Santo Padre, ci rivolgiamo a lei perché è quasi l’unica voce fuori dal coro sull’attuale guerra in Ucraina. Lo facciamo riattualizzando il gesto di un grande uomo del secolo scorso: Alcide De Gasperi.
Il 6 novembre 1914, infatti, il politico cattolico trentino prendeva il treno da Trento per andare a Roma a incontrare il papa Benedetto XV: era profondamente amareggiato dal chiassoso interventismo e bellicismo che vedeva fiorire intorno a sé.
«Si faccia o non si faccia la guerra», scriveva De Gasperi pochi mesi prima, «è però caratteristico con quanta leggerezza certa stampa guerrafondaia parli di un avvenimento che, comunque finisca, sarà un nuovo flagello per la società intera e una sventura per i contendenti…».
Effettivamente l’Europa avrebbe dato inizio alla sua autodistruzione con fragorosa e baldanzosa superficialità: molti politici vedevano nella guerra il modo per vincere le loro partite personali, poteri economici e industrie belliche miravano a nuovi profitti, giornalisti di ogni colore pontificavano sulla necessità della guerra, «sola igiene del mondo», per costruire un mondo nuovo, di pace e giustizia…
Alcuni erano animati dall’ideologia che acceca, altri, come il socialista Benito Mussolini, erano nutriti dai soldi provenienti dai poteri forti italiani e dalle potenze straniere, Francia e Inghilterra, desiderose di avere l’Italia al proprio fianco, contro la Germania.
Ebbene De Gasperi saliva su quel treno per andare a proporre al pontefice, soprannominato «Maledetto XV» dagli interventisti, di promuovere una tregua di Natale tra le potenze belligeranti, nella speranza che essa potesse costituire un primo passo verso la pace vera e propria.
Benedetto XV accolse il suggerimento di De Gasperi, ma le cancellerie europee non risposero all’appello del pontefice, anzi lo censurarono: le parole «tregua» e «pace» facevano paura, non dovevano neppure essere pronunciate!
Tutta la propaganda doveva andare, invece, in direzione contraria: insistere sull’utilità della guerra, sull’altissimo morale delle proprie truppe e sulle difficoltà, ingigantite, dell’avversario.
I fotografi ufficiali, ricorda Luigi Sardi nel suo 1914, De Gasperi, il papa e la tregua di Natale, «immortalavano gli aspetti propagandistici: la vita pacifica nelle retrovie, i soldati che giocano a carte e sorridono soddisfatti, i feriti anche loro sorridenti, ricoverati in ospedali lindi, in letti ricchi di cuscini, assistiti da graziose e paffute infermiere».
Intanto i sostenitori del conflitto a oltranza, pronti a boicottare ogni iniziativa di pace, che venisse dal Papa o da Carlo I d’Asburgo, coprivano il loro bellicismo magnificando presunti successi al fronte, vantando il patriottismo dei «liberatori» di Trento e Trieste e raccontando ossessivamente gli orrori veri e presunti compiuti dalle truppe nemiche, per mantenere il più possibile alto il consenso verso la guerra del fronte interno.
Esattamente quello che succede oggi!
La tregua ufficiale, nel 1914, non ci fu. Sul fronte occidentale, però, inglesi e tedeschi in qualche caso festeggiarono insieme il Natale 1914, innalzarono canti, abbracciandosi, al bambinello Salvatore, manifestando così il loro dissenso rispetto alla guerra.
Benedetto XV, nonostante l’isolamento internazionale, non si lasciò tirare per la tonaca da quelle potenze che vantavano le loro ragioni e le volevano da lui riconosciute e benedette: sapeva bene, infatti, che in un conflitto non è sempre così facile distinguere torti e ragioni, ma soprattutto capiva che anche se una parte avesse avuto dalla sua più ragioni dell’altra, riconoscerle pubblicamente avrebbe soltanto alimentato lo scontro e allontanato la possibilità della pace.
Si sarebbe comportato nello stesso modo anche Pio XII, come dimostra il famoso radiomessaggio del 24 agosto 1939: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo».
Con la pace, dunque, tutto è possibile, con la guerra tutto è immancabilmente perduto: è andata esattamente così. Quanto è costata la grande guerra in termini di vite umane, dolore e disperazione?
E quante volte analoghe «guerre sante», per l’«esportazione della democrazia» e l’abbattimento dei «tiranni», da Saddam a Gheddafi, sono state, anche in tempi molto recenti, solo menzogneri pretesti e «inutili stragi»?
Ebbene, oggi sta accadendo, di nuovo, proprio questo.
Al profilarsi del conflitto in Ucraina, l’Occidente ha risposto abdicando sin dal principio a ogni possibile trattativa.
Tutto in nome, a parole, della «giustizia» e della «guerra giusta» contro l’aggressore, ma in verità in troppi hanno colto la palla al balzo per regolare i propri conti, economici, energetici, geopolitici.
Così con veemenza e irruenza si è subito intrapresa la strada sempre fallimentare delle sanzioni e delle armi: così la guerra finirà presto, ci hanno detto! Così l’aggressore sarà costretto a cedere, la Russia finirà le armi e l’Ucraina vincerà! Tanto più che saranno i russi stessi, o il cancro, ad abbattere Putin!
Quante volte abbiamo sentito queste menzogne? Quante volte ci è stato detto che l’aggressore era ormai alle corde? Forse è ora di alzare il velo della menzogna, per guardare in faccia la realtà: le sanzioni non hanno piegato nessuno, semmai affamato, di gas, l’Europa, e di grano il Terzo mondo; un conflitto cominciato con obiettivi limitati e la mobilitazione di circa 100.0000 soldati «russi», non solo non si è fermato o ridotto, ma ha continuato ad allargarsi.
Putin, infatti, ha risposto alle sanzioni (inaudite) e alle armi occidentali arruolando altri 300.000 riservisti e non mostra affatto di avere quella scarsità di mezzi militari di cui si favoleggiava. Anzi, dopo averli tenuti fermi nei depositi per mesi, ha iniziato a utilizzarli per bombardare a tappeto città e centri nevralgici, prima risparmiati, mettendo dunque in ginocchio l’intero Paese.
Nessuna rapida vittoria ucraina all’orizzonte! Nessuna rivoluzione colorata nella Federazione Russa! Nessun contributo alla pace dalle sanzioni e dalle armi, dai condizionatori e dai termosifoni spenti!
Oggi l’Occidente, inviando armi a getto continuo, perde ogni giorno credibilità presso i popoli più numerosi del mondo, dall’India alla Cina all’Africa, che non credono affatto nel grande amore disinteressato dell’Occidente per il popolo ucraino, il quale paga sulla sua pelle un disastro crescente: sempre più morti, sempre più profughi, sempre più povertà e devastazione.
Santo Padre, alzi ancora forte la sua voce per la pace, che non è figlia solo della giustizia, quale che sia, ma anche del perdono e della carità, e provi, ci permetta l’ardire, a implorare, come già Benedetto XV, una tregua di Natale che apra orizzonti di pace!
«È solo una brutta influenza». È il tam tam anestetizzante che una parte del mondo politico e ahimè, anche scientifico, propaga nell'etere catodico e nella rete. Cercherò di spiegare perché dire una cosa del genere non solo è scientificamente falso, ma se accolto dalla popolazione, potrebbe generare un disastro di proporzioni immani. Per comprenderlo bisogna partire, come spesso accade, dai numeri. La pericolosità di un'infezione di questo genere è data dalla combinazione di due elementi: la capacità di diffondersi a partire da un paziente infetto e la sua letalità. Per comprendere dunque se l'epidemia da coronavirus è davvero una semplice influenza, magari soltanto un po' più brutta, dobbiamo andare a vedere questi numeri che sono indicati nella letteratura scientifica.
La capacità di diffondersi di un virus è data da un indice che viene chiamato erre zero (R0), esso indica il numero di persone contagiate da un solo paziente infetto. L'R0 della comune influenza stagionale è pari a 1,28 (Biggerstaff M, et al. Bmc Infectious Diseases, 2014). Ciò indica che 100 infetti trasmettono l'influenza stagionale in media ad altre 128 persone. Lo stesso studio ha calcolato a 1,80 l'R0 dell'influenza spagnola del 1918 che provocò milioni di morti. L'R0 del Covid-19, il virus che sta affliggendo la Cina e ormai anche l'Italia, è stato calcolato da diversi autori; in un meeting di oltre un mese fa, l'Organizzazione mondiale della sanità collocò l'R0 del Covid-19 in una forbice compresa tra 1,4 e 2,5. I lavori più recenti danno indici più alti, tra 2,24 e 3,58 (Zhao S, et al. International Journal of infectious Diseases 2020) e 3,28 (Liu Y, et al. Journal of Travel Medicine, 2020).
Confrontiamo adesso il tasso di letalità dei virus attraverso un altro indicatore, il Case fatality rate, ovvero la percentuale di casi di una determinata popolazione di malati che muoiono in un determinato periodo di tempo. Per l'influenza stagionale di quest'anno in Italia, l'Istituto superiore di sanità riporta in 21 settimane di osservazione 30 decessi su 5.632.000 persone che hanno contratto il virus (https://www.epicentro.iss.it/influenza/flunews#evidenza), non 217 morti giornalieri come erroneamente ha affermato la direttrice del laboratorio di virologia del Sacco, cifra che invece corrisponde al numero di decessi totali, cioè per tutte le cause, nella popolazione ultrasessantacinquenne. Il dato per l'influenza stagionale è dunque di 0,21 decessi ogni milione di infetti a settimana. Confrontiamo il dato adesso per il coronavirus. Non ha senso fare una valutazione per l'Italia, tanto il numero dei casi e il periodo di osservazione è breve. Siamo pertanto costretti ad esaminare la situazione a livello globale. Nel momento in cui scriviamo si contano 2.703 decessi e 80.154 casi infetti di cui rispettivamente 2.663 e 77.659 nella sola Cina, dove l'inizio dell'epidemia è ufficialmente datato al 16 gennaio. Il dato corrisponde a 6.022 decessi ogni milione di infetti a settimana. Certo, la letalità risente moltissimo dei sistemi sanitari vigenti sul territorio, ma la differenza è talmente macroscopica che è impossibile ignorarla.
Adesso abbiamo tutto quello che ci serve per fare una proiezione per il nostro Paese. Nell'influenza stagionale dello scorso anno, sono ancora i dati dell'Istituto superiore di sanità, si sono ammalate 8.104.000 persone. Con un R0 che è 2 o 3 volte quello dell'influenza stagionale, il coronavirus ha in sé il potenziale d'infettare tra i 16 e i 24 milioni d'italiani. Nella scorsa stagione ancora l'Istituto superiore di sanità dà conto di 205 deceduti a causa dell'influenza. Con la letalità che abbiamo calcolato, nelle stesse 27 settimane di osservazione il Covid-19 avrebbe la capacità di causare centinaia di migliaia di morti nel nostro Paese. Sono i numeri della stessa grandezza della terribile influenza del 1918-1920. Non solo auspicabilmente, ma neppure verosimilmente verranno raggiunti e neppure avvicinati.
Questo avverrà sia perché l'assistenza sanitaria alle persone è incomparabilmente superiore rispetto a quella disponibile nel secolo scorso, sia perché lo stato generale di salute e nutrizione della popolazione è migliore, ma anche e soprattutto perché possiamo prendere misure di contenimento del contagio. Ora diventa più chiaro ciò che scrivevo all'inizio. Se si dice alle persone che questa è una comune influenza, si invitano implicitamente le persone ad assumere gli stessi atteggiamenti che si adottano nei mesi autunnali ed invernali quando gira il virus dell'influenza stagionale. I bambini e i giovani vanno a scuola, gli adulti vanno al lavoro, frequentano bar, ristoranti, palestre, discoteche, si stringono la mano e si abbracciano, non modificano pressoché in nulla la loro vita di tutti i giorni per colpa del virus dell'influenza, perché sanno che la probabilità di morire o di ammalarsi seriamente d'influenza è bassissima. Ecco, se si assumessero gli stessi comportamenti col coronavirus si dovrebbe dovere prospettare lo scenario non di centinaia, ma di qualche milione di morti, a meno che il virus, mutando, non perda provvidenzialmente d'infettività e letalità.
In Cina non hanno milioni di morti, proprio perché hanno varato misure draconiane isolando città intere con milioni di abitanti. I provvedimenti di chiusura delle scuole, di limitazione degli orari di esercizio dei negozi, di invito al telelavoro, di non recarsi negli ambulatori medici a chi ha sintomi influenzali decisi dalle autorità vanno tutti in questa precisa direzione. Dire che il Covid-19 «è una comune influenza» è un vero e proprio attentato alla salute della popolazione. Mi rendo perfettamente conto delle conseguenze disastrose per l'economia di provvedimenti volti ad un contenimento del virus, che se fossero stati assunti in tempo sarebbero stati molto meno dolorosi di quelli che purtroppo saremo costretti ad assumere adesso, quando i buoi sono scappati, ma l'alternativa è quella di un'epidemia nazionale.
Il mantra in cui si invita a non drammatizzare è giusto se rivolto ad evitare l'isteria, ma è sbagliato quando fornisce false rassicurazioni e induce le persone a non cambiare i propri comportamenti e progetti. Il virologo dell'Università di Milano, Fabrizio Pregliasco, dice non a caso di doversi preparare allo «scenario peggiore». Il governo italiano, con la sua logica della proporzionalità, non ha voluto porre barriere tra noi e la Cina e ora si ritrova costretto ad alzarle tra parti del territorio italiano, come quel chirurgo che non volendo amputare ben sopra la cancrena, è costretto a reintervenire più volte amputando sempre più in alto, fino ad arrivare ben al di sopra del punto dove non ha voluto tagliare. Parafrasando Winston Churchill, il governo poteva scegliere tra la chiusura ermetica dei confini e il rischio di epidemia: hanno scelto il secondo, avranno anche la prima.
#restiamoumani è l'hashtag che quest'estate, in cui il «sulfureo» Matteo Salvini ha dimostrato di sapersi opporre con efficacia al tentativo di sfondamento dei confini marittimi da parte delle ong, spopola nelle bacheche social della sinistra politica ed ecclesiale. Eppure sono convinto che esso condividerà lo stesso destino di tanti tormentoni musicali, di cui ci si dimentica appena i nuvoloni di fine agosto ricordano che l'estate è agli sgoccioli. Non tanto e non solo perché l'arrivo dell'autunno porta naturalmente a una riduzione delle partenze dalle coste libiche e al calo d'attenzione sul tema, ma perché esso è qualcosa che confligge con quella razionalità che costituisce l'essenza qualificante e distintiva dell'umano.
Di #restiamoumani se ne conoscono alcune varianti, ma la ciccia del discorso è sempre la stessa: chi chiude le porte (e i porti) ai migranti che s'imbarcano dalle coste africane è un essere disumano e in quanto tale moralmente spregevole. Viene da dire: «Ma come, negli ambienti accademici pontifici si dice che considerare l'uomo il vertice del creato è roba vecchia, che bisogna pensarlo piuttosto come parte di una comunità di vita, e ora usate la disumanità quale attributo squalificante ed insultante?». Ma l'argomento filosofico difficilmente trova orecchie attente in certi ambienti, anche perché usando lo stesso metro del capo dei gesuiti, non possiamo essere certi di cosa Aristotele abbia detto sulla logica, in fin dei conti ai suoi tempi non c'era il registratore. Dobbiamo quindi metterci alla ricerca di un argomento migliore.
Quello numerico mi pare possa assolvere al compito. Il quadro fornito dalle Nazioni unite sulle stime dei morti e dispersi in mare nel Mediterraneo centrale, da gennaio a tutto luglio negli anni dal 2014 al 2019, parla chiaro. Nell'indagine sono riportati anche il ministro dell'Interno e il presidente del Consiglio in carica. Sotto Matteo Renzi il numero medio di morti nei primi sette mesi dei suoi tre anni di governo è stato di 1.925,6 (più del triplo di quello del disumano Salvini). Durante il governo di Paolo Gentiloni la media dei morti e dispersi da gennaio a luglio è stata pari a 1.686, (poco meno del triplo rispetto all'orco capo leghista). Abbiamo dunque che durante la legislatura dove al governo c'era il Pd, connotata dai porti aperti, dalle missioni di soccorso, dai miliardi pagati dallo Stato per l'accoglienza, durante gli anni in cui in Italia governavano quelli umani, scompariva in fondo al mare il triplo di esseri umani rispetto ad oggi che la politica migratoria è governata dal disumano Salvini.
Delle due l'una: o il leghista è disumano perché riduce i morti, o lo è nonostante riduca i morti. Insomma, per i campioni dell'accoglienza, egli è disumano sempre e comunque, a prescindere. Ho letto varie volte la risposta: «I morti sono diminuiti perché sono diminuiti gli sbarchi, in percentuale infatti la cifra è aumentata». Ditemi voi, davanti a un ponte pericolante e pieno di buchi mettereste dall'altro lato cucine da campo e cartelli di benvenuto per chi attraversa e dispieghereste i vigili del fuoco a valle con i tendoni per raccogliere chi cade giù? O piuttosto piantereste cartelli che avvertono del pericolo e dissuadono dall'attraversare insieme a transenne piazzate per ostacolare il passaggio? Vi preoccupereste di ridurre il più possibile il numero di quelli che muoiono cadendo giù o vi beereste della percentuale di quelli che pur cadendo non si sono sfracellati? #restiamoumani, sì, appunto, restiamo esseri con una scatola cranica contenente un cervello capace di cognitività superiore.




