2020-02-27
Non è soltanto una brutta influenza. Crederci può generare un disastro
Akos Stiller, Bloomberg via Getty Images
La dimostrazione è nei numeri. Il mantra in cui si invita a non drammatizzare è giusto per evitare l'isteria. Ma è sbagliato quando fornisce false rassicurazioni e induce le persone a non cambiare i comportamenti.«È solo una brutta influenza». È il tam tam anestetizzante che una parte del mondo politico e ahimè, anche scientifico, propaga nell'etere catodico e nella rete. Cercherò di spiegare perché dire una cosa del genere non solo è scientificamente falso, ma se accolto dalla popolazione, potrebbe generare un disastro di proporzioni immani. Per comprenderlo bisogna partire, come spesso accade, dai numeri. La pericolosità di un'infezione di questo genere è data dalla combinazione di due elementi: la capacità di diffondersi a partire da un paziente infetto e la sua letalità. Per comprendere dunque se l'epidemia da coronavirus è davvero una semplice influenza, magari soltanto un po' più brutta, dobbiamo andare a vedere questi numeri che sono indicati nella letteratura scientifica. La capacità di diffondersi di un virus è data da un indice che viene chiamato erre zero (R0), esso indica il numero di persone contagiate da un solo paziente infetto. L'R0 della comune influenza stagionale è pari a 1,28 (Biggerstaff M, et al. Bmc Infectious Diseases, 2014). Ciò indica che 100 infetti trasmettono l'influenza stagionale in media ad altre 128 persone. Lo stesso studio ha calcolato a 1,80 l'R0 dell'influenza spagnola del 1918 che provocò milioni di morti. L'R0 del Covid-19, il virus che sta affliggendo la Cina e ormai anche l'Italia, è stato calcolato da diversi autori; in un meeting di oltre un mese fa, l'Organizzazione mondiale della sanità collocò l'R0 del Covid-19 in una forbice compresa tra 1,4 e 2,5. I lavori più recenti danno indici più alti, tra 2,24 e 3,58 (Zhao S, et al. International Journal of infectious Diseases 2020) e 3,28 (Liu Y, et al. Journal of Travel Medicine, 2020).Confrontiamo adesso il tasso di letalità dei virus attraverso un altro indicatore, il Case fatality rate, ovvero la percentuale di casi di una determinata popolazione di malati che muoiono in un determinato periodo di tempo. Per l'influenza stagionale di quest'anno in Italia, l'Istituto superiore di sanità riporta in 21 settimane di osservazione 30 decessi su 5.632.000 persone che hanno contratto il virus (https://www.epicentro.iss.it/influenza/flunews#evidenza), non 217 morti giornalieri come erroneamente ha affermato la direttrice del laboratorio di virologia del Sacco, cifra che invece corrisponde al numero di decessi totali, cioè per tutte le cause, nella popolazione ultrasessantacinquenne. Il dato per l'influenza stagionale è dunque di 0,21 decessi ogni milione di infetti a settimana. Confrontiamo il dato adesso per il coronavirus. Non ha senso fare una valutazione per l'Italia, tanto il numero dei casi e il periodo di osservazione è breve. Siamo pertanto costretti ad esaminare la situazione a livello globale. Nel momento in cui scriviamo si contano 2.703 decessi e 80.154 casi infetti di cui rispettivamente 2.663 e 77.659 nella sola Cina, dove l'inizio dell'epidemia è ufficialmente datato al 16 gennaio. Il dato corrisponde a 6.022 decessi ogni milione di infetti a settimana. Certo, la letalità risente moltissimo dei sistemi sanitari vigenti sul territorio, ma la differenza è talmente macroscopica che è impossibile ignorarla.Adesso abbiamo tutto quello che ci serve per fare una proiezione per il nostro Paese. Nell'influenza stagionale dello scorso anno, sono ancora i dati dell'Istituto superiore di sanità, si sono ammalate 8.104.000 persone. Con un R0 che è 2 o 3 volte quello dell'influenza stagionale, il coronavirus ha in sé il potenziale d'infettare tra i 16 e i 24 milioni d'italiani. Nella scorsa stagione ancora l'Istituto superiore di sanità dà conto di 205 deceduti a causa dell'influenza. Con la letalità che abbiamo calcolato, nelle stesse 27 settimane di osservazione il Covid-19 avrebbe la capacità di causare centinaia di migliaia di morti nel nostro Paese. Sono i numeri della stessa grandezza della terribile influenza del 1918-1920. Non solo auspicabilmente, ma neppure verosimilmente verranno raggiunti e neppure avvicinati.Questo avverrà sia perché l'assistenza sanitaria alle persone è incomparabilmente superiore rispetto a quella disponibile nel secolo scorso, sia perché lo stato generale di salute e nutrizione della popolazione è migliore, ma anche e soprattutto perché possiamo prendere misure di contenimento del contagio. Ora diventa più chiaro ciò che scrivevo all'inizio. Se si dice alle persone che questa è una comune influenza, si invitano implicitamente le persone ad assumere gli stessi atteggiamenti che si adottano nei mesi autunnali ed invernali quando gira il virus dell'influenza stagionale. I bambini e i giovani vanno a scuola, gli adulti vanno al lavoro, frequentano bar, ristoranti, palestre, discoteche, si stringono la mano e si abbracciano, non modificano pressoché in nulla la loro vita di tutti i giorni per colpa del virus dell'influenza, perché sanno che la probabilità di morire o di ammalarsi seriamente d'influenza è bassissima. Ecco, se si assumessero gli stessi comportamenti col coronavirus si dovrebbe dovere prospettare lo scenario non di centinaia, ma di qualche milione di morti, a meno che il virus, mutando, non perda provvidenzialmente d'infettività e letalità. In Cina non hanno milioni di morti, proprio perché hanno varato misure draconiane isolando città intere con milioni di abitanti. I provvedimenti di chiusura delle scuole, di limitazione degli orari di esercizio dei negozi, di invito al telelavoro, di non recarsi negli ambulatori medici a chi ha sintomi influenzali decisi dalle autorità vanno tutti in questa precisa direzione. Dire che il Covid-19 «è una comune influenza» è un vero e proprio attentato alla salute della popolazione. Mi rendo perfettamente conto delle conseguenze disastrose per l'economia di provvedimenti volti ad un contenimento del virus, che se fossero stati assunti in tempo sarebbero stati molto meno dolorosi di quelli che purtroppo saremo costretti ad assumere adesso, quando i buoi sono scappati, ma l'alternativa è quella di un'epidemia nazionale. Il mantra in cui si invita a non drammatizzare è giusto se rivolto ad evitare l'isteria, ma è sbagliato quando fornisce false rassicurazioni e induce le persone a non cambiare i propri comportamenti e progetti. Il virologo dell'Università di Milano, Fabrizio Pregliasco, dice non a caso di doversi preparare allo «scenario peggiore». Il governo italiano, con la sua logica della proporzionalità, non ha voluto porre barriere tra noi e la Cina e ora si ritrova costretto ad alzarle tra parti del territorio italiano, come quel chirurgo che non volendo amputare ben sopra la cancrena, è costretto a reintervenire più volte amputando sempre più in alto, fino ad arrivare ben al di sopra del punto dove non ha voluto tagliare. Parafrasando Winston Churchill, il governo poteva scegliere tra la chiusura ermetica dei confini e il rischio di epidemia: hanno scelto il secondo, avranno anche la prima.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)