2023-03-28
«Sull’immigrazione Europa, Fao e Onu finora hanno fallito»
Monsignor Michele Pennisi (Imagoeconomica)
L’ex arcivescovo di Monreale, Monsignor Michele Pennisi: «A chi annega nel Mediterraneo è stato tolto il diritto primario: vivere in pace nella propria patria».Dei migranti devono farsi carico tutti gli Stati dell’Unione europea. Monsignor Michele Pennisi, arcivescovo emerito di Monreale, parte da questo assunto per smontare quell’approccio da «accoglienza sul bagnasciuga», che finora ha lasciato solo il nostro Paese davanti a un fenomeno sempre più difficile da gestire. E precisa: «La Sicilia e l’Italia sono la porta d’Europa, quindi l’immigrazione è problema europeo e mondiale». Un problema per affrontare il quale - come da sempre esorta la Chiesa - è necessario uno sguardo globale su cause e implicazioni, se si vogliono davvero impostare soluzioni più umane, giuste, efficaci. Questo sguardo non può trascurare il primo diritto di ogni essere umano: quello a non dover emigrare, e dunque a vivere in pace e prosperità nella propria terra. Papa Francesco è infatti sempre stato chiaro - sebbene poco citato - nel ricordare che «la promozione umana dei migranti e delle loro famiglie comincia dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare, ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza» (dal discorso ai partecipanti al Forum internazionale «Migrazioni e pace», 2017) È questo un principio molto importante cui si collegano dei doveri: il primo è quello della comunità internazionale e delle grandi potenze, che invece di intervenire (poco e male peraltro) sulle conseguenze, dovrebbero andare alle cause, da un lato smettendo di destabilizzare alcune aree geopolitiche, di armare e finanziare Stati corrotti, di sfruttare le risorse di tanti Paesi africani; dall’altro affrontando i problemi che nei Paesi di partenza costringono le persone ad andarsene. Il secondo dovere, in tal caso di chi emigra, è di verificare se non ci siano le condizioni e le possibilità per rimanere e contribuire al rilancio del proprio Paese. Non a caso - e anche questa è una posizione della Chiesa costantemente ignorata - molti vescovi africani periodicamente invitano i propri connazionali a non andarsene, a non farsi abbindolare da proposte di un benessere che spesso non c’è e da promesse illusorie che invece finiscono per produrre drammi peggiori, ma di rimanere e contribuire al benessere del proprio Paese.Questa è davvero «l’altra storia» sulla questione delle migrazioni, della quale parliamo in questa intervista con il presule siciliano.Eccellenza, come affrontare costruttivamente un fenomeno che si aggrava di giorno in giorno?«La tragedia di cui il Mediterraneo è diventato teatro quotidiano scaturisce dalla violazione di quel diritto umano primario che è poter vivere in pace e serenità nella propria patria. All’origine delle migrazioni ci sono guerre (spesso aizzate proprio dall’Occidente), carestie, iniqua distribuzione delle risorse. Mi diceva in questi giorni una suora proveniente dal Sahel che la povertà sta peggiorando e la fame spinge le persone a fare qualsiasi cosa. Una situazione drammatica di fronte alla quale l’Europa ha diminuito i propri interventi, laddove Cina, Russia e Turchia hanno investito. Sono stato più volte a visitare la Tanzania, da dove pochi partono grazie agli investimenti cinesi e alla stabilità politica. C’è bisogno allora di una specie di piano Marshall - o di un «piano Mattei», come lo chiama l’Italia - per aiutare a non scappare e impedire che prosperino le mafie degli scafisti. Va anche detto che chi arriva in Europa, soprattutto dal Medio Oriente, non è sempre povero: ho conosciuto un uomo del Bangladesh che raccontava di come aveva raccolto 8.000 euro per andare in aereo in Egitto e da lì in Libia, dove è stato intercettato dalle milizie, costretto a lavorare nell’azienda di un poliziotto, depredato di tutto quello che aveva e poi spedito in Italia su un barcone. Tra l’altro non voleva rimanere da noi ma andare in Germania, come tanti dei migranti che sbarcano sulle nostre coste ma poi non possono proseguire. Ecco perché è fondamentale fare un discorso globale».Un approccio globale richiede anche, una volta che il migrante è arrivato, di approntare soluzioni non solo di solidarietà corta, ma strutturali e funzionali sistematicamente. Il Papa ha parlato in più occasioni di «accoglienza responsabile», attuata «con la virtù cristiana della prudenza», facendo «il calcolo» di quante persone ogni Paese può accogliere «con il cuore aperto ma fino a dove si può», perché abbiano una vita dignitosa.«L’accoglienza deve essere dignitosa, il che significa promozione della persona umana e vera integrazione, che tenga conto della cultura ospitante. Vanno incrementati i corridoi umanitari, intercettando alla partenza quanti hanno i mezzi e l’intenzione di dirigersi verso un determinato Paese. A noi servono immigrati regolari, che possano lavorare a condizioni eque nell’agricoltura, nell’industria, nell’edilizia. Purtroppo, oggi sono ammassati negli hotspot oppure sfruttati per lavori in nero, costretti a vivere in un continuo precariato».Il tema del lavoro oggi rischia di scatenare una guerra fra poveri: non a caso la Dottrina sociale della Chiesa anche su questo raccomanda alla politica di perseguire il bene comune, sia di chi arriva sia della società che accoglie.«Vero che in Sicilia c’è disoccupazione, ma ci sono anche lavori che i nostri giovani non vogliono più fare; inoltre siamo afflitti da una emigrazione continua e nell’entroterra diventa difficile trovare lavoratori nel settore agricolo. Sicuramente però servono equilibrio e integrazione. Torno anche su un punto, che è il ricongiungimento dei migranti con i loro famigliari in altri Paesi, come la Francia e la Germania, dove c’è bisogno di manodopera. Va coinvolta tutta l’Europa, evitando di trasformare questo problema drammatico in una continua polemica politica, che non giova a nessuno».La collaborazione che lei invoca però non c’è. E quando accadono le tragedie il dito viene puntato sull’Italia in quanto luogo di approdo. Gli organismi internazionali intanto tacciono.«L’Onu funziona poco, come dimostra anche il fatto che non solo non ha potuto impedire la guerra in Ucraina, ma non riesce nemmeno a far parlare le parti. Sta attraversando una grave crisi di credibilità. Ma ci sono anche la Fao e l’Ue: tutti gli organismi internazionali devono intervenire e capire che non siamo davanti a un fenomeno transitorio ma destinato a durare. Che va affrontato insieme, con spirito di collaborazione, e governato con idee chiare».