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2022-05-20
Su missili ed Europa iniziano ad arrivare i primi no all’Ucraina
Da sinistra, Dmytro Kuleba e Olaf Scholz (Ansa)
La guerra in Ucraina si incancrenisce giorno dopo giorno e gli Stati Uniti iniziano a tentennare nel continuare ad accogliere tutte le richieste di Kiev, mentre la Germania frena sull’adesione immediata all’Unione europea del Paese guidato da Volodymyr Zelensky.
Si trasforma, la guerra, per un motivo estremamente semplice: le truppe ucraine ora non solo devono resistere all’avanzata russa, ma anche tentare di riconquistare i territori caduti nelle mani di Mosca durante questi quasi tre mesi di conflitto. Kiev ha bisogno di armi molto ma molto più devastanti di quelle che fino ad ora l’Occidente sta fornendo alle forze armate di Zelensky, ma gli Usa frenano, in particolare sull’idea di inviare Multiple launch rocket system in Ucraina. Il lanciarazzi M270 Mlrs è il sistema più pesante, complesso e potente sviluppato in questa categoria di armamenti dall’industria occidentale. È stato progettato specificamente per sparare rapidamente 12 razzi e allontanarsi rapidamente per la ricarica. A seconda delle munizioni utilizzate, il suo raggio di azione è generalmente compreso tra le 20 e le 40 miglia, ma ci sono razzi più avanzati in grado di percorrere oltre 100 miglia. Lo scorso 5 maggio il comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Valeriy Zaluzhnyi, ha affermato che «la questione della fornitura all’Ucraina di sistemi missilistici a lancio multiplo come M142 Himars (High mobility artillery rocket system) e M270 Mlrs è cruciale», perché la Russia ha ripreso gli attacchi con missili da crociera e perché l’Ucraina ha avviato operazioni di controffensiva. Zaluzhnyi ha informato di questa esigenza il generale statunitense Mark Milley, capo di stato maggiore dell’esercito. Secondo Politico.com, che ha interpellato tre fonti americane informate della questione, però, la Casa Bianca non ha ancora dato il via libera alla fornitura di questi missili in quanto c’è il timore che vengano usati per lanciare attacchi sul territorio russo, espandendo e prolungando così il conflitto. «I funzionari ucraini», scrive Politico.com, «sono sempre più frustrati per la resistenza dell’amministrazione Biden a fornire sistemi missilistici a lungo raggio di fabbricazione statunitense, un’arma che secondo Kiev è fondamentale per superare la Russia nei duelli di artiglieria pesante che infuriano nel Donbass». È dall’inizio della guerra che gli ucraini chiedono agli americani questi lanciarazzi, ma, aggiunge Politico, «alla Casa Bianca persistono le preoccupazioni che l’invio del sistema possa essere visto come un’escalation dal Cremlino, data la maggiore gittata e il maggiore potere distruttivo dell’arma rispetto all’artiglieria tradizionale, come gli obici o i vecchi lanciarazzi sovietici», le armi che stanno arrivando a Kiev.
Lo scorso 8 maggio, in video collegamento col G7, lo stesso Zelensky ha sottolineato che l’Ucraina «deve ricevere tutte le armi e tutti gli equipaggiamenti di difesa che permetteranno di sconfiggere la tirannia, in particolare i sistemi missilistici a lancio multiplo M142 Himars e M270 Mlrs e altre armi che l’Ucraina ha richiesto ai vostri potenti stati». Un funzionario dell’amministrazione Biden ha dichiarato a Politico che Usa e Ucraina «continuano a discutere attivamente» delle armi richieste da Kiev, ma che anche con i 3,8 miliardi di dollari di aiuti militari che gli Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina dall’invasione russa del 24 febbraio, non è possibile spedire rapidamente tutto ciò che Zelensky chiede.
Intanto, cattive notizie per Zelensky arrivano anche dalla Germania. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto, parlando al Bundestag, di non essere favorevole a una procedura più rapida rispetto a quella standard per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea: «Che non ci sia alcuna scorciatoia per l’Ucraina», ha sottolineato Scholz, «è anche una questione di lealtà nei confronti dei sei paesi dei Balcani occidentali, che appartengono all’Unione europea. L’Ucraina appartiene alla famiglia europea», ha aggiunto Scholz, «ma l’ingresso in Europa non è una questione di alcuni mesi o di alcuni anni. Perciò vogliamo concentrarci a sostenere l’Ucraina in modo pragmatico e veloce». Il riferimento di Scholz è a Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina, che non fanno ancora parta della Ue. L’ha presa male il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba: «L’Ucraina», ha scritto Kuleba su Twitter, «non vuole essere trattata come una candidata all’Ue di seconda classe. L’ambiguità strategica sulla prospettiva europea dell’Ucraina praticata da alcune capitali dell’Ue negli ultimi anni è fallita e deve finire. Ha solo incoraggiato Putin. Non abbiamo bisogno di surrogati sullo status di candidata all’Ue», ha aggiunto Kuleba, «che mostrino un trattamento di seconda classe nei confronti dell’Ucraina e feriscano i sentimenti degli ucraini». Dunque, arrivano i primi «no» alle richieste di Zelensky, da parte di Washington e Berlino. Un segnale molto importante dal punto di vista geopolitico e militare.
Un trattato di pace in quattro tappe. Di Maio all’Onu con il piano italiano
L’Italia presenta all’Onu un piano in quattro tappe per la pace tra Russia e Ucraina. È stato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a New York, a consegnare al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il documento elaborato dalla Farnesina in stretta collaborazione con la presidenza del Consiglio. I quattro punti del piano, anticipati ieri da Repubblica, sono il cessate il fuoco, la neutralità dell’Ucraina, le questioni territoriali (con particolare riferimento a Crimea e Donbass) e un nuovo patto di sicurezza europea e internazionale.
A supervisionare questo percorso sarebbe un Gruppo internazionale di facilitazione: «Se è vero che la guerra è il fallimento della diplomazia», ha spiegato Di Maio ai tecnici della Farnesina, che hanno elaborato il documento, «è anche vero che è la diplomazia a poter mettere fine alle guerre. Tutte prima o poi finiscono, e bisogna farsi trovare pronti con dei piani per il dopoguerra».
Nel dettaglio, il primo punto, ovvero il cessate il fuoco, andrebbe ovviamente negoziato durante i combattimenti. Una volta messe a tacere le armi, occorrerebbe procedere con la smilitarizzazione del fronte. Il secondo punto riguarda il futuro status internazionale dell’Ucraina, che secondo il piano di pace italiano dovrebbe entrare nella Unione europea ma non nella Nato, mantenendo così una posizione di neutralità. Il terzo punto sarebbe il più complesso da perfezionare: un accordo tra Mosca e Kiev sulle questioni territoriali. Crimea e Donbass, secondo il piano di Di Maio, al termine del processo negoziale, accompagnato dalla mediazione internazionale, dovrebbero godere di una ampia autonomia, ma c’è da comprendere come possa questo tipo di soluzione conciliarsi con il richiamo ai confini riconosciuti a livello internazionale. La quarta e conclusiva tappa consiste nella proposta di un nuovo accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa. «Purtroppo», ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, in conferenza stampa, «fino a questo momento non abbiamo notizia dei dettagli di questo piano. Non so se sia stato trasmesso tramite canali diplomatici. Ne abbiamo appreso l’esistenza dai media. La partecipazione di chiunque possa aiutare a raggiungere un accordo è benvenuta», ha aggiunto Peskov, «nessuno sta rifiutando ogni sorta di sforzo sincero».
Alcuni contenuti della bozza del piano per la pace presentato da Di Maio sono stati anticipati agli sherpa del G7 e del gruppo Quint, composto da Usa, Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia. Di Maio, dunque, si propone sulla scena internazionale come ispiratore di un percorso negoziale, dopo essere stato considerato, per le sue dichiarazioni durissime nei confronti di Vladimir Putin, un vero e proprio «falco». Non a caso ieri Matteo Salvini, il leader della Lega, in Senato, ha chiamato in causa il ministro degli Esteri del M5s: «Se vuoi dialogare con qualcuno e gli dai del cane», ha detto Salvini, «è difficile che poi si sieda a dialogare con te. Un ministro dovrebbe distendere i rapporti diplomatici ma poi dare dell’animale a qualcuno con cui dobbiamo poi sederci intorno al tavolo». Il riferimento di Salvini è alle parole pronunciate da Di Maio lo scorso 2 marzo, all’inizio della guerra, quando a La 7 disse: «Io sono animalista e penso che tra Putin e qualsiasi animale c’è un abisso, sicuramente quello atroce è lui». Pochi giorni dopo, Di Maio corresse il tiro: «Io non volevo e non voglio rivolgere accuse o offese personali a nessuno. Però», dichiarò il ministro degli Esteri, «ribadisco che la guerra di Putin in Ucraina è assolutamente atroce e va fermata portando al tavolo le parti e trovando una soluzione di pace con la diplomazia». Parole, queste ultime, che ora si sono concretizzate nel piano per la pace presentato all’Onu.
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Stop Usa ai lanciarazzi: «Li userebbero per colpire la Russia». Olaf Scholz frena su Kiev nell’Ue. Dmytro Kuleba: «Trattamento di serie B».Un trattato di pace in quattro tappe. Luigi Di Maio all’Onu con il piano italiano. Il Cremlino: «Non ne sappiamo nulla, ma è benvenuto chi vuole favorire un accordo».Lo speciale comprende due articoli.La guerra in Ucraina si incancrenisce giorno dopo giorno e gli Stati Uniti iniziano a tentennare nel continuare ad accogliere tutte le richieste di Kiev, mentre la Germania frena sull’adesione immediata all’Unione europea del Paese guidato da Volodymyr Zelensky. Si trasforma, la guerra, per un motivo estremamente semplice: le truppe ucraine ora non solo devono resistere all’avanzata russa, ma anche tentare di riconquistare i territori caduti nelle mani di Mosca durante questi quasi tre mesi di conflitto. Kiev ha bisogno di armi molto ma molto più devastanti di quelle che fino ad ora l’Occidente sta fornendo alle forze armate di Zelensky, ma gli Usa frenano, in particolare sull’idea di inviare Multiple launch rocket system in Ucraina. Il lanciarazzi M270 Mlrs è il sistema più pesante, complesso e potente sviluppato in questa categoria di armamenti dall’industria occidentale. È stato progettato specificamente per sparare rapidamente 12 razzi e allontanarsi rapidamente per la ricarica. A seconda delle munizioni utilizzate, il suo raggio di azione è generalmente compreso tra le 20 e le 40 miglia, ma ci sono razzi più avanzati in grado di percorrere oltre 100 miglia. Lo scorso 5 maggio il comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Valeriy Zaluzhnyi, ha affermato che «la questione della fornitura all’Ucraina di sistemi missilistici a lancio multiplo come M142 Himars (High mobility artillery rocket system) e M270 Mlrs è cruciale», perché la Russia ha ripreso gli attacchi con missili da crociera e perché l’Ucraina ha avviato operazioni di controffensiva. Zaluzhnyi ha informato di questa esigenza il generale statunitense Mark Milley, capo di stato maggiore dell’esercito. Secondo Politico.com, che ha interpellato tre fonti americane informate della questione, però, la Casa Bianca non ha ancora dato il via libera alla fornitura di questi missili in quanto c’è il timore che vengano usati per lanciare attacchi sul territorio russo, espandendo e prolungando così il conflitto. «I funzionari ucraini», scrive Politico.com, «sono sempre più frustrati per la resistenza dell’amministrazione Biden a fornire sistemi missilistici a lungo raggio di fabbricazione statunitense, un’arma che secondo Kiev è fondamentale per superare la Russia nei duelli di artiglieria pesante che infuriano nel Donbass». È dall’inizio della guerra che gli ucraini chiedono agli americani questi lanciarazzi, ma, aggiunge Politico, «alla Casa Bianca persistono le preoccupazioni che l’invio del sistema possa essere visto come un’escalation dal Cremlino, data la maggiore gittata e il maggiore potere distruttivo dell’arma rispetto all’artiglieria tradizionale, come gli obici o i vecchi lanciarazzi sovietici», le armi che stanno arrivando a Kiev. Lo scorso 8 maggio, in video collegamento col G7, lo stesso Zelensky ha sottolineato che l’Ucraina «deve ricevere tutte le armi e tutti gli equipaggiamenti di difesa che permetteranno di sconfiggere la tirannia, in particolare i sistemi missilistici a lancio multiplo M142 Himars e M270 Mlrs e altre armi che l’Ucraina ha richiesto ai vostri potenti stati». Un funzionario dell’amministrazione Biden ha dichiarato a Politico che Usa e Ucraina «continuano a discutere attivamente» delle armi richieste da Kiev, ma che anche con i 3,8 miliardi di dollari di aiuti militari che gli Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina dall’invasione russa del 24 febbraio, non è possibile spedire rapidamente tutto ciò che Zelensky chiede. Intanto, cattive notizie per Zelensky arrivano anche dalla Germania. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto, parlando al Bundestag, di non essere favorevole a una procedura più rapida rispetto a quella standard per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea: «Che non ci sia alcuna scorciatoia per l’Ucraina», ha sottolineato Scholz, «è anche una questione di lealtà nei confronti dei sei paesi dei Balcani occidentali, che appartengono all’Unione europea. L’Ucraina appartiene alla famiglia europea», ha aggiunto Scholz, «ma l’ingresso in Europa non è una questione di alcuni mesi o di alcuni anni. Perciò vogliamo concentrarci a sostenere l’Ucraina in modo pragmatico e veloce». Il riferimento di Scholz è a Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina, che non fanno ancora parta della Ue. L’ha presa male il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba: «L’Ucraina», ha scritto Kuleba su Twitter, «non vuole essere trattata come una candidata all’Ue di seconda classe. L’ambiguità strategica sulla prospettiva europea dell’Ucraina praticata da alcune capitali dell’Ue negli ultimi anni è fallita e deve finire. Ha solo incoraggiato Putin. Non abbiamo bisogno di surrogati sullo status di candidata all’Ue», ha aggiunto Kuleba, «che mostrino un trattamento di seconda classe nei confronti dell’Ucraina e feriscano i sentimenti degli ucraini». Dunque, arrivano i primi «no» alle richieste di Zelensky, da parte di Washington e Berlino. Un segnale molto importante dal punto di vista geopolitico e militare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/su-missili-ed-europa-iniziano-ad-arrivare-i-primi-no-allucraina-2657356385.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-trattato-di-pace-in-quattro-tappe-di-maio-allonu-con-il-piano-italiano" data-post-id="2657356385" data-published-at="1652987549" data-use-pagination="False"> Un trattato di pace in quattro tappe. Di Maio all’Onu con il piano italiano L’Italia presenta all’Onu un piano in quattro tappe per la pace tra Russia e Ucraina. È stato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a New York, a consegnare al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il documento elaborato dalla Farnesina in stretta collaborazione con la presidenza del Consiglio. I quattro punti del piano, anticipati ieri da Repubblica, sono il cessate il fuoco, la neutralità dell’Ucraina, le questioni territoriali (con particolare riferimento a Crimea e Donbass) e un nuovo patto di sicurezza europea e internazionale. A supervisionare questo percorso sarebbe un Gruppo internazionale di facilitazione: «Se è vero che la guerra è il fallimento della diplomazia», ha spiegato Di Maio ai tecnici della Farnesina, che hanno elaborato il documento, «è anche vero che è la diplomazia a poter mettere fine alle guerre. Tutte prima o poi finiscono, e bisogna farsi trovare pronti con dei piani per il dopoguerra». Nel dettaglio, il primo punto, ovvero il cessate il fuoco, andrebbe ovviamente negoziato durante i combattimenti. Una volta messe a tacere le armi, occorrerebbe procedere con la smilitarizzazione del fronte. Il secondo punto riguarda il futuro status internazionale dell’Ucraina, che secondo il piano di pace italiano dovrebbe entrare nella Unione europea ma non nella Nato, mantenendo così una posizione di neutralità. Il terzo punto sarebbe il più complesso da perfezionare: un accordo tra Mosca e Kiev sulle questioni territoriali. Crimea e Donbass, secondo il piano di Di Maio, al termine del processo negoziale, accompagnato dalla mediazione internazionale, dovrebbero godere di una ampia autonomia, ma c’è da comprendere come possa questo tipo di soluzione conciliarsi con il richiamo ai confini riconosciuti a livello internazionale. La quarta e conclusiva tappa consiste nella proposta di un nuovo accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa. «Purtroppo», ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, in conferenza stampa, «fino a questo momento non abbiamo notizia dei dettagli di questo piano. Non so se sia stato trasmesso tramite canali diplomatici. Ne abbiamo appreso l’esistenza dai media. La partecipazione di chiunque possa aiutare a raggiungere un accordo è benvenuta», ha aggiunto Peskov, «nessuno sta rifiutando ogni sorta di sforzo sincero». Alcuni contenuti della bozza del piano per la pace presentato da Di Maio sono stati anticipati agli sherpa del G7 e del gruppo Quint, composto da Usa, Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia. Di Maio, dunque, si propone sulla scena internazionale come ispiratore di un percorso negoziale, dopo essere stato considerato, per le sue dichiarazioni durissime nei confronti di Vladimir Putin, un vero e proprio «falco». Non a caso ieri Matteo Salvini, il leader della Lega, in Senato, ha chiamato in causa il ministro degli Esteri del M5s: «Se vuoi dialogare con qualcuno e gli dai del cane», ha detto Salvini, «è difficile che poi si sieda a dialogare con te. Un ministro dovrebbe distendere i rapporti diplomatici ma poi dare dell’animale a qualcuno con cui dobbiamo poi sederci intorno al tavolo». Il riferimento di Salvini è alle parole pronunciate da Di Maio lo scorso 2 marzo, all’inizio della guerra, quando a La 7 disse: «Io sono animalista e penso che tra Putin e qualsiasi animale c’è un abisso, sicuramente quello atroce è lui». Pochi giorni dopo, Di Maio corresse il tiro: «Io non volevo e non voglio rivolgere accuse o offese personali a nessuno. Però», dichiarò il ministro degli Esteri, «ribadisco che la guerra di Putin in Ucraina è assolutamente atroce e va fermata portando al tavolo le parti e trovando una soluzione di pace con la diplomazia». Parole, queste ultime, che ora si sono concretizzate nel piano per la pace presentato all’Onu.
Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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Fabrizio Corona (Ansa)
Il punto di partenza è l’iscrizione sul registro degli indagati di Corona, che ha consentito agli inquirenti di sequestrare foto, video e chat. Nella sua nuova versione da youtuber conduttore di Falsissimo, Corona, ieri, davanti ai pm di Milano ha riempito un verbale e poi si è presentato davanti a telecamere, fotografi e cronisti: «Ho parlato del “sistema Signorini”», ha esordito. Poi ha precisato: «Tre minuti ho parlato del revenge porn e un’ora dei reati (presunti, ndr) commessi da Signorini, ma anche di tutti i suoi giri e di tutte le sue amicizie. Ho più di 100 testimonianze, ho fatto i nomi ai pm e sono già pronte due denunce contro di lui». Una di Antonio Medugno, ex concorrente del Gf Vip, edizione 2021-2022, intervistato nella seconda puntata de «Il prezzo del successo» su Falsissimo. «Anche un altro è pronto a farlo», ha annunciato Corona. Poi ha alzato i toni: «Se prendono il cellulare a Signorini trovano Sodoma e Gomorra». E ha sfidato la Procura: «Se dopo la querela non vanno a fargli una perquisizione io mi lego qua davanti al tribunale».
Corona ha precisato che la sua «non è» una «vendetta». Ma l’innesco è personale: «Dopo che gli ho visto presentare il suo ultimo libro ho detto «ci vuole un bel coraggio» e ho cominciato a fare telefonate e ho recuperato questo materiale, ne ho un sacco, ho delle fotografie sue clamorose».
Il «sistema», dice, lo ha messo nero su bianco nell’interrogatorio richiesto da lui stesso, assistito dall’avvocato Cristina Morrone dello studio legale di Ivano Chiesa. L’obiettivo dichiarato è ribaltare il tavolo e trasformare l’ennesima inchiesta a suo carico in quello che lui definisce il «Me too italiano». «Il problema», ha detto Corona, «è che lui ricopre un ruolo così importante e con quel ruolo non puoi cercare di adescare e proporre l’ingresso in un programma televisivo, che deve passare per dei casting, ci sono delle regole. Pagherà per quello che fa».
Corona, in sostanza, durante il suo interrogatorio, ha cercato di spostare l’attenzione dalle modalità con cui foto e chat sono state mostrate, su ciò che quelle chat potrebbero raccontare. Nel frattempo il fronte si è allargato: il Codacons, insieme all’Associazione utenti dei servizi radiotelevisivi, ha fatto sapere di aver depositato un esposto ai pm milanesi, all’Agcom e al Garante per la privacy.
Ora tocca alle autorità decidere, o meno, se entrare nel backstage mediatico.
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