2020-02-06
Sulla prescrizione prosegue la rissa Renzi-Bonafede ma Pd e M5s trattano il rinvio
Simona Granati - Corbis/Getty Images
L'ex premier promette battaglia: «Li fermeremo». E il Guardasigilli replica: «Riforma in Cdm entro dieci giorni». Sempre più pentastellati però sono disposti a rimandare.Quando tutto procede a rovescio è difficile incontrarsi, ma sulla prescrizione potrebbe avvenire. Più che altro per evitare le urne anticipate e non certo per amore del diritto e della giustizia. Nei Paesi normali, prima si riforma il processo penale, si fissano tempi certi e poi, eventualmente si mette mano alla prescrizione, l'istituto che fa da tagliola sulla base del sacrosanto principio che una giustizia tardiva non è più giustizia. Non solo, ma le opinioni dei politici su questi temi dovrebbero avere a che fare non con le posizioni di partito, ma con convinzioni intime e con una generale cultura del diritto. E invece anche ieri nella variopinta maggioranza che guida l'Italia con il Conte reloaded è andato in scena un surreale tutti contro tutti, con accuse reciproche tra i vari leader di farsi scrivere le dichiarazioni da Silvio Berlusconi o Matteo Salvini, oltre alla conferma che a molti, a cominciare dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, continua a sembrare una buona idea cominciare dal soffitto, ovvero prima cambiare la prescrizione e poi il resto delle norme processuali. I pontieri però sono al lavoro, come sempre, e il governo non cadrà sulla prescrizione, grazie a una mediazione che grillini e piddini stanno tentando nelle segrete stanze con un unico, vero ostacolo: non far dimettere Bonafede. Italia viva è contrarissima a questa riforma entrata in vigore il primo gennaio e che fermerebbe il timer della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Matteo Renzi sa perfettamente che il grosso delle truppe dem mal digerisce di appiattirsi sulle posizioni grilline e allora ieri ha usato il giornale-partito, ovvero Repubblica, per sganciare la sua bombetta di giornata. «Non ci sono bersagli nascosti, ma uno palese: il giustizialismo», spiega Renzi. Per il quale il giustizialismo, a sua volta, «è la forma più meschina del populismo, il populismo dei mediocri». Fatto sta che l'ex sindaco di Firenze non avrebbe nessun problema a votare con chi la pensa come lui, compresa Forza Italia, pur di fermare quello che chiama il «giustizialismo grillino». Del resto, il 24 febbraio arriva in Aula il ddl firmato da Enrico Costa, che mira a stoppare la riforma della prescrizione contenuta nel sedicente «Spazzacorrotti» e a dividere gli schieramenti politici in modo trasversale. Come è giusto che sia su temi in cui sono in ballo i diritti e le libertà delle persone, colletti bianchi come gente comune. E invece la reazione di Bonafede alle parole di Renzi è da Muro di Berlino: «Siamo in maggioranza, invece vedo toni di chi sembra all'opposizione e a volte pare che i testi glieli scrivano Salvini o Berlusconi». E da Italia viva gli rispondono con la medesima cultura giuridica, con Davide Faraone che twitta così: «Bonafede ha poche idee e molto confuse: i testi sulla prescrizione il ministro li ha scritti con Salvini», a sua volta, evidentemente, un nome, una garanzia (di ignominia a prescindere?). Il fatto è comunque vero, c'è lo zampino della Lega e ora il cerino è in mano ai 5 stelle, che a voce fanno quadrato ma poi non sanno ancora come uscirne e sono terrorizzati dalle urne ben più del Pd di Zingaretti, che invece sgrana in segreto sondaggi finalmente in ascesa e tutto sommato, se ci scappasse una spallata all'alleato di governo, non si dispererebbe più di tanto. Certo, il 15 febbraio, M5s andrà in piazza per difendere le «sue» riforme dall'attacco di quello che il redivivo Luigi Di Maio chiama, con una buona dose di umorismo, «il sistema». Il Movimento dirà alla nazione, in buona sostanza: giù le mani da prescrizione, reddito di cittadinanza, taglio dei vitalizi. Eppure non c'è chi non veda, tra gli stessi deputati grillini, come la prescrizione ci stia un po' larga vicino a un tema popolare e quasi indennitario, almeno per il Movimento, come il reddito di cittadinanza. E non è un caso che torni valida l'ipotesi di non impiccarsi da soli e di provare a rinviare di sei mesi la riforma della prescrizione. Ma il secondo agguato alla logica, dopo quello sul fatto che su questi temi debbano esistere schieramenti di partito, è la riforma del processo penale. Detto che nel Pd anche Andrea Orlando, vicepresidente del partito ed ex ministro della Giustizia, è caduto nella (il)logica degli schieramenti («con alleanze trasversali sulla prescrizione si rimette in gioco Salvini», ha avvertito), la sinistra preferisce di gran lunga fermare tutto e ricominciare dalle norme processuali. Bonafede ha annunciato che tra dieci giorni porta la sua riforma in Consiglio dei ministri, cosa che per i suoi critici avrebbe dovuto fare ben prima, ma lo ha fatto aggiungendo la consueta carineria: «Poi ogni alleato si assumerà le proprie responsabilità». Detta così, sembra un'altra bella riforma cotta e mangiata. E invece sarà una delega legislativa, dai tempi non proprio brevi e difficile da blindare. Ma che servirà da stanza di compensazione e da valvola di sfogo per trovare il famoso accordo sulla prescrizione senza che nessuno si faccia male. Dove per male si intendono le poltrone che rotolerebbero in caso di crisi di governo e le conseguenze sui loro occupanti. Lo spettacolo, sia per chi ama Cesare Beccaria sia per chi gli preferisca Clint Eastwood, non è dei più esaltanti. Seduto comodamente in platea, Matteo Salvini non fa neppure la fatica di entrare nel merito e butta lì: «Questo governo litiga su tutto ma è fondato sul rinvio. Per non mollare la poltrona troveranno anche questa volta un accordicchio».
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