus dell’Hiv e il 29% soffre già di altre infezioni a trasmissione sessuale (Sti). Sono i dati di un ampio studio pubblicato a luglio sul New England journal of medicine (Nejm) e in linea con i numeri registrati dagli enti per il controllo delle malattie europeo (Ecdc), americano (Cdc) e dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Sin dalla comparsa dei primi casi nei Paesi occidentali, a maggio, l’Oms ha dichiarato che «il 99% dei casi riguarda persone di sesso maschile, il 98% uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini» e ha chiesto loro di «ridurre il numero di partner, di riconsiderare i rapporti intimi con nuovi partner e di scambiarsi le informazioni di contatto per consentire il follow up». Lo studio del Nejm conferma i numeri e descrive con maggiore precisione una situazione sanitaria che interessa un gruppo preciso della comunità Lgbtq+. Su 528 casi - il 98% maschi con età media 38 anni di 16 Paesi - il 95% dei contagi si è verificato durante i rapporti intimi tra uomini. Quasi uno su due aveva l’Hiv e quasi tre su dieci un’altra infezione a trasmissione sessuale. Dal punto di vista clinico, con un’incubazione media di sette giorni e malattia di due o tre settimane, i disturbi riportati riguardavano rush cutaneo, con la formazione delle tipiche pustole infette (95%) e lesioni ano-genitali (73%), insieme a febbre, malessere, stanchezza e dolore. Non si sono verificati decessi, ma il 13% ha richiesto il ricovero per dolore.
Anche uno studio pubblicato a inizio agosto su The Lancet, che ha esaminato 181 casi di vaiolo delle scimmie in Spagna, ha rivelato che il 92% interessava uomini gay o bisessuali e il 40% delle persone conviveva con il virus dell’Aids (Hiv).
«È un’indicazione indiretta della circolazione di infezioni legate ad abitudini omosessuali», spiega Giovanni Di Perri, direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino. Il monkeypox «è un’infezione che si trasmette per contatto stretto e prolungato, non necessariamente sessuale». Partita «dalle Canarie», durante un evento Gay pride si «è trasferita», continua l’infettivologo, «ad Anversa, a Madrid, nelle saune, e ha continuato a circolare all’interno della comunità omossessuale», che si sposta come località, ma rimane circoscritta. «Qualcosa di simile», ricorda Di Perri , «è successo circa cinque anni fa con l’epatite A, malattia che si trasmette per via alimentare, ma che si è riscontrata in comunità gay-bisex con contagio per via sessuale. Allora», aggiunge, «la comunità omosessuale si è attivata, come anche adesso».
Il problema riguarda «i rapporti promiscui, è difficile che questa malattia colpisca l’omosessuale con un rapporto stabile: interessa omo e bisessuali che hanno più partner», concorda Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. La questione è delicata. «Appena uno dice che la campagna vaccinale, per una malattia che colpisce nel 90-95% dei casi giovani omossessuali, va indirizzata a loro, passa da omofobo. Io non devo essere politically correct, ma scientifically correct», ricorda lo specialista difendendo il ruolo della scienza medica su questioni sanitarie. Certo, «sarebbe più giusto essere più selettivi e consigliarla a chi ha comportamenti a rischio», precisa il medico, che sottolinea: «La cosa peggiore in medicina e scienza è farsi influenzare, in prevenzione e cura, da condizioni sociologiche». Adesso, anche per Bassetti, «va meglio» rispetto alla prima fase, aprile-maggio, quando «è mancato il coraggio di dire le cose in modo chiaro». Oggi sono circa 50.000 i casi a livello globale (800 in Italia) ma se ne stimano 4-5 volte di più. «L’infezione», riflette, «sta continuando a correre e non dobbiamo fare finta di niente, ma fare una vaccinazione indirizzata alle persone più a rischio per rapporti plurimi, sia omo che etero, che misti». Per questa infezione si conosce il virus, abbiamo il vaccino e le cure. «Non è l’Hiv/Aids degli anni Ottanta-Novanta, di cui non conoscevamo il virus, non avevamo - e non abbiamo - vaccini e mancavano le cure», precisa l’infettivologo genovese.
Il monkeypox potrebbe essere la spia di una formazione sanitaria che, partita 40 anni fa con l’Aids, non è cresciuta di pari passo con la difesa dell’orgoglio gay. Bisognerebbe ritornare a fare informazione, concordano gli specialisti. «Negli ultimi dieci anni si è completamente dimenticata la campagna di prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, i cui numeri aumentano», chiarisce Bassetti. «Non basta dire di usare il preservativo», va ricordato di avere rapporti sessuali «in maniera responsabile e, in presenza di sintomi, andare dal medico. Sull’argomento», conclude, «entrano spesso purtroppo in campo concetti di sociologia, più che la scienza medica».
Il professor Shmuel Shapira, direttore dell’Istituto israeliano per la ricerca biologica dal 2013 al 2021, ha affermato che l’epidemia di vaiolo delle scimmie era correlata ai vaccini mRna. Anche noi cafoni, meno qualificati, eravamo arrivati alla stessa conclusione. Era sufficiente osservare la mappa del mondo su cui sono segnalati i casi.
In Africa, dove le scimmie ci sono, i casi di vaiolo delle scimmie sono invece pochissimi. L’epidemia si scatena nelle regioni occidentali sottoposte a inoculazione di sieri genici erroneamente spacciati per vaccini. La stessa cosa sta succedendo per l’herpes zoster, malattia che può anche essere una maledizione che ti distrugge la vita, soprattutto nelle apocalittiche forme post inoculazione. Mentre l’Oms si scatena lieta e giuliva per la nuova pandemia con cui terrorizzare il mondo e riempirlo di ottimi vaccini, non è più possibile tenere nascosta l’informazione che il 98% dei contagiati sono individui di sesso maschile che hanno praticato rapporti anali. Come medico, come endoscopista, come chirurgo testimonio che il rapporto anale è quanto di più pericoloso e anti igienico possa esistere nel campo delle relazioni umane. Il tubo digerente non è un organo ricreativo, non è quindi stato programmato per queste attività. Ha un carattere astioso e solitario, il rapporto anale moltiplica per 10 il rischio di malattie sessualmente trasmissibili per una persona che lo subisce. A questo si aggiunga lo stile di vita estremamente promiscuo di molti uomini con comportamento omoerotico: sono stati contati fino a 300 partner diversi in un anno. Secondo le ultime statistiche, questo stile di vita può moltiplicare fino a 140 volte il rischio di malattie sessualmente trasmissibili, rendendo malattie sessualmente trasmissibili pure quelle parassitarie come per esempio la giardiasi e l’amebiasi.
Leo Bersani, attualmente considerato uno dei maggiori teorici queer, scrive in incredibili saggi, che sono libri di testo nelle facoltà di sociologia e psicologia, dell’assoluta importanza per il mondo gay non solo della promiscuità sessuale, ma di comportamenti come il barebacking (cavalcare nudi, vuol dire sesso anale non protetto) e il bugchasing (ricerca volontaria del contagio). Tutti paghiamo il barebacking.
La sifilide, la gonorrea, l’Aids sono malattie curabili. Nel momento in cui sono sotto cura, smettono di essere contagiose. Quindi nei Paesi occidentali, dove i chemioterapici che le tengono sotto controllo sono disponibili, queste tre patologie dovrebbero essere estinte. Sono al contrario in continuo aumento. E, grazie al fatto che non si estinguono, queste tre malattie stanno diventando resistenti ai chemioterapici.
La sifilide, la gonorrea, l’Aids non restano confinate alle dark room, che nessun virologo ha mai osato nominare e disapprovare, limitandosi a condannare messe e pranzi di Natale. Le persone cosiddette bisessuali fanno schizzare l’infezione anche nel corpo delle donne e in quelli dei loro figli. Occorre ricordare che l’omerotismo, impropriamente chiamato omosessualità, non ha nulla di genetico. Ormai è stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio. È un comportamento acquisito che, come è stato acquisito, può essere perduto. Non è un destino, è uno stile di vita, che, sia pure con grandissima fatica e determinazione e con tempi lunghi, può essere completamente abbandonato. Per la cosiddetta pandemia Covid, i cittadini sono stati rinchiusi, è stato vietato ai bambini di uscire a giocare nei parchi, sono state vietate le messe, sono stati vietati i comportamenti umani più normali come respirare e abbracciarsi. Non è stato disapprovato, sconsigliato mai il rapporto anale, eppure è un veicolo preferenziale anche per Covid 19, ma sarebbe stato politicamente scorretto: meglio che la gente muoia piuttosto che essere accusati di omofobia.
Queste sono alcune delle affermazioni fatte contro le persone che hanno rifiutato l’inoculazione di sieri genici con scarsissima efficacia nel prevenire la malattia Covid e con gravissimi effetti collaterali, per imporre dolore e disprezzo a coloro che hanno rifiutato: «Vanno sfamati col piombo, serve Bava Beccaris» (Giuliano Cazzola, politico); «Gli bucherei 10 volte la vena fingendo di non prenderla» (un’infermiera dipendente della Asl Toscana nord ovest); «I rider devono sputare nel loro cibo» (David Parenzo, giornalista); «Mi divertirei a vederli morire come mosche» (Andrea Scanzi, giornalista); «Vorrei che il virus gli mangi gli organi e li riduca in poltiglia verde» (Selvaggia Lucarelli, influencer); «Vanno perseguiti come si fa con i mafiosi» (Matteo Bassetti, infettivologo); «La soluzione è una sola: campo di concentramento. Fosse per me costruirei anche due camere a gas» (Marianna Rubino, cardiologo); «I cani possono sempre entrare. Solo voi, come è giusto, resterete fuori» (Sebastiano Messina, giornalista); «I novax sono i nostri talebani» (Giovanni Toti, presidente Regione Liguria); «Verranno messi ai domiciliari, chiusi in casa come sorci» (Roberto Burioni, virologo); «Il loro invito a non vaccinarsi è un invito a morire» (Mario Draghi, presidente del consiglio); «Li intubo senza anestesia e poi gli chiedo come stanno» (Sara Dalla Torre, infermiera); «Creano terrorismo e terrore, vanno arrestati» (Paolo Guzzanti, giornalista).
Abbiamo annientato il concetto dell’habeas corpus, il diritto all’inviolabilità del proprio corpo, abbiamo costretto alla fame e alla derisione persone che volevano restare i padroni della propria dignità e della propria anima, oltre che del proprio corpo; e non si può disapprovare il rapporto anale? Chi ha rifiutato i sieri ha ricevuto disprezzo e l’ordine di vergognarsi. Sarebbe lecito disapprovare, sia pure con termini molto meno violenti di questi, francamente disumani, un comportamento che riempie la società di problemi sanitari e moltiplicando i costi? Dopo aver criminalizzato l’andare a correre o abbracciarci, potremmo piantarla di presentare i nostri antenati come dei criminali per aver disapprovato e vietato pratiche che in epoca pre antibiotica erano disastrose per tutti? Al contrario. Fiumi di quattrini vengono sperperati perché persone che hanno un comportamento omoerotico restino al sicuro dall’informazione che il loro è un comportamento, non un destino, e che possono abbandonarlo, e fiumi di denaro vengono sperperati perché il comportamento che dovrebbe essere criticato non lo sia, ma anzi, venga venduto come normale, sano e non criticabile. Ultimo è stato il Comune di Roma che organizzato corsi di formazione dei dipendenti a contatto col pubblico per insegnare a rapportarsi correttamente con queste persone in «un clima di rispetto e competenza», vale a dire usando termini che non possono mai far venire il dubbio che si tratti di un comportamento e non di un destino e che sia un comportamento gravato da alte patologie.
Tutto questo mentre la sanità è allo sfascio per mancanza di fondi.
Posto che gli stati di emergenza consentono di attivare poteri straordinari in deroga alle leggi, quali sono oggi gli standard per valutare quando deve scattare un’emergenza sanitaria? Se lo sono chiesto i membri del comitato consultivo dell’Oms, scavalcati sabato scorso dal direttore generale: Tedros Ghebreyesus ha infatti stabilito che il vaiolo delle scimmie (Monkeypox) è «un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale» (Pheic), che - ironia - si pronuncia «fake», nonostante 6 su 9 dei componenti il comitato avessero espresso il proprio diniego sull’opportunità di lanciare l’allarme. Alcuni hanno rivelato a Reuters, sotto anonimato, l’insolita forzatura imposta dal direttore: «In passato, Tedros ha sempre seguito le raccomandazioni della nostra commissione, la decisione è stata presa senza il parere favorevole della maggioranza». Non è tutto: ieri l’Oms ha dichiarato che, siccome «il vaccino da solo non può fermare l’epidemia di vaiolo delle scimmie», bisogna, «per il momento» «adottare misure per ridurre questo rischio». Per esempio - secondo il direttore dell’ufficio europeo Hans Kluge - «vanno limitati i partner sessuali e le interazioni». Con l’inatteso «upgrade» deciso autonomamente da Gebreyesus, il vaiolo delle scimmie si è aggiunto alle altre due (uniche) malattie classificate, nella scala dei rischi dell’Oms, come «emergenze globali», la pandemia Covid (dichiarata tale il 30 gennaio 2020 con 170 morti e 1.370 caso gravi) e la poliomielite. Un invito a nozze per media e virostar: ieri Matteo Bassetti segnalava «1.700 casi in un giorno».
Eppure gli ultimi dati Owid rivelano un incremento a livello mondiale di un contagiato in più in tutto il mondo dal 22 al 23 luglio (da 16.922 a 16.923), 15 contagi in più dal 23 al 24 luglio (da 16.923 a 16.938) e 218 contagi in più - in un mondo popolato da circa 8 miliardi di persone - dal 24 al 25 luglio (da 16.938 a 17.956). Numeri al lotto sparati anche da altre testate italiane, come il Corriere della Sera che riferisce «record di contagi» riportando la stessa fake news dei 1.700 casi al giorno e Sanità Informazione che rende noto che «un italiano su tre teme il vaiolo delle scimmie, cresce l’emergenza». E allora, quali sono le evidenze che terrorizzano Gebreyesus, spingendo l’Oms a bypassare il parere degli esperti e a invocare, già ora, misure integrative al vaccino? Cosa fa diventare «emergenza sanitaria globale» una malattia che in tre mesi ha causato cinque morti in tutto il mondo, concentrati solo in Nigeria e Congo, dove la malattia, trattabile, esiste dal 1970?
Sembra di rivedere lo stesso film di inizio 2020, e i bollettini giornalieri concentrati più sui contagi che sulle morti. Per l’Oms contano di più i casi o i decessi? Ecco i numeri: 17.156 casi segnalati e 5 decessi in tutto il mondo. «Si tratta di un focolaio che si concentra tra gli uomini che fanno sesso con uomini (Msm, ossia «men who have sex with men»), in particolare quelli con più partner sessuali», ha dichiarato Gebreyesus, circoscrivendo la platea in cui il Monkeypox si diffonde. Le evidenze indicano una minaccia talmente poco temibile che perfino il ministero della Salute l’ha qualificata come non preoccupante: secondo Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione, «In Italia finora sono stati registrati 407 casi (e nessun decesso, ndr) con tendenza alla stabilizzazione. La situazione è sotto costante monitoraggio ma non si ritiene debba destare particolari allarmismi». Numeri sconcertanti per la loro trascurabilità, rispetto ad altre emergenze sanitarie che non sono riuscite a scalare la classifica dei rischi, nonostante abbiano tassi di mortalità più significativi.
Prendiamo ad esempio la tubercolosi, definita dall’Oms «tredicesima causa di morte al mondo e secondo killer infettivo dopo il Covid-19» (eppure, mai classificata come «emergenza sanitaria mondiale», misteri dell’epidemiologia): un totale di 1,5 milioni di persone sono morte nel 2020 (dati Oms) per Tbc, una malattia che avrebbe bisogno di 13 miliardi di stanziamenti l’anno per curarla. Secondo le ultime stime dell’Organizzazione, circa un quarto della popolazione mondiale ha un’infezione da tubercolosi (per usare termini che ci sono noti, sono «positive» alla Tbc), dunque sono infettate ma non (ancora) malate. O ancora, la meningite batterica, «malattia grave» per i Cdc americani: si stimano 1,2 milioni di casi di meningiti batteriche ogni anno nel mondo, con 135.000 decessi l’anno. Pochi? La morte può verificarsi in poche ore e l’infezione può causare disabilità permanenti e danni cerebrali.
Secondo i dati epidemiologici dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), la meningite meningococcica provoca il decesso nell’8-14% dei pazienti colpiti. In assenza di cure adeguate, il tasso di mortalità sale addirittura al 50%. Due pesi e due misure anche per la malaria: nel 2018 ci sono stati, secondo i dati Ecdc-OMS, 228 milioni di casi di malaria nel mondo e 405.000 decessi, vale a dire una media di 1.109 morti al giorno, eppure l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha classificato la malaria «emergenza globale», forse perché è una delle prime dieci cause di morte soltanto nei Paesi a basso reddito. E il morbillo? Nel 2018 ci sono stati più di 140.000 decessi per morbillo a livello globale, per lo più tra i bambini di età inferiore ai cinque anni, e soprattutto nei Paesi a basso reddito.
L’Italia, per fare un altro esempio, ha un triste primato per le infezioni ospedaliere: circa 50.000 l’anno (il 30% di tutte le morti per sepsi nei Paesi Ue), una strage che passa davanti ai nostri occhi nell’indifferenza, forse perché per risolverla basterebbero investimenti nelle strutture sanitarie. Ma le politiche sanitarie mondiali puntano più alle malattie che ai malati.
Sarà forse per questo che l’altro ieri la Commissione europea ha autorizzato la commercializzazione del vaccino Imvanex come protezione contro il vaiolo delle scimmie, raccomandato la scorsa settimana dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema). L’approvazione è arrivata il giorno dopo che l’Oms ha dichiarato il Monkeypox «emergenza sanitaria globale». Tempestivi.

