
Il «New England journal of medicine» getta luce sul vaiolo delle scimmie: nel 98% dei casi si tratta di uomini gay o bisex e il 29% ha già altre infezioni. L’esperto: «Il problema è la promiscuità».I dati sull’epidemia di vaiolo delle scimmie (monkeypox) evidenziano una situazione sanitaria da considerare seriamente. Piaccia o no, il 98% delle infezioni riguarda uomini gay o bisessuali, il 41% dei positivi al monkeypox ha anche il virus dell’Hiv e il 29% soffre già di altre infezioni a trasmissione sessuale (Sti). Sono i dati di un ampio studio pubblicato a luglio sul New England journal of medicine (Nejm) e in linea con i numeri registrati dagli enti per il controllo delle malattie europeo (Ecdc), americano (Cdc) e dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Sin dalla comparsa dei primi casi nei Paesi occidentali, a maggio, l’Oms ha dichiarato che «il 99% dei casi riguarda persone di sesso maschile, il 98% uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini» e ha chiesto loro di «ridurre il numero di partner, di riconsiderare i rapporti intimi con nuovi partner e di scambiarsi le informazioni di contatto per consentire il follow up». Lo studio del Nejm conferma i numeri e descrive con maggiore precisione una situazione sanitaria che interessa un gruppo preciso della comunità Lgbtq+. Su 528 casi - il 98% maschi con età media 38 anni di 16 Paesi - il 95% dei contagi si è verificato durante i rapporti intimi tra uomini. Quasi uno su due aveva l’Hiv e quasi tre su dieci un’altra infezione a trasmissione sessuale. Dal punto di vista clinico, con un’incubazione media di sette giorni e malattia di due o tre settimane, i disturbi riportati riguardavano rush cutaneo, con la formazione delle tipiche pustole infette (95%) e lesioni ano-genitali (73%), insieme a febbre, malessere, stanchezza e dolore. Non si sono verificati decessi, ma il 13% ha richiesto il ricovero per dolore. Anche uno studio pubblicato a inizio agosto su The Lancet, che ha esaminato 181 casi di vaiolo delle scimmie in Spagna, ha rivelato che il 92% interessava uomini gay o bisessuali e il 40% delle persone conviveva con il virus dell’Aids (Hiv). «È un’indicazione indiretta della circolazione di infezioni legate ad abitudini omosessuali», spiega Giovanni Di Perri, direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino. Il monkeypox «è un’infezione che si trasmette per contatto stretto e prolungato, non necessariamente sessuale». Partita «dalle Canarie», durante un evento Gay pride si «è trasferita», continua l’infettivologo, «ad Anversa, a Madrid, nelle saune, e ha continuato a circolare all’interno della comunità omossessuale», che si sposta come località, ma rimane circoscritta. «Qualcosa di simile», ricorda Di Perri , «è successo circa cinque anni fa con l’epatite A, malattia che si trasmette per via alimentare, ma che si è riscontrata in comunità gay-bisex con contagio per via sessuale. Allora», aggiunge, «la comunità omosessuale si è attivata, come anche adesso». Il problema riguarda «i rapporti promiscui, è difficile che questa malattia colpisca l’omosessuale con un rapporto stabile: interessa omo e bisessuali che hanno più partner», concorda Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. La questione è delicata. «Appena uno dice che la campagna vaccinale, per una malattia che colpisce nel 90-95% dei casi giovani omossessuali, va indirizzata a loro, passa da omofobo. Io non devo essere politically correct, ma scientifically correct», ricorda lo specialista difendendo il ruolo della scienza medica su questioni sanitarie. Certo, «sarebbe più giusto essere più selettivi e consigliarla a chi ha comportamenti a rischio», precisa il medico, che sottolinea: «La cosa peggiore in medicina e scienza è farsi influenzare, in prevenzione e cura, da condizioni sociologiche». Adesso, anche per Bassetti, «va meglio» rispetto alla prima fase, aprile-maggio, quando «è mancato il coraggio di dire le cose in modo chiaro». Oggi sono circa 50.000 i casi a livello globale (800 in Italia) ma se ne stimano 4-5 volte di più. «L’infezione», riflette, «sta continuando a correre e non dobbiamo fare finta di niente, ma fare una vaccinazione indirizzata alle persone più a rischio per rapporti plurimi, sia omo che etero, che misti». Per questa infezione si conosce il virus, abbiamo il vaccino e le cure. «Non è l’Hiv/Aids degli anni Ottanta-Novanta, di cui non conoscevamo il virus, non avevamo - e non abbiamo - vaccini e mancavano le cure», precisa l’infettivologo genovese. Il monkeypox potrebbe essere la spia di una formazione sanitaria che, partita 40 anni fa con l’Aids, non è cresciuta di pari passo con la difesa dell’orgoglio gay. Bisognerebbe ritornare a fare informazione, concordano gli specialisti. «Negli ultimi dieci anni si è completamente dimenticata la campagna di prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, i cui numeri aumentano», chiarisce Bassetti. «Non basta dire di usare il preservativo», va ricordato di avere rapporti sessuali «in maniera responsabile e, in presenza di sintomi, andare dal medico. Sull’argomento», conclude, «entrano spesso purtroppo in campo concetti di sociologia, più che la scienza medica».
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