2022-02-06
Il caos sul Superbonus 110% serve al governo per chiudere i rubinetti
Cambio all’ultimo per i termini entro cui sono ammesse le cessioni multiple dei crediti, mentre Poste e Cdp mettono tutto in freezer. La misura sgradita a Mario Draghi è destinata a diventare di fatto inutilizzabile.Il caos legato al Superbonus 110% è tutto di natura politica. L’ennesimo giro di vite, infatti, voluto con il decreto Sostegni ter - secondo cui dal 27 gennaio non si possono vendere più di una volta i crediti fiscali frutto di cessione o sconto in fattura -ha di fatto determinato il blocco del sistema. Con l’obbiettivo, almeno sulla carta, solo di fermare le truffe legate al Superbonus (per un valore accertato di circa 4 miliardi di euro), il decreto ha spinto due grossi acquirenti di credito sul mercato come Cdp (con un portafoglio di credi di imposta di circa 400 milioni) e Poste italiane (con uno stock da 3,9 miliardi) a prendersi una lunga pausa di riflessione che potrebbe anche essere definitiva. Secondo quanto risulta alla Verità, infatti, ci sarebbe un chiaro intento politico di azzoppare la norma nel lungo periodo e per questo alcune aziende che rilevano il credito si starebbero già chiedendo se chiudere i giochi per sempre. Il caos riguarda in particolar modo il periodo transitorio in cui saranno ancora ammesse le cessioni multiple: se in un primo momento il limite era il 6 febbraio, ora è stato spostato al 16 e anche questo genera confusione. Ma la questione inedita è che la proroga è stata resa pubblica con un comunicato stampa arrivato prima dell’approvazione di un provvedimento ad hoc. Il 3 febbraio, infatti, l’Agenzia delle entrate ha annunciato un provvedimento in arrivo, ma non ancora ufficiale, che sposta più in là la scadenza della comunicazione di dieci giorni a causa dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento dei sistemi che consentono la trasmissione telematica delle opzioni. Così, l’invio delle comunicazioni relative agli interventi agevolabili per gli anni 2020, 2021 e 2022 è stato spostato alla mezzanotte del 16 febbraio 2022.Più nel dettaglio, l’Agenzia delle entrate ha messo a disposizione dei contribuenti un nuovo modulo per comunicare le opzioni di cessione o sconto in fattura relative ai bonus edilizi, tra i quali anche il Superbonus 110%. Il documento sostituisce l’ultimo provvedimento datato 8 agosto 2020. Appare chiaro, insomma, che nel caso del bonus edilizia la politica abbia scelto la direzione di una strada senza uscita. Il premier Mario Draghi, del resto, non era mai stato troppo convinto del Superbonus 110% e, pur avendolo inserito in manovra, sembrerebbe aver trovato lo stratagemma per affossarlo.Non è un segreto, infatti, che la norma sul Superbonus aveva incontrato i favori di diverse forze politiche, tra cui Lega, Movimento 5 stelle e Partito democratico. Ora, però, vista l’ultima stretta voluta proprio dal governo, sono in molti a essere saliti sulle barricate, consapevoli che la regola che prevede una stretta sulla cessione del credito potrebbe decretare il funerale del Superbonus e la fine di questo business per molti acquirenti del credito che per ora hanno messo solo in pausa la questione.Quello che è certo, quindi, è che gli effetti nefasti di questa stretta sono già ora sotto gli occhi di tutti. In primis perché, dopo anni di magra legati alla pandemia, la norma legata al bonus edilizio aveva regalato un po’ di ossigeno al settore e ai suoi lavoratori. Invece, ora, il rischio è di ripiombare nel baratro. Secondo una rilevazione dell’ufficio studi di Confartigianato, «sono a rischio le assunzioni di 127.000 lavoratori previste dalle imprese del settore nel primo trimestre del 2022». Il numero uno dell’associazione di artigiani e piccole imprese, Marco Granelli, spiega che «le restrizioni alla cessione del credito, assunte con il pur doveroso e condivisibile intento di contrastare le truffe, rischiano di affossare il mercato delle costruzioni, l’occupazione del settore, la propensione dei cittadini a effettuare interventi di manutenzione ed efficientamento energetico delle abitazioni, allontanando anche gli obiettivi di abbattimento delle emissioni ambientali. I segnali negativi arrivano già da una sensibile riduzione dei lavori conclusi ammessi a detrazione: a gennaio ammontano a 1.563 milioni di euro, un valore praticamente dimezzato (-46,2%) rispetto ai 2.904 milioni di dicembre 2021 (che aveva segnato un +87,5% rispetto a novembre 2021)».Inoltre, la nuova stretta ha anche innescato un problema di natura finanziaria. In pratica, la nuova norma taglierà fuori tutte le società di piccole e medie dimensioni. Prima, infatti, gli istituti - avendone la possibilità - rimettevano i crediti fiscali in circolo cedendoli attraverso operazioni che in pratica erano delle cartolarizzazioni e che permettevano alle stesse società di aumentare la raccolta. Ora, invece, questo non sarà più possibile e chi rileva il credito deve essere sicuro di avere imposte sufficienti da compensare nei prossimi anni con i crediti acquistati. «L’unica alternativa sono le banche», spiegava al Sole 24 Ore qualche giorno fa Gianmarco Dotta, presidente di Assoconfidi, «Ma la nuova norma che vieta le cessioni multiple dei crediti fiscali ridurrà anche i margini di manovra degli istituti di credito, che dovranno fare i conti con la loro capienza fiscale e quindi finiranno per riservare questo servizio solo ai loro clienti».