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2020-02-03
Casa. Sul mattone 8 anni di stangate e 1.500 miliardi andati in fumo
iStock
Gli italiani subiscono ogni anno un prelievo di ricchezza di ben 50 miliardi. A tanto ammonta il gettito delle tasse sulla casa: se ne contano più di 15. È questo il risultato di un accanimento fiscale sul patrimonio immobiliare iniziato negli anni Novanta ma che ha raggiunto il suo massimo con il governo di Mario Monti che chiese sacrifici straordinari agli italiani. E il modo più sicuro per avere un gettito certo è colpire il mattone. Ma, passata l'emergenza, la stretta fiscale è rimasta, con effetti recessivi sull'economia. Se non c'è crescita, una delle cause è che il motore immobiliare è in panne. L'ex commissario europeo, subentrato a Silvio Berlusconi nel 2011, per prima cosa colpì la prima casa con l'Imu che sostituiva l'Ici. L'incasso fu di 23,82 miliardi. Nel 2014 è stata varata la nuova Tasi, l'imposta sui servizi, dovuta da tutti, inquilini compresi. La combinazione tra le due batoste, come ha calcolato Confcommercio sulla base dei dati del ministero dell'Economia e dell'Istat, ha fatto sborsare 23,88 miliardi. Ma siccome anche il fisco locale vuole la sua fetta di incassi, se a Imu e Tasi aggiungiamo la nuova Tari, la tassa sui rifiuti, che nel 2014 ha sostituito la Tares, l'incasso in quell'anno è salito a 31,88 miliardi. In 12 mesi, la tassazione era aumentata del 14%.
La batosta è più evidente se si considera che in quattro anni, dal 2011, quando per la vecchia Ici gli italiani pagarono 9,23 miliardi più 5,57 di Tarsu (l'imposta sui rifiuti che cambia nome a ogni governo), al 2014, le tasse sugli immobili sono cresciute del 115%. Per effetto della tassazione di Monti, secondo un'analisi del sociologo Luca Ricolfi, c'è stata una perdita di valore del patrimonio immobiliare tra i 1.000 e i 1.500 miliardi.
Con il governo Berlusconi, infatti, nel 2011 il gettito totale sugli immobili era pari a 11 miliardi l'anno (era stata abolita l'Ici sulla prima casa), diventati 24 con Monti nel 2012, e aumentati fino a oltre 30 miliardi con i governi Letta e Renzi nel 2013 e nel 2014 nonostante la scomparsa dell'imposta sull'abitazione principale. E arriviamo ai nostri giorni. Rimane la patrimoniale sugli immobili da circa 20 miliardi l'anno, nonostante le eccezioni della no tax sull'abitazione principale e la riduzione del 25% dell'imposta dovuta per gli immobili locati «a canone concordato».
Dal 2010 - appena prima dell'introduzione dell'Imu - la riduzione del valore del mattone è stata pari, secondo l'Istat, al 22,9%. A questi numeri vanno sempre aggiunti quelli dell'infinito patrimonio di immobili privi di qualsiasi valore perché nessuno li vuole acquistare né prendere in affitto. I risparmi degli italiani evaporano ma la politica continua a girarsi dall'altra parte. Anzi, la recente legge di bilancio ha addirittura concesso ai Comuni - per la prima volta dopo tre anni - la libertà di aumentare ancora le aliquote. Con la soppressione della Tasi, il gettito della tassa sui servizi sarà sostituito dalla nuova Imu, fondata su un'aliquota base incrementata, che sale dal 7,6 per mille all'8,6 per mille. Aliquota che ciascun Comune può azzerare (inutile sperarlo) o portare sino al 10,6 per mille (in alcuni Comuni fino all'11,4).
Da uno studio dell'economista Andrea Giuricin per Confedilizia, emerge che oltre all'Imu, costata nel periodo 2012-2019 al contribuente 183 miliardi di euro, c'è un gettito occulto non calcolato. La caduta dei prezzi reali degli immobili non ha fatto variare il loro valore catastale. C'è quindi un prelievo nascosto dovuto alla mancata rivalutazione (al ribasso) del valore degli immobili che nel 2012-2019 è stato di circa 41 miliardi di euro. Negli ultimi 8 anni, tra il 2011 e il 2019 il valore del mattone residenziale è sceso di circa 1.300 miliardi.
Sembra rientrato al momento il progetto di una revisione del catasto, presente nella bozza della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (la cosiddetta Nadef) e che è stato bloccato da un intervento di Confedilizia. La riforma avrebbe portato a un aumento della tassazione fino a 5 volte. L'obiettivo era adeguarsi alle raccomandazioni della Commissione europea, che da sempre insiste sulla necessità di aumentare la tassazione sul mattone. Sembra quasi un'ossessione quella di Bruxelles per il nostro patrimonio immobiliare, vera ricchezza del Paese.
Eppure, tutti gli indicatori dicono che la crescita del settore in Italia è piatta, mentre a livello europeo i prezzi delle case continuano a salire a un ritmo del 4%. In Spagna, Germania e Portogallo il trend è addirittura di un +5% su base annua. Nel terzo trimestre del 2019 il nostro Paese ha registrato una caduta dei prezzi dello 0,3% rispetto al trimestre precedente.
Il settore è in uno stato comatoso e pensare di aumentare il peso del fisco sarebbe una operazione folle. Ogni anno dalla casa arrivano alle casse del fisco 40 miliardi tra imposte sui redditi, patrimoniali e tasse sulle compravendite. Questa cifra sale a 50 miliardi se si aggiungono gli ulteriori 10 miliardi provenienti dalla Tari.
Solo dall'Imu, in base ai dati Istat, nel 2018 il gettito è stato di 19,9 miliardi mentre dalla tassa sui servizi sono arrivati 1,1 miliardi. Quale governo saprebbe rinunciare a questa manna? Riepiloghiamo questa pioggia di imposte.
La proprietà. I tributi dovuti annualmente dal proprietario dell'abitazione principale sono la Tari, il tributo provinciale ambientale, il contributo ai consorzi di bonifica (dove è previsto), le tasse per i controlli di ascensori, impianti termici e passo carraio. Siccome l'immobile rappresenta un reddito ai fini fiscali, è soggetto a Irpef, addizionale regionale e comunale, Ires (se è intestato a società) e cedolare (se è affittato). L'abitazione principale, dal 2014, è esente dall'Imu e dal 2016 dalla Tasi (a esclusione di quelle di lusso).
Acquisto da un privato. Al momento dell'acquisto si pagano l'imposta di registro, ipotecaria e catastale.
Casa in affitto. Il proprietario della casa locata deve versare ogni anno la nuova Imu (comprensiva della Tasi), l'Irpef, le addizionali regionali e comunali, l'imposta di bollo e di registro. In sostituzione di queste ultime cinque è prevista la cedolare secca al 10% ma con un tetto al canone, fissato nelle fasce stabilite dagli accordi territoriali, per contratti agevolati. Per i liberi non c'è limite al canone e l'aliquota è al 21%. Dove è previsto, è dovuto anche il contributo ai consorzi di bonifica.
Passaggi di proprietà. Sono gravati da 7 tributi indiretti: Iva, imposta di registro, di bollo, ipotecaria, catastale, sulle successioni e sulle donazioni.
Gli stranieri ricchi fanno incetta di ville e castelli a prezzi stracciati
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Non solo i gioielli imprenditoriali. Anche il patrimonio immobiliare di lusso e con valore storico-artistico sta passando in mani straniere. Magnati americani, ricchi cinesi, paperoni asiatici, inglesi pronti a fuggire a causa della Brexit, imprenditori del Nord Europa, oligarchi russi: sono tutti a caccia di dimore di pregio italiane, favoriti da una tassazione che invece penalizza i proprietari del nostro Paese. Il meccanismo fiscale è tale che gli acquirenti stranieri sono incentivati ad acquistare mentre chi possiede tali beni non vede l'ora di disfarsene perché strangolato dalle imposte e senza alcun aiuto da parte dello Stato. Negli ultimi dieci anni gli immobili di lusso hanno subito una perdita del valore pari al 30% e questo ha intensificato gli appetiti di facoltosi stranieri che anche per poche centinaia di migliaia di euro riescono ad aggiudicarsi dimore storiche.
Una corsa all'acquisto a cui il governo dà una mano. Nel 2017 è stata introdotta una tassazione forfettaria da 100.000 euro, una sorta di flat tax, proprio con l'obiettivo di attirare i miliardari stranieri e far entrare capitali. Chi ha un alto livello economico e vuole trasferire nel Bel Paese la residenza fiscale può usufruire di un'imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero con un forfait di 1000.000 euro per ciascun periodo d'imposta per cui viene esercitata. Questo regime impositivo può essere trasmesso anche ai familiari che così godono di un'imposta pari a 25.000 euro. Non a caso le richieste di acquisti immobiliari, secondo gli operatori del settore, stanno crescendo a un ritmo del 30% l'anno.
Alessia Giammello, responsabile della sede di Milano dell'agenzia Dimore italiane, specializzata in real estate di lusso, dice: «La spinta a vendere è dovuta essenzialmente alla combinazione di alte tasse e alti costi di manutenzione. Anche se è un'abitazione principale, l'Imu si paga ugualmente ed è onerosa. Le spese per le ristrutturazioni sono pesanti specie se c'è un vincolo artistico e ottenere finanziamenti è complicato». E fa alcuni esempi di recenti cessioni, come una villa del 1800 con vista sul lago Maggiore acquistata da un austriaco per 700.000 euro ma «che aveva bisogno di interventi edili importanti». Le richieste, spiega Giammello, si concentrano soprattutto tra la Toscana e Milano. Per il capoluogo lombardo «non riusciamo a star dietro alle richieste. Si va da interi stabili storici, alle ville liberty del 1900».
da cortina a portofino
Francesco Tesi, responsabile del settore internazionaledi Lionard luxury real estate, con sedi a Milano, Firenze e Roma, che tratta immobili di un valore superiore ai 2 milioni di euro, spiega che gli acquisti di dimore storiche e immobili di extra lusso in locazioni uniche al mondo sono accelerati. «Riceviamo circa 5.000 richieste l'anno e una buona percentuale per beni di importante valore storico artistico. Mentre fino a qualche anno fa gli acquirenti erano soprattutto americani, russi e arabi, ora il mercato si è aperto. A noi si rivolgono ricchi australiani, africani e asiatici».
Nel sito dell'agenzia compare la vendita di uno chalet a Cortina per circa 10 milioni e recentemente è stata acquistata da una famiglia di industriali tedeschi la nota Villa Capponi a Firenze. Un imprenditore cinese si è aggiudicato per 30 milioni una villa a Portofino che domina una delle calette più desiderate d'Italia mentre un miliardario texano ha acquistato una villa nel Senese e ne ha fatto un punto d'incontro per artisti. A spingere le vendite, spiega Tesi, ci sono varie motivazioni. «Ma indubbiamente il peso delle tasse e i costi di manutenzione sono una spinta decisiva a mettere il bene sul mercato. Un tempo gli immobili storici non pagavano le tasse di proprietà, ora devono versare l'Imu anche se al 50%. Pesano poi i lavori di ristrutturazione. Mentre negli anni Settanta e Ottanta il ministero interveniva con fondi pubblici, ora, tranne piccole partecipazioni statali, è tutto a carico del proprietario. Inoltre lo Stato non è più nelle condizioni di esercitare il diritto di prelazione».
Le vendite corrono anche online. Secondo il portale Hello Italy, specializzato in vendite agli stranieri, sono circa 3 milioni i cittadini d'Oltralpe alla ricerca di immobili di pregio nel Belpaese. «Negli ultimi due anni, grazie alla flat tax, oltre 200 clienti ultra ricchi si sono rivolti a noi per acquistare una dimora di lusso. Sempre in questo arco di tempo le compravendite di fascia alta sono aumentate del 50%», dice Diletta Giorgolo, responsabile delle vendite per il Centro e Sud Italia di Italy Sotheby's international realty. «L'euro ha dimezzato i patrimoni e i giovani hanno ereditato beni che non sono più in grado di mantenere con i redditi attuali. In più le tasse sono cresciute. La Brexit sta spingendo numerosi facoltosi a lasciare Londra. Scelgono l'Italia per il life style e le meraviglie artistiche. Un olandese ha comprato un appartamento di 800 metri quadrati in un palazzo del Settecento a Roma e ha voluto restaurare la facciata per restituire qualcosa alla città, ci ha detto. Alcune località hanno avuto un vero e proprio boom dopo anni di stasi. A Capri dopo un blocco di 5 anni il mercato è ripreso. Ultimamente un francese ha acquistato una villa per 13 milioni con affaccio mozzafiato sul mare. La Sicilia è tra le più richieste».
l'avanzata araba
Navigando tra i maggiori siti internet specializzati in compravendite immobiliari di lusso, compaiono decine e decine di inserzioni. Numerose quelle sopra al milione di euro, con punte che arrivano anche a 20 milioni. A muoversi non sono solo i privati. Il mercato immobiliare italiano è al centro dell'attenzione di fondi sovrani dei Paesi arabi, private equity americani, compagnie assicurative francesi e tedesche e finanziarie cinesi. Si stima che gli investimenti effettuati da questi colossi superino i 25 miliardi di euro. I fondi del Qatar hanno comprato l'hotel Baglioni e l'Excelsior a Roma, lo Starwood a Firenze, il Gritti a Venezia, il palazzo di Piazza di Spagna dell'American Express in cui hanno piazzato la sede della maison Valentino.
«L’unica via per non vendere: sposare un miliardario»
«Essere proprietario di un castello non è privilegio, piuttosto è una missione. I costi di manutenzione sono esorbitanti, per non parlare di quelli di restauro e lo Stato paga solo la metà. Quanto alle tasse, dopo Monti il beneficio di una imposta agevolata si è ridotto notevolmente. Non mi stupisco che alcuni non ce la facciano più e decidano di vendere». Donna Claudia Ruspoli gestisce con la sorella, Giada, il castello di famiglia a Vignanello, nel cuore della Tuscia, il borgo conosciuto soprattutto per il buon vino. Il castello, ricostruito intorno al 1500, voluto da Beatrice Farnese e dal genero Sforza Marescotti unico nel suo genere, con saloni ricchi di storia e di leggende, fa parte dell'Associazione dimore storiche italiane. L'attrazione principale è il giardino rinascimentale, con piante rare e una collezione di rose secolari il cui innesto risale alla bisnonna Lante della Rovere. Le tecniche di manutenzione e coltivazione fanno parte della tradizione di famiglia.
Mantenere questo splendore ha un costo, come fate?
«Ci diamo da fare come possiamo. Affittiamo i locali per eventi, matrimoni, ricorrenze, per riprese cinematografiche e organizziamo visite guidate. Ho aperto al pubblico già 25 anni fa. È bello condividere la storia di famiglia, non è esclusivamente un business. I costi di un castello sono enormi. Solo la manutenzione del giardino rinascimentale richiede oltre 50.000 euro l'anno, mentre per tutta la dimora le spese minime superano i 100.000 euro l'anno. Sarebbe necessario un intervento di restauro complessivo importante ma mancano i soldi. Così ho scelto di fare piccoli interventi di tanto in tanto».
Non avete aiuti pubblici?
«Sì, ma si fermano al 50%. Il resto dobbiamo metterlo di tasca nostra».
E i fondi europei?
«Per ottenerli c'è una burocrazia che fa perdere il sonno anche al più paziente. Io ho dovuto aspettare quasi due anni per avere i finanziamenti per il giardino rinascimentale. Parte degli aiuti sono venuti anche da fondazioni. Per questo molti preferiscono tirare la cinghia, attingendo al proprio patrimonio o rinunciare, pur di non affrontare la trafila burocratica. Tanti si sono organizzati con il bed and breakfast per guadagnare qualcosa. Chi non ce la fa, vende anche se a malincuore. E anche trovare un compratore non è facile. Intanto le residenze vanno a pezzi, perdono valore e intervenire diventa sempre più costoso. Non sono rari i casi di intere famiglie strangolate dalle spese che affondano con la loro dimora. Ci tengo a dire, che comunque vendere è un dolore, significa rinunciare alla propria storia. Io cerco di resistere».
Le tasse sulla proprietà? La vostra Imu è agevolata.
«L'ex premier Mario Monti ha ridotto notevolmente l'agevolazione. Prima pagavamo molto meno e avevamo la possibilità di mantenere queste dimore. Inoltre, gira la voce che si sta studiando di basare l'imposta patrimoniale sui metri quadrati. Allora dovremmo svendere tutti. Non siamo affatto dei privilegiati, come ci vorrebbero far apparire. Contribuiamo alla conservazione di un patrimonio storico e artistico che tutto il mondo ci invidia. I fondi pubblici, anche tramite i bandi della Regione, coprono solo in parte le spese, ma tra me e mia sorella c'è un patto di ferro: non vendiamo. Una soluzione ci sarebbe per non avere più problemi tra tasse e costi di manutenzione».
Un escamotage fiscale?
«Qualcosa di meglio: l'unica soluzione è sposare un plurimiliardario. È sempre successo. Un tempo le famiglie aristocratiche europee con beni e titoli ma senza il cash combinavano i matrimoni tra le figlie e ricchi americani».
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Imu, Tari, Tasi, Irpef, addizionali varie: 15 le imposte sulle costruzioni Ogni anno il prelievo è di 50 miliardi e il governo ha appena autorizzato i Comuni ad alzare le aliquote. Ma la peggiore è l'imposta occulta che riduce il valore dei patrimoni.Le agenzie che trattano dimore di pregio subissati di richieste: il fisco tartassa gli investitori nazionali ma non quelli esteri che invece vengono favoriti. Molto attivi anche i fondi che acquistano hotel di lusso.La proprietaria della tenuta di Vignanello: «Lo Stato dovrebbe aiutare di più chi mantiene questi tesori di storia e cultura» .Lo speciale contiene tre articoliGli italiani subiscono ogni anno un prelievo di ricchezza di ben 50 miliardi. A tanto ammonta il gettito delle tasse sulla casa: se ne contano più di 15. È questo il risultato di un accanimento fiscale sul patrimonio immobiliare iniziato negli anni Novanta ma che ha raggiunto il suo massimo con il governo di Mario Monti che chiese sacrifici straordinari agli italiani. E il modo più sicuro per avere un gettito certo è colpire il mattone. Ma, passata l'emergenza, la stretta fiscale è rimasta, con effetti recessivi sull'economia. Se non c'è crescita, una delle cause è che il motore immobiliare è in panne. L'ex commissario europeo, subentrato a Silvio Berlusconi nel 2011, per prima cosa colpì la prima casa con l'Imu che sostituiva l'Ici. L'incasso fu di 23,82 miliardi. Nel 2014 è stata varata la nuova Tasi, l'imposta sui servizi, dovuta da tutti, inquilini compresi. La combinazione tra le due batoste, come ha calcolato Confcommercio sulla base dei dati del ministero dell'Economia e dell'Istat, ha fatto sborsare 23,88 miliardi. Ma siccome anche il fisco locale vuole la sua fetta di incassi, se a Imu e Tasi aggiungiamo la nuova Tari, la tassa sui rifiuti, che nel 2014 ha sostituito la Tares, l'incasso in quell'anno è salito a 31,88 miliardi. In 12 mesi, la tassazione era aumentata del 14%. La batosta è più evidente se si considera che in quattro anni, dal 2011, quando per la vecchia Ici gli italiani pagarono 9,23 miliardi più 5,57 di Tarsu (l'imposta sui rifiuti che cambia nome a ogni governo), al 2014, le tasse sugli immobili sono cresciute del 115%. Per effetto della tassazione di Monti, secondo un'analisi del sociologo Luca Ricolfi, c'è stata una perdita di valore del patrimonio immobiliare tra i 1.000 e i 1.500 miliardi.Con il governo Berlusconi, infatti, nel 2011 il gettito totale sugli immobili era pari a 11 miliardi l'anno (era stata abolita l'Ici sulla prima casa), diventati 24 con Monti nel 2012, e aumentati fino a oltre 30 miliardi con i governi Letta e Renzi nel 2013 e nel 2014 nonostante la scomparsa dell'imposta sull'abitazione principale. E arriviamo ai nostri giorni. Rimane la patrimoniale sugli immobili da circa 20 miliardi l'anno, nonostante le eccezioni della no tax sull'abitazione principale e la riduzione del 25% dell'imposta dovuta per gli immobili locati «a canone concordato».Dal 2010 - appena prima dell'introduzione dell'Imu - la riduzione del valore del mattone è stata pari, secondo l'Istat, al 22,9%. A questi numeri vanno sempre aggiunti quelli dell'infinito patrimonio di immobili privi di qualsiasi valore perché nessuno li vuole acquistare né prendere in affitto. I risparmi degli italiani evaporano ma la politica continua a girarsi dall'altra parte. Anzi, la recente legge di bilancio ha addirittura concesso ai Comuni - per la prima volta dopo tre anni - la libertà di aumentare ancora le aliquote. Con la soppressione della Tasi, il gettito della tassa sui servizi sarà sostituito dalla nuova Imu, fondata su un'aliquota base incrementata, che sale dal 7,6 per mille all'8,6 per mille. Aliquota che ciascun Comune può azzerare (inutile sperarlo) o portare sino al 10,6 per mille (in alcuni Comuni fino all'11,4). Da uno studio dell'economista Andrea Giuricin per Confedilizia, emerge che oltre all'Imu, costata nel periodo 2012-2019 al contribuente 183 miliardi di euro, c'è un gettito occulto non calcolato. La caduta dei prezzi reali degli immobili non ha fatto variare il loro valore catastale. C'è quindi un prelievo nascosto dovuto alla mancata rivalutazione (al ribasso) del valore degli immobili che nel 2012-2019 è stato di circa 41 miliardi di euro. Negli ultimi 8 anni, tra il 2011 e il 2019 il valore del mattone residenziale è sceso di circa 1.300 miliardi.Sembra rientrato al momento il progetto di una revisione del catasto, presente nella bozza della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (la cosiddetta Nadef) e che è stato bloccato da un intervento di Confedilizia. La riforma avrebbe portato a un aumento della tassazione fino a 5 volte. L'obiettivo era adeguarsi alle raccomandazioni della Commissione europea, che da sempre insiste sulla necessità di aumentare la tassazione sul mattone. Sembra quasi un'ossessione quella di Bruxelles per il nostro patrimonio immobiliare, vera ricchezza del Paese.Eppure, tutti gli indicatori dicono che la crescita del settore in Italia è piatta, mentre a livello europeo i prezzi delle case continuano a salire a un ritmo del 4%. In Spagna, Germania e Portogallo il trend è addirittura di un +5% su base annua. Nel terzo trimestre del 2019 il nostro Paese ha registrato una caduta dei prezzi dello 0,3% rispetto al trimestre precedente. Il settore è in uno stato comatoso e pensare di aumentare il peso del fisco sarebbe una operazione folle. Ogni anno dalla casa arrivano alle casse del fisco 40 miliardi tra imposte sui redditi, patrimoniali e tasse sulle compravendite. Questa cifra sale a 50 miliardi se si aggiungono gli ulteriori 10 miliardi provenienti dalla Tari.Solo dall'Imu, in base ai dati Istat, nel 2018 il gettito è stato di 19,9 miliardi mentre dalla tassa sui servizi sono arrivati 1,1 miliardi. Quale governo saprebbe rinunciare a questa manna? Riepiloghiamo questa pioggia di imposte.La proprietà. I tributi dovuti annualmente dal proprietario dell'abitazione principale sono la Tari, il tributo provinciale ambientale, il contributo ai consorzi di bonifica (dove è previsto), le tasse per i controlli di ascensori, impianti termici e passo carraio. Siccome l'immobile rappresenta un reddito ai fini fiscali, è soggetto a Irpef, addizionale regionale e comunale, Ires (se è intestato a società) e cedolare (se è affittato). L'abitazione principale, dal 2014, è esente dall'Imu e dal 2016 dalla Tasi (a esclusione di quelle di lusso).Acquisto da un privato. Al momento dell'acquisto si pagano l'imposta di registro, ipotecaria e catastale.Casa in affitto. Il proprietario della casa locata deve versare ogni anno la nuova Imu (comprensiva della Tasi), l'Irpef, le addizionali regionali e comunali, l'imposta di bollo e di registro. In sostituzione di queste ultime cinque è prevista la cedolare secca al 10% ma con un tetto al canone, fissato nelle fasce stabilite dagli accordi territoriali, per contratti agevolati. Per i liberi non c'è limite al canone e l'aliquota è al 21%. Dove è previsto, è dovuto anche il contributo ai consorzi di bonifica.Passaggi di proprietà. 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Chi ha un alto livello economico e vuole trasferire nel Bel Paese la residenza fiscale può usufruire di un'imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero con un forfait di 1000.000 euro per ciascun periodo d'imposta per cui viene esercitata. Questo regime impositivo può essere trasmesso anche ai familiari che così godono di un'imposta pari a 25.000 euro. Non a caso le richieste di acquisti immobiliari, secondo gli operatori del settore, stanno crescendo a un ritmo del 30% l'anno. Alessia Giammello, responsabile della sede di Milano dell'agenzia Dimore italiane, specializzata in real estate di lusso, dice: «La spinta a vendere è dovuta essenzialmente alla combinazione di alte tasse e alti costi di manutenzione. Anche se è un'abitazione principale, l'Imu si paga ugualmente ed è onerosa. Le spese per le ristrutturazioni sono pesanti specie se c'è un vincolo artistico e ottenere finanziamenti è complicato». E fa alcuni esempi di recenti cessioni, come una villa del 1800 con vista sul lago Maggiore acquistata da un austriaco per 700.000 euro ma «che aveva bisogno di interventi edili importanti». Le richieste, spiega Giammello, si concentrano soprattutto tra la Toscana e Milano. Per il capoluogo lombardo «non riusciamo a star dietro alle richieste. Si va da interi stabili storici, alle ville liberty del 1900». da cortina a portofino Francesco Tesi, responsabile del settore internazionaledi Lionard luxury real estate, con sedi a Milano, Firenze e Roma, che tratta immobili di un valore superiore ai 2 milioni di euro, spiega che gli acquisti di dimore storiche e immobili di extra lusso in locazioni uniche al mondo sono accelerati. «Riceviamo circa 5.000 richieste l'anno e una buona percentuale per beni di importante valore storico artistico. Mentre fino a qualche anno fa gli acquirenti erano soprattutto americani, russi e arabi, ora il mercato si è aperto. A noi si rivolgono ricchi australiani, africani e asiatici». Nel sito dell'agenzia compare la vendita di uno chalet a Cortina per circa 10 milioni e recentemente è stata acquistata da una famiglia di industriali tedeschi la nota Villa Capponi a Firenze. Un imprenditore cinese si è aggiudicato per 30 milioni una villa a Portofino che domina una delle calette più desiderate d'Italia mentre un miliardario texano ha acquistato una villa nel Senese e ne ha fatto un punto d'incontro per artisti. A spingere le vendite, spiega Tesi, ci sono varie motivazioni. «Ma indubbiamente il peso delle tasse e i costi di manutenzione sono una spinta decisiva a mettere il bene sul mercato. Un tempo gli immobili storici non pagavano le tasse di proprietà, ora devono versare l'Imu anche se al 50%. Pesano poi i lavori di ristrutturazione. Mentre negli anni Settanta e Ottanta il ministero interveniva con fondi pubblici, ora, tranne piccole partecipazioni statali, è tutto a carico del proprietario. Inoltre lo Stato non è più nelle condizioni di esercitare il diritto di prelazione». Le vendite corrono anche online. Secondo il portale Hello Italy, specializzato in vendite agli stranieri, sono circa 3 milioni i cittadini d'Oltralpe alla ricerca di immobili di pregio nel Belpaese. «Negli ultimi due anni, grazie alla flat tax, oltre 200 clienti ultra ricchi si sono rivolti a noi per acquistare una dimora di lusso. Sempre in questo arco di tempo le compravendite di fascia alta sono aumentate del 50%», dice Diletta Giorgolo, responsabile delle vendite per il Centro e Sud Italia di Italy Sotheby's international realty. «L'euro ha dimezzato i patrimoni e i giovani hanno ereditato beni che non sono più in grado di mantenere con i redditi attuali. In più le tasse sono cresciute. La Brexit sta spingendo numerosi facoltosi a lasciare Londra. Scelgono l'Italia per il life style e le meraviglie artistiche. Un olandese ha comprato un appartamento di 800 metri quadrati in un palazzo del Settecento a Roma e ha voluto restaurare la facciata per restituire qualcosa alla città, ci ha detto. Alcune località hanno avuto un vero e proprio boom dopo anni di stasi. A Capri dopo un blocco di 5 anni il mercato è ripreso. Ultimamente un francese ha acquistato una villa per 13 milioni con affaccio mozzafiato sul mare. La Sicilia è tra le più richieste». l'avanzata araba Navigando tra i maggiori siti internet specializzati in compravendite immobiliari di lusso, compaiono decine e decine di inserzioni. Numerose quelle sopra al milione di euro, con punte che arrivano anche a 20 milioni. A muoversi non sono solo i privati. Il mercato immobiliare italiano è al centro dell'attenzione di fondi sovrani dei Paesi arabi, private equity americani, compagnie assicurative francesi e tedesche e finanziarie cinesi. Si stima che gli investimenti effettuati da questi colossi superino i 25 miliardi di euro. I fondi del Qatar hanno comprato l'hotel Baglioni e l'Excelsior a Roma, lo Starwood a Firenze, il Gritti a Venezia, il palazzo di Piazza di Spagna dell'American Express in cui hanno piazzato la sede della maison Valentino. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sul-mattone-8-anni-di-stangate-e-1-500-miliardi-andati-in-fumo-casa-2645001867.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lunica-via-per-non-vendere-sposare-un-miliardario" data-post-id="2645001867" data-published-at="1765402057" data-use-pagination="False"> «L’unica via per non vendere: sposare un miliardario» «Essere proprietario di un castello non è privilegio, piuttosto è una missione. I costi di manutenzione sono esorbitanti, per non parlare di quelli di restauro e lo Stato paga solo la metà. Quanto alle tasse, dopo Monti il beneficio di una imposta agevolata si è ridotto notevolmente. Non mi stupisco che alcuni non ce la facciano più e decidano di vendere». Donna Claudia Ruspoli gestisce con la sorella, Giada, il castello di famiglia a Vignanello, nel cuore della Tuscia, il borgo conosciuto soprattutto per il buon vino. Il castello, ricostruito intorno al 1500, voluto da Beatrice Farnese e dal genero Sforza Marescotti unico nel suo genere, con saloni ricchi di storia e di leggende, fa parte dell'Associazione dimore storiche italiane. L'attrazione principale è il giardino rinascimentale, con piante rare e una collezione di rose secolari il cui innesto risale alla bisnonna Lante della Rovere. Le tecniche di manutenzione e coltivazione fanno parte della tradizione di famiglia. Mantenere questo splendore ha un costo, come fate? «Ci diamo da fare come possiamo. Affittiamo i locali per eventi, matrimoni, ricorrenze, per riprese cinematografiche e organizziamo visite guidate. Ho aperto al pubblico già 25 anni fa. È bello condividere la storia di famiglia, non è esclusivamente un business. I costi di un castello sono enormi. Solo la manutenzione del giardino rinascimentale richiede oltre 50.000 euro l'anno, mentre per tutta la dimora le spese minime superano i 100.000 euro l'anno. Sarebbe necessario un intervento di restauro complessivo importante ma mancano i soldi. Così ho scelto di fare piccoli interventi di tanto in tanto». Non avete aiuti pubblici? «Sì, ma si fermano al 50%. Il resto dobbiamo metterlo di tasca nostra». E i fondi europei? «Per ottenerli c'è una burocrazia che fa perdere il sonno anche al più paziente. Io ho dovuto aspettare quasi due anni per avere i finanziamenti per il giardino rinascimentale. Parte degli aiuti sono venuti anche da fondazioni. Per questo molti preferiscono tirare la cinghia, attingendo al proprio patrimonio o rinunciare, pur di non affrontare la trafila burocratica. Tanti si sono organizzati con il bed and breakfast per guadagnare qualcosa. Chi non ce la fa, vende anche se a malincuore. E anche trovare un compratore non è facile. Intanto le residenze vanno a pezzi, perdono valore e intervenire diventa sempre più costoso. Non sono rari i casi di intere famiglie strangolate dalle spese che affondano con la loro dimora. Ci tengo a dire, che comunque vendere è un dolore, significa rinunciare alla propria storia. Io cerco di resistere». Le tasse sulla proprietà? La vostra Imu è agevolata. «L'ex premier Mario Monti ha ridotto notevolmente l'agevolazione. Prima pagavamo molto meno e avevamo la possibilità di mantenere queste dimore. Inoltre, gira la voce che si sta studiando di basare l'imposta patrimoniale sui metri quadrati. Allora dovremmo svendere tutti. Non siamo affatto dei privilegiati, come ci vorrebbero far apparire. Contribuiamo alla conservazione di un patrimonio storico e artistico che tutto il mondo ci invidia. I fondi pubblici, anche tramite i bandi della Regione, coprono solo in parte le spese, ma tra me e mia sorella c'è un patto di ferro: non vendiamo. Una soluzione ci sarebbe per non avere più problemi tra tasse e costi di manutenzione». Un escamotage fiscale? «Qualcosa di meglio: l'unica soluzione è sposare un plurimiliardario. È sempre successo. Un tempo le famiglie aristocratiche europee con beni e titoli ma senza il cash combinavano i matrimoni tra le figlie e ricchi americani».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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