
La dottoressa-scrittrice a processo domani per avere sostenuto che i rapporti gay possono causare problemi fisici. Come dimostrato da illustri ricerche internazionali.Ma insomma, ricevere abitualmente il pene, fa male all'ano o no? Chi è più qualificato a dare la risposta: il penetrato, il penetrante, il medico? Ecco, io non so che cosa dicano i primi due, all'università i docenti pagati dallo Stato italiano mi hanno trasmesso soltanto le informazioni che sono necessarie per dare una risposta quanto più possibile oggettiva. Se ho capito bene la collega Silvana De Mari si trova a essere imputata per avere fornito la risposta. L'ha tirata fuori dalla sua fervida fantasia di scrittrice fantasy di successo o è il risultato delle conoscenze sviluppate nel corso dei suoi studi di medicina e di chirurgia colorettale? Perché di questo si tratta; la dottoressa De Mari è stata trascinata sul banco degli imputati con l'accusa di offendere un'intera categoria di persone attraverso la divulgazione di una menzogna: praticare il sesso anale conduce a un grave danno per la salute. Ma, dicono le organizzazioni omosessualiste, le affermazioni del medico torinese sarebbero soltanto falsità. Omofobia, ignoranza scientifica, discriminazione, sono i capi d'imputazione da cui è chiamata a difendersi dopo una lapidazione mediatica che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico.Ho pensato che il pubblico che dovrà decidere che razza di persona è la dottoressa De Mari abbia il diritto/dovere di ascoltare testimoni qualificati, imparziali e dunque credibili. E chi può avere tale caratteristica se non chi ha studiato per una vita l'argomento attraverso rigorose procedure scientifiche? E che c'è di meglio di farli testimoniare in questo surreale processo attraverso i loro studi, pubblicati in maniera totalmente indipendente dalle affermazioni che sono oggetto di accusa?Come primo testimone a discarico chiamo la professoressa Alayne Markland, geriatra all'università dell'Alabama dove il suo ambito di specializzazione è proprio l'insegnamento della medicina basata sulle evidenze riguardo l'incontinenza urinaria e fecale negli uomini e nelle donne. La professoressa Markland ha diretto un team di ricercatori delle università della Georgia e del New Mexico nello studio più vasto mai condotto per verificare la presenza di incontinenza fecale. Tra i 2.118 uomini analizzati, i 101 che avevano dichiarato di avere avuto rapporti anali ricettivi nel corso della vita hanno riferito una probabilità quasi tripla (odds ratio 2,8) di avere incontinenza fecale almeno una volta al mese. Fatto numero uno. Come secondo teste, convoco la dottoressa Dorothy Machalek, epidemiologa del Royal Women's Hospital in Australia e direttrice del programma governativo del Commonwealth per la sorveglianza dei genotipi del papillomavirus (Hpv). Nel 2012 la dottoressa Machalek è stata la prima autrice della metanalisi sulle infezioni anali e le degenerazioni tumorali dovute all'infezione da Hpv. L'incidenza di infezione anale da Hpv è risultata 37 volte più elevata nella popolazione maschile omosessuale e quella di carcinoma anale si è dimostrata quintuplicata (odds ratio 5,1). Fatto numero due. Come terzo testimone chiamo in causa la dottoressa Kristen Hess, uno dei membri del gruppo di lavoro che redige il rapporto epidemiologico dell'infezione da Hiv per il Centro di controllo delle malattie (Cdc) negli Stati Uniti. Nel 2016 a 26.964 uomini in America è stata diagnosticata l'infezione da Hiv; di questi, 25.038 (il 92,9%) l'avevano contratta mediante un rapporto omosessuale. Un anno fa la dottoressa Hess ha pubblicato i dati riguardo al rischio d'infettarsi nel corso della vita con l'Hiv e il risultato del suo studio, pubblicato su Annals of Epidemiology, è questo: uno su 524 per i maschi eterosessuali, uno su sei per i maschi omosessuali. Fatto numero tre.Per i dati italiani convocherei il professor Gualtiero Ricciardi, presidente dell'Istituto superiore di sanità (Iss) e direttore del Dipartimento di sanità pubblica del Policlinico Gemelli di Roma. A novembre dello scorso anno l'Iss ha divulgato gli ultimi dati calcolando che su 2.654 nuove diagnosi di Hiv nel sesso maschile, in ben 1.313 casi (49,5%) l'infezione è stata contratta mediante rapporti omosessuali, a cui aggiungere una parte dei casi in cui la modalità di contagio non è stata trasmessa. Peraltro sono gli stessi giudici ad avere riconosciuto nel 2017, condannando a 24 anni Valentino Talluto per avere infettato 32 donne, e ora accusando dello stesso reato e persino di omicidio volontario Claudio Pinti, che la trasmissione del virus Hiv costituisce una «lesione gravissima». Ancora il Cdc riporta che degli 88.042 nuovi casi di sifilide diagnosticati nel 2016, l'80,6% avveniva per contagio omoerotico. Fatto numero quattro. Quinto teste, il dottor Marc Marti-Pastor, membro del servizio di salute pubblica dell'ospedale del Mare a Barcellona. Ha appena pubblicato sulla rivista PLoS ONE, una delle più importanti al mondo, uno studio sulla qualità della vita delle persone Lgb. L'intervista di 3.277 residenti a Barcellona, città tra le più gay friendly di quella Spagna dove Zapatero ha legalizzato il matrimonio gay nel lontano 2005, ha rivelato che le 77 persone Lgb avevano punteggi peggiori della qualità della vita correlata alla salute, rispetto alle persone eterosessuali, a causa di «condizioni croniche» e «comportamenti correlati alla salute». Fatto numero cinque.Non basta ancora? Allora chiamiamo a testimoniare il professor Michael King, psichiatra all'University College di Londra. Nel 2008 il professor King è stato primo autore di una revisione sistematica della letteratura circa la salute mentale delle persone lesbiche, gay e bisessuali pubblicata su BMC Psychiatry. I risultati? Rispetto agli uomini eterosessuali i tentativi di suicidio sono risultati avere un'incidenza del 487% maggiore, per la depressione si registra un +258%, la dipendenza da sostanze è al 241%, per ansia e dipendenza da alcool si riscontrano rispettivamente +58% e +51%. Fatto numero sei.Ed infine chiamo sul banco dei testimoni il professor Morten Frisch, epidemiologo all'università di Copenaghen. Insieme al collega statistico Jacob Simonsen, nel 2013 ha pubblicato uno mega-studio sull'International Journal of Epidemiology in cui veniva esaminata la mortalità di 3 milioni e 250.000 maschi e 3 milioni e 290.000 femmine in Danimarca nell'arco di 30 anni (dal 1 gennaio 1982 al 30 settembre 2011). Complessivamente gli uomini sposati con un uomo hanno mostrato una mortalità doppia degli uomini sposati con una donna e le donne sposate con una donna hanno patito una mortalità tripla rispetto alle donne sposate ad un uomo. Da ricordare che secondo l'organizzazione omosessualista Ilga Europe, la Danimarca si trova all'ottavo posto tra i 49 Paesi europei esaminati nella sua classifica della parificazione degli orientamenti sessuali, 40 punti percentuali in più dell'Italia e più in alto persino di Olanda, Svezia e Spagna. Fatto numero sette.Allora, delle due l'una: o questi testi hanno detto il falso in modo pubblico, scrivendolo sulle riviste scientifiche più blasonate, e allora li si processi per falsa testimonianza e procurato allarme, assolvendo la dottoressa De Mari, la cui unica colpa è quella di essere stata ingannata dall'autorevolezza degli autori e di tali organi d'informazione scientifica. Oppure questi scienziati hanno detto il vero, e dunque la dottoressa De Mari deve essere considerata innocente. A meno che, nell'epoca dell'inganno ideologico universale, il vero non abbia più diritto d'asilo. E allora attenti voi, che scrivete contro il mangiare e il bere smodato, attenti voi, che divulgate i danni provocati dal fumo, oggi tocca alla De Mari, ma domani potreste essere voi a rispondere del reato di istigazione all'odio di obesi, alcolisti, fumatori. L'esito di questo processo stabilirà se i sacerdoti di un nuovo culto, attraverso i rappresentanti nelle istituzioni, hanno di fatto istituito il reato di blasfemia dell'amplesso.
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